La Spagna verso le urne per la quarta volta dal 2016
Niente da fare. Sánchez incassa la seconda bocciatura dall’emiciclo della Camera bassa di Madrid. La Spagna è a due passi dal rischio di ritornare per la quarta volta in tre anni e mezzo alle urne per tentare di avere un governo stabile. Pedro Sánchez, el guapo, che ha stregato quindici milioni di spagnoli alle legislative di fine aprile, portandosi a casa il loro consenso, non riesce a convincere l’ex alleato Podemos e il resto dei parlamentari che potrebbero dargli la maggioranza assoluta per governare senza troppi scossoni.
Ora la palla passa, come dice la Costitucíon del 1978 a Re Felipe VI che da subito andrà alla ricerca di un nuovo candidato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, anche se potrebbe ripescare il leader dei Socialisti, come ritengono molti. Nel frattempo, se entro il 23 settembre non ci saranno ancora i numeri er eleggere premier e formare il governo il 10 novembre, come detto, 27 milioni di spagnoli torneranno per la quarta volta alle urne.
Oltre novanta giorni di trattative non sono bastati per trovare un accordo sulla struttura dell’esecutivo tra i Socialisti e Podemos, i cui deputati ieri si sono astenuti dal voto, provocando la seconda fumata nera della settimana. Podemos, che alle legislative ha preso il 17% delle preferenze e che ora i sondaggi danno in caduta al 14%, oltre alla carica di vicepremier e tre ministeri, ha chiesto anche il dicastero del Lavoro. Ma Sánchez non ha ceduto e ha preferito soccombere. Attualmente il Psoe è dato in forte crescita al 39-40%, contro il 32% ottenuto ad aprile alle urne.
La votazione di giovedì 25 luglio ha sfiorato il tragicomico con una trattativa febbrile, tardiva continuata fino a pochi secondi prima di esprimere il voto dei parlamentari. Poco prima delle votazioni, Pablo Iglesias, il professore di Scienze Politiche, traballante numero uno di Podemos che, per l’occasione, non si è messo una giacca, ma ha mostrato la sua solita divisa con camicia a quadretti con le maniche arrotolate fino al gomito, jeans di una taglia in più e cintura di pelle nera con gli stivaloni, si è lamentato del rifiuto del premier dicendo: «Vorremmo almeno la stanza degli ospiti, non solo la casetta del cane». Le trattative si sono incagliate anche sul concetto di «pari dignità» chiesto da Podemos. Gli ex Indignados si sentono la sinistra spagnola, sociale, estrema, anti sistema, ribelle, populista e femminista. e per Iglesias non ha senso sostenere un esecutivo se mancano le responsabilità e i poteri adeguati.
Sánchez ha replicato che le richieste di Iglesias erano invece spropositate, che lui sarebbe stato disposto a concedere una vice presidenza con deleghe sociali a Irene Montero, compagna di Iglesias e numero due di Podemos, il dicastero della Parità di genere, della Casa e della Salute. Podemos replicava che erano ministeri svuotati del portafogli e di reali competenze, inutili quindi per portare avanti il programma elettorale del partito. E ha ribadito, fino a pochi attimi dal voto, la richiesta del Ministero del Lavoro con delega alle politiche attive per l’impiego (tra i 2 e i 6 miliardi di dotazione annua). Niente da fare.
Il risultato della votazione a metà giornata è stato di 155 no (il centro-destra del Partido Popular, i liberal-nazionalisti di Ciudadanos, la destra estrema di Vox, gli indipendentisti catalani dell’ex presidente Carles Puigdemont, tra gli altri), 124 sì (Psoe e un voto regionalista) e 67 astensioni (Podemos più baschi più indipendentisti catalani di sinistra).