Colombia, tutti contro il presidente Duque
Le proteste in Bolivia e Chile sembra che abbiano contagiato anche la Colombia. Tre popolosi Paesi del Cono Sur latinoamericano sono nel caos da settimane. I manifestanti cileni, boliviani e colombiani hanno in comune l’intento di allontanare i loro presidenti e se la Bolivia c’è riuscita con le dimissioni di Evo Morales, appena eletto per la terza volta di seguito con elezioni probabilmente truccate, a Bogotà e Medellin la situazione è politicamente diversa e ben più critica.
L’elezione di Iván Duque Márquez nel 2018, avvocato di centrodestra che ha studiato alla Georgetown University di Washington, filoamericano, ha spostato il Paese a destra, ma soprattutto il suo Governo ha voluto mettere in discussione gli accordi di pace con le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo). Duque afferma che i negoziati di pace sono inesistenti, perché questi terroristi sono tuttora attivi e armati, benché in una quantità minima e ridotta. Nelle foreste tra Colombia e Venezuela proteggono i coltivatori e i trafficanti di cocaina, violando ogni accordo sottoscritto con la Colombia. I guerriglieri ancora attivi hanno mostrato la volontà di riaprire le ostilità con il Governo colombiano. Il più importante leader politico e militare delle FARC-EP è però Rodrigo Londoño, l’attuale portavoce della formazione CRAF (Common Revolutionary Alternative Force). Il partito politico dell’ex guerriglia ha preso le distanze dai dissidenti che vogliono ritornare alle armi, insistendo sul fatto che oltre il 90% degli ex guerriglieri rimane impegnato nel processo di pace. Ma la cosa non convince il presidente colombiano Duque che ha già inviato diverse truppe militari al confine tra Colombia e Venezuela.
I dimostranti giovedì’ hanno organizzato lo sciopero generale, indetto dai principali sindacati. La Colombia si è fermata per un giorno e si sono verificati episodi di violenza tra polizia e dimostranti con oltre duecento feriti e tre agenti uccisi da un ordigno dinamitardo esploso davanti a una caserma di polizia. La massa dei partiti d’opposizione e i sindacati hanno annunciato altre manifestazioni contro il presidente Duque: una parte dei dimostranti ha mostrato vivo interesse nel dialogare col Governo immediatamente.
A Bogotà si sono verificati scontri, saccheggi di negozi, assalti alle banche e blocchi stradali, tanto che il sindaco ha imposto un Coprifuoco dopo e 20. I sindacati e i partiti d’opposizione hanno parlato di circa un milione di partecipanti, mentre la stima fatta dal ministero dell’interno è di 20o mila persone. Secondo la Central unitaria de trabajadores (Cut), il più grande sindacato della Colombia, le dimostrazioni hanno coinvolto circa 500 municipi, tra i quali tutti i grandi centri come Medellin, Baranquilla e Pasto, e sono da considerarsi “un’amplissima espressione di dissenso e ribellione sviluppata in modo pacifico”. La Cut ha fatto sapere di ritenere che “il governo dovrà prenderle in considerazione”. I dimostranti respingono anche la politica economica troppo liberista di Duque.