Colpo di scena: la paella sarebbe una ricetta catalana, non valenciana
Con l’arrivo del caldo in Spagna si consuma un ottima bibita che però non è proprio una bibita, anche se la vendono dentro ai catoni del latte o in bottiglia e io la bevo avidamente a sorsate dal bicchiere. Il gazpacho sta molto bene anche in un piatto fondo o in una ciotola perché è una zuppa fredda a base di pomodoro (quindi ha molto potassio utilissimo per sopportare il caldo afoso), cetriolo, aglio e peperone, con aceto e olio extravergine d’oliva. È una tipica ricetta dell’Andalusia, una regione che già ad aprile toccai 30°C ed era il pasto dei contadini dopo che tornavano dal lavoro nei campi arroventati da sole. È facile prepararlo a casa: basta avere prodotti freschi e un buon frullatore. Bisogna mantenerlo in frigo almeno cinque ore.
Non è, invece, una ricetta molto estiva il cocido. Una zuppa a base di ceci e lardo di maiale che fa parte della secolare tradizione culinaria di Madrid, consigliato negli inverni più freddi per l’alto contenuto di grassi e calorie. E per quanto riguarda la paella, si è sempre pensato a Valencia, benché anche Barcellona e altre città di mare, rivendicassero la paternità della pietanza più famosa di Spagna. Pochi giorni fa il ritrovamento di un libro risalente al 1151, che raggruppa molte ricette dell’epoca apprezzate dalla Corona d’Aragona e della Catalogna, ha cambiato le carte, anzi, i piatti in tavola.
Il documento certifica che la paella è una specialità catalana, sottolineando che la paella valenciana è soltanto un’invenzione, un artifizio della gastronomia dei secoli venire, poi diventato verità per il mondo. Il libro che raccoglie le ricette dietetiche per curarsi è stato rinvenuto per caso dal cattedratico Pere F.G.della UB (Universitat de Barcelona) negli Archivi Nazionali della Catalogna. L’antico documento, inoltre, comprova che la paella era il piatto preferito di Ramón Berenguer IV di Barcellona, il primo re catalano-aragonese (la due comunità Aragonese e Catalana sono state unite a lungo sotto la Corona d’Aragona. Con il matrimonio tra Raimondo Berengario IV di Barcellona e Petronilla d’Aragona la contea di Barcellona si unì dinasticamente al Regno di Aragona, per cui la Catalogna divenne la base navale della Corona d’Aragona, mentre la Contea di Barcellona e le altre contee catalane adottarono un’entità politica comune conosciuta come Principato di Catalogna).
Nelle pagine del libro-ricettario sono indicati i veri e unici ingredienti per realizzare il piatto della “paella catalana”. Gli ingredienti sono: botifarra (una particolare salsiccia di maiale con spezie), riso, calçots (un vegetale lungo, bianco verde con foglie sottili, che ricorda il porro, col gusto amarognolo di cipolla); funghi secchi di bosco (simili ai nostri prataioli); peperoni rossi e verdi; prugne secche e carne o di cacciagione o di manzo. Al momento, né Barcellona né Valencia avanzano commenti a riguardo.
Il documento che dà la paternità alla Catalogna della paella non è stato ancora mostrato alla stampa. Chi lo ha visto e letto, ne assicura l’autenticità. Devono, quindi, i valenciani mettersi l’animo in pace? Da sempre la paella è associata alla loro città. C’è un paesino agricolo a una decina di chilometri da Valencia che sostiene persino da secoli che soltanto il riso coltivato nei suoi campi è quello adatto per la paella e lo esporta in tutta la Spagna e il mondo. La paella, come la pizza, ha molte varianti: di pesce, di crostacei, di molluschi, di carne, vegetale, di carne e pesce (la più indigeribile). Una curiosità: nell’antica ricetta risalente al XII secolo e amata da re Ramón Berenguer IV di Barcellona, si usa la cava, lo champagne spagnolo, per cucinare il riso, al posto del brodo vegetale o di carne