Pedro Sánchez una meteora socialista
Rischia di essere ricordato come una meteora del Governo socialista, nato dal ribaltone del 2018, durato meno di otto mesi. Pedro Sánchez, “Pedro el chulo”, “il bel Pedro” per la sua prestanza fisica e bellezza, 46 anni, venuto al mondo in un anno bisestile, giorno 29 febbraio, è di pura razza socialista madrilena, quella di Gonzales, per intenderci. Ma questo lignaggio non l’ha salvato dalla scoppola ricevuta ieri dai traditori catalani, i ribelli secessionisti che vogliono la Catalogna una repubblica indipendente dalla Spagna.
Quim Torra, attuale presidente catalano, con l’eminenza grigia della Generalitat, l’autoesiliatosi Carlos Puigdemont da Bruxelles, hanno posto il veto al bilancio 2019 che il bel Pedro aveva fatto di tutto per tagliare alla perfezione sulle esigenze degli spagnoli più poveri e precari, alzando il reddito minimo e iniettando un po’ di soldi nelle pensioni. Una Finanziaria 2019, non perfetta, ma buona, diventata, però, strumento di ricatto da parte dei secessionisti che hanno messo sul tavolo delle trattative fallite, un do ut des, ti do, solo se…voto a favore del bilancio, in cambio del via libero alla celebrazione, il prossimo autunno, di un nuovo referendum sull’indipendenza della Catalogna, ma questa volta legale. Missione impossibile.
I socialisti, ovviamente, non potevano rispondere che “no”, come da sempre fanno i Popolari, ora, di Casado. La Costituzione spagnola non ammette che una delle sue diciassette Comunità autonome celebri un referendum per staccarsi da Madrid. Quindi sarebbe una concessione anticostituzionale che la Corte costituzionale boccerebbe senza pietà.
Se, proprio Madrid vuole dare una possibilità alla Catalogna, prima si deve creare una commissione di riforma di una trentina di articoli della Costituzione (più altri centinaia tra diritto pubblico e privato) che fanno riferimento alle regole dell’autonomia delle regioni. Un lavoro lungo e complesso che richiederebbe anni, di governo stabile e di impegno. Ma i catalani hanno fretta, vogliono lasciare Madrid ed essere una repubblica, anche se non sanno, a oggi, se l’Europa li riconoscerà e accetterà, quale organigramma istituzionale costruiranno e quale, soprattutto, economia avranno (e con quale moneta: La Catalogna per le risorse energetiche dipende al 90 per cento da aziende di Madrid).
Insomma, una bella rogna, anche per il prossimo governo che uscirà dalle urne, il prossimo 28 aprile, data più probabile delle elezioni. Tra poco più di due mesi, la Spagna si ritroverà nuovamente spaccata e divisa tra destra e sinistra e sia i Popolari (che sono in vantaggio secondo le stime) che i Socialisti, dovranno contare sui nemici o ex nemici. I socialisti dovranno attingere voti dai secessionisti che li hanno fatti cadere (a meno che riescano a conquistarsi la fiducia di Rivera di Ciudadanos, cosa assai improbabile), mentre i Popolari cercheranno il sostegno di Vox, il partito di estrema destra che, tra le tante proposte, vuole rimpatriare con la forza tutti gli immigrati clandestini di Spagna.
Quindi, il 28 aprile ne uscirà una Spagna zoppicante, instabile che rischia l’ingovernabilità.