Valdeluz, la città fantasma figlia della speculazione edilizia spagnola
Dalla stazione di Atocha Madrid per raggiungere la città fantasma, monumento storico del tracollo dell’edilizia iberica, ci sono 60 chilometri e tre opzioni: sbagliare strada in auto per tutto il giorno, GoogleMap va in tilt; viaggiare su un nuovissimo razzo dell’Ave (Alta Velocidad Española), correndo a 350 km in 15 minuti e 31 secondi (36 euro a tratta) o impiegare due ore, su un treno locale che macina tutte le fermate e concilia il sonno (13 euro andata e ritorno).
Non per ragioni d’orologio o di ideologia, conviene il super treno per raggiungere Yebes, comune attiguo di Valdeluz, 1,34 chilometri quadrati di urbanizzazione creata dal nulla e nel nulla della campagna arida della Castilla-La Mancha, dieci anni fa, quando la Spagna pensava di cementificare all’infinito.
Lasciata Madrid si sale, senza accorgersene, fino a novecento metri sul mare, tra spazi assolati, panorama da «Spaghetti Western» con il vento impetuoso che soffia sulla Meseta. Valdeluz è la più conosciuta delle moderne urbanizzazioni, con un municipio in condivisione con altre due comuni. È una «new town» sorta per la voracità di affaristi senza scrupolo e palazzinari finiti in galera. L’apice di un’economia che ha cannibalizzato se stessa e ha creato cattedrali nel deserto. In Spagna, tra il 2006 e il 2017, si sono edificati un milione di appartamenti, tutti invenduti, rimasti sulle spalle d’imprese e banche.
Eppure le premesse erano ottime. Rubare trentamila abitanti ai quattro milioni di Madrid, per lo più famiglie di classe media che non volevano comprare a 4mila euro al metro quadro per accollarsi quarant’anni di mutuo. Sulla carta dovevano essere tra gli ottomila e i diecimila appartamenti, dai 70 ai 140 metri quadrati. Ne hanno edificate settemila, vendute meno di duemila: abitazioni ecosostenibili, antisismiche, domotiche in condomini con piscine, campi da tennis, e da golf. Sono sorti quartieri con piste ciclabili e le stazioni di ricarica per auto elettriche. Un lusso abbordabile, da classe media, sotto i duemila euro a metro quadro, in una zona ben collegata a Madrid e la possibilità di lasciare la porta di casa aperta. Nel 2006, a due anni dalla prima pietra, duemila abitazioni erano state completate e il 60 per cento venduto sulla carta. Il mercato degli immobili era ai massimi della speculazione, una bella bolla immobiliare che si gonfiava spaventosamente da Alicante a Bilbao, poi la crisi dei mutui americani subprime, quelli venduti porta a porta a ogni poveraccio attratto dai tassi bassi, colpì l’assetto mondiale della finanza. Il credito fu paralizzato, la paura degli investitori dilagò fino all’Europa.
L’ondata di crisi arrivò come una furia sul vecchio continente, e sulla Spagna, che produceva il 18 per cento del suo Pil col mattone, fu uno tsunami: le banche chiusero il rubinetto dei finanziamenti (credit crunch) e le imprese edili spagnole licenziarono e fallirono, mentre gli istituti di credito si dovettero accollare un invenduto che a livello nazionale nel 2009 era pari all’ottanta per cento delle costruzioni quasi 700mila appartamenti, esposti a una svalutazione record del 70 per cento. A Valdeluz fu una carneficina. Famiglie che avevano comprato con un mutuo di 250mila euro, ora erano proprietarie di appartamenti, svalutati e invendibili, col mercato che li quotava tra i 70 e i 100mila euro. Anche ora con 65mila euro si compra un appartamento da 100 metri quadri, col box in regalo. I danni collaterali, a distanza di dieci anni, sono ancora evidenti. Intere file di palazzi inabitati, strade vuote con una manciata d’auto parcheggiate, moderni parchi gioco senza un bambino, vialetti curati immersi nel verde dove nessuno vi passeggia, una scuola aperta su quattro, i cantieri mai terminati, come quello di una clinica pubblica, negozi mai aperti o chiusi. Una colonia di gatti che sosta indisturbata nel centro delle strade. E di notte è un proscenio color petrolio, con una finestra illuminata qua e là e un silenzio che ferisce le orecchie.
Il numero degli abitanti doveva essere tra i 25 e i 30mila. A fine gennaio 2019 erano in realtà 3006, forse per Pasqua saranno 3011. Ma con questi numeri, nessuno investe in servizi pubblici. Su settemila appartamenti terminati, meno di duemila, dodici anni dopo, sono abitati. Più di un centinaio torneranno nel portafoglio immobiliare delle banche. Chi ha perso il lavoro e non è riuscito a onorare le rate del mutuo, ha perso la casa. Le banche non hanno avuto pietà e senza troppi complimenti si riprendono le abitazioni, senza rinegoziare, magari un affitto momentaneo, considerando le condizioni del mercato. Decine di famiglie stanno lasciando Valdeluz, e questo contribuisce allo spopolamento demografico, a buttare via milioni di euro d’investimento per le infrastrutture, dalle fogne agli impianti elettrici e idrici. Qualcuno del governo della Castilla-La Mancha ha proposto di buttare giù tutto, non solo i cantieri incompleti, ma anche gli edifici invenduti. Costa troppo mantenerli e le banche preferiscono la dinamite, invece che affittarli a chi li ha comprati a prezzo pieno e li ha persi. Meglio demolire in attesa di tempi migliori.