Madrid 11 marzo 2004, non lavate via quel sangue
Era una mattina umida e nuvolosa a Barcelona. Guardavo la Rambla de Canalettes dalla finestra della camera dell’hotel dove ero alloggiato, in attesa di entrare nell’appartamento che avevo affttato, quando Laura mi manda un messaggio che mi gelo: “L’Eta ha commesso un attentato grandissimo!”, nel suo italiano semplice, mi aveva dato una notizia che dovevo seguire. Accesi il televisore e vidi che dalla Stazione Ferroviaria di Atocha , a Madrid, si alzava una nuvola nera di fumo. Un treno della Carcanias, treni locali che collegano l’estesa periferia madrilena al centro città, era stato disintegrato da un’esplosione entrando nella stazione di Atocha la più grande di Madrid. Ma c’erano altri tre convogli coinvolti da varie esplosioni in tre stazioni attorno alla capitale di Spagna. C’erano decine di morti in mezzo alle lamiere roventi.
Era molto strano che il colpevole fosse l’ETA, il gruppo armato di terroristi irredentisti baschi che chiedevano l’indipendenza di Euskadi (Paesi Baschi) . Nella loro lunga guerra contro il Governo di Madrid non avevano mai osato colpire i civili e ordire una strage così sanguinaria e, soprattutto, senza avvisare. Ma tutti pensavano all’ETA, lo stesso primo ministro dell’epoca José Maria Aznar era apparso in tv per condannare i terroristi baschi. Questo a tre giorni dalle elezioni legislative che avrebbero potuto eleggere Mariano Rajoy, delfino di Aznar, presidente de Consiglio, confermare per altri quattro anni i Popolari alla guida. Chiamai Il Giornale e mi precipitai in aeroporto. I voi erano stati sospesi in tutto il Paese, i treni erano fermi, optai per affittare un’auto e con il mio amico fotografo Teo, un triestino 34enne, freelance locale che ora vive in Brasile, partì all’avventura alla volta di Madrid.
In aereo Barcellona-Madrid è come un Milano-Roma, una cinquantina di minuti, in treno con la loro alta velocità (Ave) sono 2 ore e quaranta per circa 600 km. Mantenendo una buona media in autostrada tra i 130 e i 150 km/h dove consentito, in meno di cinque ore ci si arriva. Sintonizzati sulla radio, appresi che le esplosioni, forse una decina, e quasi simultanee si erano verificate tra le 7.36 e le 7.40 su quattro treni locali dellaCercanias. Carichi di pendolari. Morti e feriti erano a decine, sicuramente più di cento vittime.
Nel 2004 conoscevo poco della Spagna, non avevo mai guidato sulle sue strade e autostrade. Ero arrivato a Barcelona co l’idea di fermarmi più a lungo possibile, per colpa di una donna e della voglia di lasciare Milano che, già altre volte avevo lasciato, ma poi, puntualmente mi aveva risucchiato indietro. Per vari motivi. La capitale della Catalogna mi era sembrata una bellissima città dove vivere, piena di arte, cultura e gioia. Piena di orgoglio e di senso civico, pulita, ordinata, bel controllata da molta polizia e, appunto, da un senso civico contagioso. E poi quale città al mondo ti permette di andare in spiaggia direttamente con la metropolitana?
Siamo partiti alle 9,15 e alle 11 eravamo quasi a metà strada. Avvicinandosi all Comunità di Madrid, ricordo che il traffico era aumentato. Ai caselli c’era molta polizia armata che fermava le auto c’erano anche dei mezzi militari. Per la serata erano state organizzate decine di manifestazioni spontanee dei cittadini che volevano la verità. Non poteva essere stata l’ETA come troppo maldestramente il premier Aznar continuava a ripetere come fosse un disco rotto. Gli spagnoli erano molto spaventati, ma anche arrabbiati, volevano la verità, qualsiasi cosa fosse.
Dopo avere superato diversi controlli, alle 14,45 siamo entrati nel centro di Madrid, abbiamo parcheggiato a due chilometri dalla stazione e siamo arrivati sul luogo dell’attentato con il cure in gola. Atocha era off limits, c’erano due elicotteri che sorvolavano in cielo, c’era la Guardia Civil, la Policia e l’esercito. L’incendio scoppiato sui binari 10 e 11 dove tre esplosioni avevano disintegrato un treno di otto vagoni, era stato domato. Entravano e uscivano decine di ambulanza. Mentre Teo tentava di entrare dai binari, scendo da un lato pericoloso di trenta metri, io tentavo di parlare con la polizia, davanti a un cordone di militari armati di mitraglietta e con la faccia scura. Le autorità di polizia spagnolo non sono per nulla malleabile come spesso sono carabinieri e Polizia che agevolano il lavoro dei giornalisti. Qui la polizia ha un retaggio molto militare e squadrista: piuttosto ti gonfi di botte, ma non ti dice nulla. C’era una grande nervosismo nell’aria, la tensione schiacciava il respiro. I fotografi urlavano, non erano stati ammessi, se no solo pochi, i giornalisti stranieri erano tenuti lontano, come fossero sciacalli. L’aria puzzava di gomma bruciata, di polvere da sparo, di sangue rappreso e di morte. L’ETA non avrebbe potuto fare questo.
Alle 19, il portavoce della polizia ci lesse un comunicato. Era un bollettino di guerra. Solo ad Atocha c’erano 78 morti e oltre seicento feriti che erano stati portati in sette ospedali. Un magazzino depositi era stato adibito per accogliere i corpi delle vittime, chiusi dentro a involucri neri. Teo mi chiamò, aveva la voce rotta dal sangue. Aveva visto un braccino tra le pietre del binario, pensava fosse un pezzo di bambola, e invece era un piccolo arto umano di un corpo di un bambino tra i 4 e i 5 anni, disintegrato dall’esplosione. Mi sono pentito di avere visto, poi, in hotel le foto che era riuscito a raccogliere e di cui la metà non potevano essere pubblicati per rispetto alle vittime e ai loro famigliari.
Era stata al-Qaida, erano stati i terroristi islamisti. Avevano colpito il cuore di Spagna per punire il suo Governo, l’esecutivo del popolare di destra Aznar che aveva appoggiato l’esercito americano in Iraq inviando le sue truppe. Avevano colpito l’Europa, avrebbero potuto colpire anche l’Italia. Era la peggiore strage di civili dopo la fine della Guerra Civil e della Seconda Guerra Mondiale. Io e Teo ci siamo trovati avare in una Marid che era scesa in piazza per piangere le vittime e urlare la rabbia contro Aznar e il suoi ministri che 14 ore dopo l’attentato continuavano a ripetere che era stata l’ETA che nel frattempo aveva inviato un filmato in cui due guerrieri baschi col volto incappucciato comunicavano la totale estraneità degli etarras a quella carneficina.
Alle 10 di sera chiusi il pezzo e lo mandai a Milano. La mattina successiva mentre leggevo i giornali con i duri attacchi ad Aznar e al partito Popolare che aveva nascosto i veri colpevoli, ormai era ufficiale che era stato al-Qāʿida e si attendeva la conferma dal canale tv arabo alJazira, arrivò la notizia di un conflitto a fuoco a Leganes, una cittadina di 200 mila abitanti a Nord di Madrid. In una palazzina la polizia aveva trovato uno degli attentatori, uno di coloro che aveva lasciato gli zaini con dentro l’esplosivo al plastico potentissimo (Goma-2 ECO) collegato a telefonini con timer/sveglia. grazie alla mancata attivazione del timer di uno di questi cellulari, e alla presenza di una simcard interna, le indagini sugli assassini avrebbero, poi, porta a vari arresti.
Il quotidiano al-Quds al-ʿArabi la notte tra l’11 e il 12 aveva ricevuto nella sua sede di Londra una lettera di rivendicazione in cui si affermava che la Brigata Abu Hans al-Masri, a nome di al-Qāʿida, la rete terroristica di Osama bin Laden era responsabile degli attentati di Madrid, attuati come regolamento di conti con la Spagna, accusata di complicità con gli Usa e il Regno Unito nella crociata contro l’Islam. La sera de 12 marzo a Madrid scesero in piazza due milioni di persone per chiedere la verità. Quella stessa sera ci furono enormi manifestazioni anche a Siviglia, Salamanca, Bilbao, Santiago, Valencia e Barcellona. Il resto è storia.
Le vittime in totale furono 192, i feriti oltre 2 mila. Il 15 febbraio del 2007 iniziò il processo ai presunti attentatori. L’Audencia Nacional, trasferita alla Casa de Campo per motivi di spazio, era presieduto dal giudice Javier Gómez Bermúdez , ascoltò 400 ore di dichiarazioni, i 28 imputati e circa 300 testimoni. Furono portate in tribunale una sessantina di prove con mille fascicoli da ottanta pagine, per un totale di 80 mila pagine di relazione. Dopo cinque mesi e 57 sedute, il processo si chiuse. Per Il Giornale ho seguito l’apertura e una ventina di sedute. Il 31 ottobre arrivò il verdetto.
La sentenza stabilì che che gli attentati furono compiuti da una cellula terrorista jihādista. Nell’attentato non ci fu partecipazione della organizzazione terrorista basca ETA. Si era sospettato che i terroristi avessero venduto l’esplosivo al plastico. Furono riconosciuti come esecutori dell’attentato, insieme con i ‘suicidi di Leganes‘, Jamal Zougam e Otman El Gnaoui, condannati a 42 mila anni di galera, così come alcuni complici come José Emilio Suárez Trashorras, l’unico spagnolo, che fornì l’esplosivo. Nel Codice Penale spagnolo la pena fa il conto cumulativo degli anni di carcere legati a un reato. Condannati anche come ispiratori Rabei Osman El Sayed, “Mohamed l’Egiziano (fermato a Milano, nella moschea di viale Jenner, dopo che la Polizia milanese intercettò una sua telefonata). Hassan El Haski e Youssef Belhadj, benché segnalati dalla CIA come terroristi, furono, invece, assolti per insufficienza di prove.
I condannati furono: Otman El Gnaoui: 42 922 anni, associazione terrorista e partecipazione diretta negli attentati. Jamal Zougam: 42 922 anni, associazione terrorista e partecipazione diretta negli attentati. José Emilio Suárez Trashorras: 34 715 anni, partecipazione agli attentati con riduzione di pena per problemi psichiatrici. Abdelmagid Bouchar: 18 anni, appartenenza ad associazione terrorista e traffico di esplosivi. Hassan El Haski: 15 anni, dirigente di associazione terrorista. Youssef Belhadj: 12 anni, appartenenza ad associazione terrorista e Rafa Zouhier: 10 anni, traffico di esplosivi.