Spagna, decostruire le coste dopo i folli anni della cementificazione
Il passaggio della “Tempesta Gloria” con la sua forza distruttiva, mai vista prima, a base di vénti a 120 km/h, bombe d’acqua e onde altissime sulla costa meridionale della Spagna, ha invitato gli spagnoli a una riflessione: bisogna assolutamente rivedere i piani edilizi dei litorali, che, in parole più semplici, significa: basta costruire a due metri dalla battigia.
Gloria ha ucciso 13 spagnoli e devastato spiagge, abitazioni, ristoranti, hotel e qualsiasi costruzione legale o illegale che si trovava sulla costa. I danni superano i 100 milioni di euro. Il parere del Collegio dei Geologi di Spagna(ICOG) è severo: ora è necessario “decostruire” tutto ciò che si è costruito negli ultimi quarant’anni sul litorale spagnolo, altrimenti a ogni crisi climatica, si raccoglieranno soltanto vittime e distruzione.
“Le tempeste di Levante sono fenomeni relativamente frequenti, ma con una costa così antropizzata da infrastrutture e case in prima linea – ha spiegato il geologo Joan Manuel Vilaplana – e con alcuni fiumi e torrenti che non trasportano più sedimenti, stiamo impedendo il naturale rinnovamento delle spiagge”.
Nei primi anni Ottanta la Spagna, sull’onda ottimista e trascinante del boom economico, iniziò a costruire, edificare e cementare milioni di metri quadrati, nelle periferie urbane e, soprattutto, lungo le sue splendide coste. Oltre a dare una casa agli spagnoli, le aziende costruttrici sentirono il grande bisogno di dare un tetto anche ai ricchi vacanzieri tedeschi, inglesi, olandesi e scandinavi. E per portare questa missione a termine, in Spagna si sono visti abusi e mostri edilizi, quasi come in Italia. Nella maggior parte sono cresciuti orrendi falansteri costruiti negli anni Ottanta lungo la Costa Blanca, da Benidorm, a Lloret de Mar e giù giù fino a Malaga. Abitazioni dai cui citofoni si sente il rumore delle onde sulla battigia. C’è un film del cineasta spagnolo Bigas Luna “Huevos de oro”, espressione per dire che un uomo ha “le palle d’oro”, ovvero che ci sa fare nel business (e anche con le donne) che racconta la febbre del mattone, con tutta la sua volgare genesi.
Una febbre che è diventata crisi verso la fine degli anni Dieci del Duemila, quando la crisi economica chiuse i rubinetti del credito bancario, la maggior parte delle società costruttrici fallì, molti prestiti non vennero restituiti, le rate dei mutui non pagate e tre milioni di lavoratori legati al mattone, persero il lavoro. Soltanto a Barcellona, l’80 per cento delle agenzie immobiliari chiusetra il 2007 e il 2011, tre imprese di costruzioni su cinque fecero bancarotta e nel 2009 in Spagna c’erano oltre 400 mila sfratti esecutivi. Si era costruito troppo, troppo in fretta, con troppe poche credenziali e troppa facilità nel vendere mutui e finanziamenti a famiglie già indebitate e con lavori precari.
Ci sono voluti quasi dieci anni per recuperare la metà del giro d’affari che il settore delle costruzioni aveva nel 2005, quando valeva il 18 per cento del Pil nazionale spagnolo. Attualmente il mercato è in ripresa, corre assieme al ripresa economica del Paese che cresce economicamente ogni anno con una media tra il 2,4 e il 3,1 per cento. Dati che sono pura fantascienza per l’Italia inchiodata al cianotico +0,2%.
A Madrid, Barcellona e Bilbao gli affitti sono già aumentati del 30 per cento, i prezzi delle case sono già alle stelle (a Barcellona nel 2019 si sono estinti gli appartamenti al di sotto dei 200 mila euro e la legge non permette più di costruire, se non di recuperare). Molti analisti si aspettano l’esplosione della nuova barbuja del ladrillo, la bolla del mattone.
Chiusa la parentesi dell’edilizia folle che dal 1980 ha cementato le coste spagnole, vediamo che cosa è successo al delta dell’Ebro, il fiume più lungo e importante di Spagna. I geologi sono allarmati perché hanno scoperto che i numerosi bacini idrici che l’Ebro ha a monte, utilizzati per l’energia idroelettrica, per l’approvvigionamento idrico e per l’irrigazione, trattengono i sedimenti trasportati dal fiume e impediscono così il deposito di questi nel delta per un rinnovamento naturale.
“Il delta dell’Ebro è in declino da decenni a causa della mancanza di sedimenti”, ha dichiarato Vilaplana. Il Collegio dei geologi spagnolo sottolinea che l’aumento del livello del mare causato dal riscaldamento globale farà diminuire le dimensioni del delta in futuro non troppo lontano. “Ma se non facciamo nulla, ridurne le dimensioni sarà molto più drastico e più veloce”.
Tuttavia la grande sfida per la Spagna dei prossimi decenni è di decostruire il suo litorale, liberandolo da tutti gli abusi edilizi, per facilitare la ricostruzione naturale delle spiagge. L’impegno è per facilitare il naturale apporto di sedimenti ai fiumi, come misura per evitare future catastroficome quelle portate dalla tempesta Gloria. Joan Manuel Vilaplana pensa che le infrastrutture e gli alloggi dovrebbero essere rimossi dalle spiagge, ove sia possibile, dalle aree di costa del Mediterraneo e spostate verso l’interno. Si tratta di una misura che richiede un ampio consenso tra le parti interessate e avrà effetto “a medio e lungo termine”. Tuttavia, il geologo precisa che un’ampia spiaggia “è la migliore protezione naturale contro le tempeste marittime”.
Vilaplana fornisce come esempio il recupero e la ricostruzione delle spiagge di Barcellona, dove fabbriche, costruzioni e un’intera raffineria di petrolio sono state rimosse tra il 1990 e il 1992 (in tempo per ospitare le Olimpiadi del ’92). “In Catalogna abbiamo la linea ferroviaria con il traffico passeggeri più elevato tra Barcellona e Mataró che corre lungo la costa, vicino alla spiaggia”, afferma Vilaplana. “Tale infrastruttura dovrebbe essere trasferita all’interno per eliminare la sua elevata esposizione al rischio di tempeste e lasciare spazio per consentire alla spiaggia di fungere da barriera naturale al mare”. E in Italia come siamo messi?