Le coppie italiane procreano (artificialmente) in Spagna
Si parte per un viaggio per le ragioni più disparate. Per scoprire nuove realtà, per inseguire la propria carriera o semplicemente per fuggire dal caos quotidiano. Ma negli ultimi anni ci sono italiani che compiono un viaggio diverso, portando con sé un carico che pesa più di una valigia: il desiderio di diventare genitori.
Partono e tentano il tutto e per tutto lontano dall’Italia, per accedere a tecniche di fecondazione che qui sono vietate dalla legge vigente. E sperano.
Tali limitazioni sono contenute nella legge 40 del 2004, la quale permette l’accesso a tecniche di fecondazione assistita “alle coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambe viventi” ma pone un chiaro divieto alla surrogazione di maternità e alla procreazione assistita di tipo eterologo. Nella prima una donna si assume l’obbligo di portare avanti la gravidanza per conto della coppia richiedente, mentre la seconda comporta l’utilizzo di gameti esterni alla coppia.
Ed è con riferimento a quest’ultima tecnica di fecondazione che è possibile ricavare un primo dato rilevante: secondo il rapporto stilato dall’Osservatorio sul turismo procreativo, tra le 4 mila coppie che ogni anno si spostano all’estero, il 50 percento di queste decide di tentare proprio l’eterologa. Le destinazioni prescelte sono molteplici: al primo posto la Spagna, la cui legislazione consente sia la donazione di gameti che quella di embrioni, seguita dalla Svizzera, al secondo posto per la sua relativa vicinanza, e dalla Repubblica Ceca, preferita dalle coppie che vogliono contenere i costi.
Il restante 50 per cento sceglie di andare all’estero per mancanza di fiducia nei confronti dei centri italiani. Il motivo è la diffusione dell’idea che le restrizioni previste per legge abbiano in qualche modo limitato i progressi della ricerca nel campo dei processi fecondativi, rendendo i centri clinici italiani qualitativamente inferiori. Questo, unito ai costi meno proibitivi degli altri Paesi, ha fatto sì che gli italiani rappresentino ora il 31,8 per cento degli aspiranti genitori “con la valigia”.
Tra loro, c’è Elisa (il nome è di fantasia): quando ha cominciato a pensare alla fecondazione assistita aveva 35 anni. Dopo un anno di tentativi senza successo in Italia, ha deciso con il suo compagno di rivolgersi a una clinica di Barcellona, per ricorrere all’ovodonazione, un particolare tipo di fecondazione eterologa .
La sua testimonianza racconta due anni difficili, in cui il suo corpo è stato messo a dura prova, tra cure ormonali che non davano il risultato sperato e l’inizio del trattamento di impianto degli ovuli. A questo si aggiunge un lavoro da agente immobiliare a cui ha rinunciato per trasferirsi in una nuova città, tutto pur di realizzare ciò che la natura sembrava negarle.
“Barcellona è stata la meta finale del mio cammino verso la maternità. Nonostante i momenti di disillusione e il senso di inadeguatezza che spesso mi sentivo addosso, mi ritengo fortunata. Ho due bellissimi gemelli di sei anni per cui rifarei tutto ma, pensando alla mia esperienza, provo rammarico nel costatare come il costo di un tale viaggio non sia accessibile a tutti. Ho potuto abbandonare il posto di lavoro solo perché la mia situazione familiare me lo permetteva. Penso a tutte quelle coppie che avrebbero voluto fare lo stesso, e non hanno potuto perché prive di mezzi sufficienti a sostenere il costo dell’inseminazione e della permanenza in loco”.
Per Elisa, la maternità non è un dono, ma un diritto, specie quando la medicina fornisce nuovi e diversi metodi di concepimento: “l’Italia – sostiene – dovrebbe ammettere queste forme ulteriori di fecondazione rendendole alla portata di chiunque, non lasciando che i suoi cittadini debbano migrare all’estero per poterne usufruire. Appartiene al singolo la scelta di considerarle eticamente corrette o meno”.
La sua storia pone degli interrogativi profondi. È possibile stabilire un prezzo, morale ed economico, al desiderio di avere dei figli? I divieti imposti dalla legge italiana hanno ancora una ragion d’essere alla luce del fatto che le coppie sposate, conviventi o single si recano presso cliniche estere, ottenendo in sostanza ciò che la nostra legge impedisce? Ora più che mai l’Italia si trova nella posizione di dover scegliere se continuare a mantenere un atteggiamento limitativo, o seguire la strada del cambiamento intrapreso dal resto dell’Europa.