La guerra della ñ
Esiste soltanto nell’alfabeto castigliano. La ñ non è una cosa per tutte le lingue. La si trova soltanto nell’idioma del Cervantes e, col tempo, è diventata un orgoglioso segno identitario della lingua spagnola. La tilde era stata utilizzata, qualche anno fa, nel simbolo della prima presidenza di Madrid per l’Unione Europea: una e di Europa con sopra la tilde della eñe. Ora è in pericolo e, nell’era di Internet, rischia la scomparsa dalle tastiere. Lo testimoniano le numerose Espana invece di España. E anche se non è corretto, ci si abitua. Ma il quotidiano argentino El Clarin, non ci sta, e col suo supplemento settimane di cultura, ha intrapreso, tramite il suo sito, una battaglia per dire sì alla Ñ in Internet e per riconoscerla nei domini .ar e .com.ar.
Ed è stato un successo, con cinquemila adesioni in meno di due giorni. Perché non è lo stesso dire mono (scimmia) o moño (chignon). Panal (nido d’api) o pañal (pannolino). Molti argentini e spagnoli hanno ribadito che sarebbe come privare le parole della loro corretta scrittura. È togliere loro la storia, le caratteristiche che nella storia hanno formato il loro significato e il loro spirito. Perché c’è un’identità da rispettare. Come questo sciolingua che giustifica l’esistenza nelle tilde anche in Internet. Para que los niños ñoños coman ñoquis por la mañana en el baño. Traduzione: affinché i bambini teneri mangino gnocchi alla mattina in bagno. Che non sarebbe lo stesso senza ñ.
La genesi della eñe affascina, come affascina, la storia di tutte le lingue. Il latino non aveva inizialmente il suono ñ, spiega il linguista José Luis Moure. Ma la ñ apparve a causa di un meccanismo per cui, in alcune combinazioni di suoni il primo luogo di articolazione si sposta verso il palato. Così vinea divenne vinia. La n, con l’influenza del punto in cui si articola la i, ritrasse la lingua fino al palato, determinando che si dicesse poi viña; qualcosa del genere successe anche con il gruppo gn, per cui lignu divenne leño. Nel castigliano questo processo si verificò anche in parole con la doppia enne, per cui annu divenne año, canna divenne caña. Mancava però un segno, in latino, per rappresentare questo suono. Moure spiega che per secoli si scrisse vinea, anche se si pronunciava viña. Ma mano a mano che le regioni dell’antico Impero Romano si trasformarono in domini diversi, divenne necessario riformulare il codice grafico e adeguarlo alle novità fonetiche. Per questo ogni ortografia “nazionale” scelse una propria modalità. Nel caso della ñ, altre lingue latine scelsero di rappresentarla con due caratteri, in portoghese con nh (Espanha), in francese e in italiano con gn (Espagne, Spagna), in catalano con ny (Espanya). E da dove è venuta fuori l’ondina sulla ñ? In realtà è una enne abbreviata. “Gli antichi amanuensi – spiega Moure -avevano sviluppato una serie di segni che rendevano meno gravoso il lavoro dello scrivere. Gli scribi castigliani sovrapponevano la n finale alla precedente con una specie di tilde orizzontale. Per scrivere nn, con il suono dell’attuale ñ si affermò questo uso. La prima si scriveva in modo abituale, la seconda sopra con una linea orizzontale o ondulata”.
La rivendicazione della ñ ha anche un’innegabile componente nazionalista, una sorta di ribellione al dominio anglosassone di Internet resa possibile dal progresso tecnologico. Quando il sistema binario era di 7 bits c’erano 128 posizioni occupate dall’alfabeto anglosassone, i numeri e pochi altri segni. Il passaggio a un sistema di 8 bits ha permesso l’inserimento di altri simboli, tra cui la ñ spagnola, nata, come informa El Clarin, quando “fu necessario rappresentare un nuovo suono, inesistente in latino. La ñ è nata pertanto alla nascita del castigliano medievale scritto”.