Filippo, la lunga favola del principe nell’ombra
L’ultima speranza è che Il principe Filippo, Philip Mountbatten, duca di Edimburgo, nato principe Filippo di Grecia e Danimarca, re consorte del Regno Unito, marito della regina Elisabetta II del Regno Unito e Alto Ammiraglio della Marina Reale Britannica non abbia commesso la sua ennesima gaffe con San Giuseppe che stava attendendo la sua anima alle porte dell’Aldilà.
Non è stato sicuramente facile per questo nobile spilungone, quasi centenario, un po’ ingobbito nella tipica camminata da pinguino, con le braccia conserte dietro la schiena, con sangue greco, danese e tedesco nelle vene, fare per ben 73 anni il marito di una delle donne più potenti e conosciute al mondo. Sempre in disparte, sempre un passo indietro, dove lui era soltanto un satellite che girava cauto e a distanza convenuta attorno alla regina Sole. Aveva imparato quale era il suo posto a corte.
Sempre un po’ in disparte, per tutta la vita. Questo è stato il destino di Filippo che se ne andato alla soglia di un secolo di vita in una delle reali stanze del Castello di Windsor. Era il compagno di Elisabetta II, ma non era un suo pari. Lei era ed è il capo della Nazione, del Commonwealth e rappresenta anche la Chiesa Anglicana di Gran Bretagna, una specie di Papessa. Lui era nobile, era il re consorte, con nessun potere decisionale, con nessuna influenza sulla reale moglie. Anche se era l’unico che poteva chiamarla Lillybett, Elisabettina e poteva darle le spalle. Lo aveva capito fin da subito, in quel lontano dicembre del 1947 quando sposò la figlia di re Giorgio VI. La sua vita sarebbe stata sempre un passo indietro, nella semi ombra della luce reale. Ecco perché, dopo il matrimonio, accettò sempre con entusiasmo di andarsene tre, sei o otto mesi in giro per il mondo a rappresentare e difendere la Corona, lontano da quell’ingombrante consorte, per sentirsi utile, per fare qualcosa che piacesse alla moglie.
Di quegli anni si raccontano tanti pettegolezzi, forse meno della metà sono veri. Sappiamo che adorava le navi, il mare, i cavalli, la campagna, i fucili e la caccia. Il buon whisky scozzese e le donne giovani. Sulla testa non sentiva il peso della corona, ma doveva sottostare alla rigida disciplina, alle regole di corte, al demenziale protocollo. E chissà quanta noia, quanta solitudine. Dormiva persino in un letto separato, da quello regale. Doveva, in pratica, prendere appuntamento col ciambellano di sua moglie e fare un richiesta ufficiale, se voleva, fare il suo dovere di marito e, magari, mettere in cantiere un figlio. Lui sapeva e accettava, a testa bassa, sapeva di avere sposato non una donna, ma un’istituzione millenaria e non poteva cambiare le regole.
Era anche un insostituibile principe delle gaffe. Le sue micidiali uscite, eccessive, sopra le righe, che lui addolciva con la sua classe innata, con una gentilezza di fondo, una discrezione d’emergenza. Non chiedeva mai a qualche sconosciuto incontrato a corte o in giro per il mondo “Lei che lavoro fa?”, ma bensì, “Che cosa la occupa?”. Domanda meno diretta, più elegante e apprezzabile. Lui, del resto, nobile nella sua gabbia dorata di Buckingham o di Windsor, guardava i suoi sudditi, gente normale, chiedendosi di che cosa si occupasse. Perché, con l’incoronazione della moglie, lui era entrato nel cono d’ombra e aveva dovuto, persino, rinunciare a dare il suo nobile cognome, Mountbatten, ai figli, muovendosi in una realtà parallela, ma lontanissima dalla realtà.
Non era un reale gretto, reazionario. Amava e spingeva per le nuove tecnologie, aveva un tablet e uno smartphone, leggeva libri d’ingegneria aeronautica. Era considerato un modernizzatore, riusciva a mediare tra la tradizione e le esigenze richieste dai tempi moderni. In fondo le gaffe non erano altro che il modo di esternare l’inevitabile insofferenza covata per le costrizioni cui veniva sottoposto dal protocollo, durante le visite, i pranzi e le cene ufficiali. Fu lui a chiedere che il suo matrimonio fosse trasmesso in diretta dalla nascente Tv britannica, mostrando per la prima volta la faccia della monarchia allo sguardo dei sudditi, sdoganando le sue faccende private, come pubbliche.
Sembra che fu lui a suggerire a Elisabetta II di mostrare il lutto e le vere lacrime ai sudditi britannici sconvolti per la morte di Lady D, Diana Spencer, e arrabbiati per il disinteresse mostrato nei primi giorni dalla sovrana. Era la madre dei suoi nipoti e del futuro re di Gran Bretagna e la regina non voleva nemmeno issare a mezz’asta la bandiera di Buckingham Palace, in quei giorni terribili, in cui cresceva nel Paese pericolosamente un sentimento di odo verso la monarchia e i Windsor.
Filippo aveva un animo sicuramente tormentato dietro la maschera di giullare che indossava con piacere e, sempre più in modo frequente, superati i settanta, così per giustificare con l’età qualche scherzo bislacco da nobile. Come quando, durante una visita ufficiale negli anni Novanta, in Africa, chiese al presidente della Nigeria se fosse arrivato anche da loro il telefono o, quando, su un isolotto della Polinesia, domandò se si praticassero il cannibalismo. Poi aveva detto che le mogli britanniche non sapevano cucinare, che gli studenti britannici in Cina rischiavano di avere gli occhi a mandorla e tante altre guasconate che spezzavano quella noia tremenda dei cerimoniali.
Marito e padre, nello stesso tempo, presente e distante. Accompagnatore, funzionario e missionario. Come ci ha mostrato la bellissima serie “The Crown”, Filippo all’inizio della sua avventura a Buckingham Palace aveva molto faticato ad accettare il ruolo di subalterno. Ma poi aveva capito e si era molto divertito, trovando persino, il gusto di quel suo ruolo fuori dai riflettori.
L’infanzia di Filippo non era stata facile. La sua famiglia ne aveva passate di tutti i colori. Nipote del re di Grecia, aveva visto la monarchia ellenica rovesciata dalla rivoluzione ed era stato cacciato assieme alla sua famiglia, nascosto dentro una cassetta di mele. Aveva avuto una delle madri più complicate e difficili: la principessa Alice tormentata per tutta la sua vita da crisi mistiche e ricoveri in manicomio, mentre la sorella era morta in un incidente aereo e lui aveva dovuto presenziare ai funerali, appena sedicenne, perché la madre non era presente.
Poi le voci sulla sua simpatia per il Nazismo, per quei stramaledetti crucchi nazi che avevano raso al suolo Londra con le bombe. Voci velenose dovute al fatto che tutte le sue sorelle, come lui con sangue anche tedesco, andarono spose a nobili germanici e finirono, chi più chi meno, compromesse col nazismo. Però, aveva anche uno zio geniale, saggio, carismatico: Louis Mountbatten, nipote diretto della regina Vittoria e ultimo viceré d’India. Considerò Filippo come un figlio, lo portò via dalla Grecia fino a Parigi, e poi, a diciott’anni a Londra dove ne propiziò il matrimonio con Elisabetta, la giovanissima erede al trono britannico e lontana cugina di Filippo. La favola sarebbe iniziata.
Negli anni Novanta, i Windsor erano lacerati da scandali, divorzi, corna, poi arrivò la tragedia di Diana, morta in un tunnel di Parigi col suo fidanzato musulmano Dodi Al Fayed. Filippo chiese alla BBC di produrre un documentario sulla famiglia reale: l’obiettivo era di far apparire i Windsor il più possibile essere umani, normali nobili britannici con i loro normali e accettabili difetti. E con le loro umane tragedie.
Aveva una forza notevole, d’animo. Un’energia prorompente verso tutti gli sport e le faccende dove c’entrasse l’acqua. Navi, regate, nuoto, appena poteva scappava a Malta. Poi si era messo in testa l’idea di sfidare i cieli ed era diventato un provetto pilota, a scapito del figlio Carlo che detestava gli aerei e ogni volta che volava con i jet in cui pilotava il padre, se la faceva sotto. Un rapporto difficile con Carlo, il futuro re che, invece, mostrava debolezze troppo umane. A dieci anni lo spedì in un collegio per rampolli, dove i nobili rampolli non erano per nulla trattati con i guanti bianchi. Era un vero inferno in Terra: settimane trascorse nei boschi, in grotte di montagna, senza tende, col minimo indispensabile e poco cibo, per forgiare il corpo e il carattere. Lui, Filippo, lo aveva fatto. Aveva dormito sotto la pioggia, acceso un fuoco in mezzo alla neve. Si era forgiato così. E per questo non ha mai avuto un rapporto semplice con Carlo, sentiva le differenze con quel figlio che, quasi, sembrava adottato, e la cui indole di timido intellettuale contrastava con l’esuberanza sfrontata del padre. Carlo odiava quella severa educazione condita con la rigida disciplina di corte, covava la ribellione, la fuga.
Filippo, ma anche Elisabetta, interferirono in modo magistrale nella vita privata di Carlo: non ne volevano sapere di Camilla, si misero di traverso alla relazione iniziata tra i due fin da giovanissimi. Gli imposero di sposare una nobile vergine più adatta alla sua indole, Diane Spencer. Poi, la storia ci ha raccontato che, alla fine, l’amore tra Carlo e Camilla ha vinto, e i Windsor se ne sono dovuti fare una ragione.
A Filippo non andava a genio nemmeno Sarah Ferguson, la rossa, la moglie di suo figlio, il Andrea, pare il figlio perfetto e prediletto dai reali genitori. Sarah e Filippo si odiavano in modo sanguigno. Lui vedeva con sospetto questa paffuta ragazzona, molto ambiziosa, d’incerto rango sociale che era evidente volesse mettersi a comandare sulla Corona.
Filippo si era ormai ritirato dalla vita pubblica, ma non dal suo carattere e dalle sue passioni e i suoi vezzi: come quella, alla sua veneranda età, di guidare la Land Rover da solo in campagna, rischiando il botto, come puntualmente avvenne nel 2019, in un pauroso incidente stradale, da cui ne uscì indenne.
La sua scomparsa apre un vuoto nella monarchia. Mancheranno al pubblico britannico e mondiale, le sue uscite imbarazzanti, con le quali riusciva a mandare su tutte le furie i dignitari di mezzo mondo. E con le quali dimostrava di essere uno di noi, uno del popolo. Mancherà alla regina la solida spalla su cui appoggiarsi nei momenti difficili. Mancherà a tutti un gentiluomo dei tempi andati. La monarchia è una sorta di servizio. Di lusso e Filippo lo ha accettato. All’interno della famiglia reale britannica il duca di Edimburgo è stato tra i personaggi più difficili da raccontare dalla penna di storici, scrittori e giornalisti, proprio perché non ci teneva a essere raccontato e seguito. Però era un uomo cauto, quando non tralasciava le cautele.
La sua scomparsa apre un vuoto nella monarchia. Mancheranno al pubblico britannico e mondiale, le sue uscite imbarazzanti, con le quali riusciva a mandare su tutte le furie i dignitari di mezzo mondo. E con le quali dimostrava di essere uno di noi, uno del popolo. Mancherà alla regina la solida spalla su cui appoggiarsi nei momenti difficili. Mancherà a tutti un gentiluomo dei tempi andati. La monarchia è una sorta di servizio. Di lusso e Filippo lo ha accettato. All’interno della famiglia reale britannica il duca di Edimburgo è stato tra i personaggi più difficili da raccontare dalla penna di storici, scrittori e giornalisti, proprio perché non ci teneva a essere raccontato e seguito. Però era un uomo cauto, quando non tralasciava le cautele. Accettando il suo ruolo di spalla, di bastone della sovrana, aveva accettato che quello era il suo unico lavoro: sostenere la regina, e tramite lei, sostenere il Paese intero. Negli anni ‘70 Michael Parker, un vecchio compagno di Marina di Filippo che lui aveva nominato suo segretario privato, disse che l’amico principe e datore di lavoro gli aveva confidato: «Il mio lavoro, il mio primo, secondo e ultimo, è invece quello di non deluderla mai, non lasciarla mai sola (nel suo impegno di regina)». Una frase matura, da vero marito e suddito. E così fece. Sempre rima il bene della regina consorte e della nazione. Anche nella sua ultima, estrema decisione, ha anteposto il bene dei britannici.
La sua cerimonia di commiato non poteva essere un funerale di Stato, con il lungo viale che taglia Saint James Park e porta a Buckingham, affollato di sudditi, come lo fu nel 1997 il solenne addio a Diana. sarebbe stato troppo pericoloso in tempi di pandemia tutto quell’assembramento incontenibile. Meglio pensare a un funerale privato, dimesso, con pochi intimi e, forse, anche Harry, il nipote scapestrato che ha quasi rinnegato i Windsor, andandosene a vivre in California con un’attricetta di sangue misto senza un nobile lignaggio e pure antimonarchica. Come lo sono quasi tutti gli americani, i cui avi erano riottosi coloni che si ribellarono alla “perfida Albione” assetata di tasse. Così Filippo, anche nella sua ultima scelta, ha mostrato lucidità e premura, scegliendo l’amato Castello di Windsor, la sua culla, il suo rifugio adolescenziale, come ultimo luogo e capolinea della sua lunga vita, una lunga favola con la donna che amava e che ha protetto fino alla fine, una lunga vita assieme, una una favola di un principe misurato e sfrontato, contraddittorio e capace di eccellere anche nell’ombra.