Qui Madrid: c’è un morto ogni quarto d’ora
La vita sospesa per chi vive in quarantena, senza azzardare inutili spostamenti, potrebbe salvare vite. Il coronavirus ne ha mangiate quasi 800 in sette giorni, soltanto nelle ultime ventiquattr’ore sono morte 170 persone. Ora in tutta la Spagna ogni 15,7 minuti il virus che viene da molto lontano miete una nuova vittima. Il Paese è passato da un allegro menefreghismo a una profonda preoccupazione e paura per il futuro buio come la gola di un lupo. Entro una settimana tutti gli hotel di Spagna devono chiudere. Le vacanze sono finite. O forse, nemmeno iniziate.
Si vive in trincea guardando le strade svuotate di una delle capitali d’Europa più vive e popolose. Il nemico è invisibile, è uno sconosciuto assassino che confonde le carte dei nostri destini, che si rivela con più facce, tutte misteriose ingigantendo dubbi e domande: morirà con il caldo? perderà potenza con le azioni di lavaggio strada che producono gli unici rumori della Capital? E i medici che dicono? Arriva un vaccino? Quanti devono ancora morire?Si vive dentro la propria comoda trincea di casa, col frigo strapieno, il cibo che scade e si butta via, ma non si muore come in guerra, nel freddo con la faccia nel fango lungo le Ardenne o disintegrati da una forza nucleare manipolata. Callao su Gran Via, nodo nevralgico da quarant’anni della Movida madrilena, la più bella del mondo. Ora è un non luogo, svuotato come fosse un film su un futuro distopico.
Si vive in trincea, ma si muore da benestanti, con la pancia piena, il sedere al caldo, la tv privata, il divano in pelle, il materasso in memory e la spesa su Amazon consegnata a casa. Il virus ti stringe attorno al collo, gentile, un foulard di seta e ti soffoca con dolcezza. Annegandoti lentamente nel tuo sangue dopo che ti ha spappolato i polmoni, ma senza violentarti il volto, senza un gemito, solo un sussulto, come quando si affoga. Senza schizzi di sangue, braccia bucate da chemio o membra mangiate da infezioni. Il virus non ha odore né sapore. Si rivela con un gran mal di gola e febbre. Come la più banale influenza di stagione. Come quando esci in strada e hai ancora i capelli bagnati.
Si vive in trincea. E se sei un medico, non ricordi più da quanti giorni, da quante ore sei chiuso nel tuo camice che è l’unico scudo che hai per sopravvivere. Negli ospedali di Madrid scarseggiano i posti letti. Oltre 500 persone sono in terapia intensiva, tra la vita e la morte e i loro famigliari no possono restare al loro capezzale per non essere infettati. Domani saranno 600. In una sola giornata si sono ammalati in 3 mila. Numeri da peste medioevale, da genocidio virale. Scarseggiano i medicinali, servono 5 mila ventilatori polmonari, anche 3 mila vanno bene, forse ne serviranno 10 mila. Mancano le mascherine, i disinfettanti industriali. I medici fanno il massimo del possibile, senza sosta e invitano i parenti dei contagiati in terapia a restare a casa, a non intasare pronto soccorso e ospedali. Qualcuno già tira le somme e inizia a contare gli errori umani: le case per anziani sono dei lazzaretti che sfornano morti. Sono gli anziani i più deboli, si sa. Si dovevano proteggere. Ora un quarto delle vittime nazionali sono anziani che il virus si è portato via nelle loro ultima casa abitata. Solo a Madrid sessanta morti di residenti over 80 anni. Per le aziende di pompe funebri è un’ondata improvvisa di super lavoro.
Si vive in trincea con la paura di ricevere la telefonata del medico che ti dice che un tuo caro, purtroppo, non ce la ha fatta. Gli addi sono impossibili. Si chiude la porta, davanti a un vetro e ci si allontana col cuore gonfio di speranza e di dolore perché sai di dovere, anche tu, attendere quella telefonata. Plaza Real nei suoi secoli di vita, non à mai stata così vuota e spoglia.
Si vive in trincea aspettando ogni mezzogiorno il nuovo bollettino di guerra da Radio Madrid Moncloa: oggi 19 marzo siamo a 17.147 contagi, con oltre 3 mila nelle ultime ventiquattr’ore, come detto, e quasi 800 morti. E la soglia dei mille decessi è molto vicina, il nemico invisibile che si nasconde in una piega del palmo, su un lembo di fazzoletto, su un cucchiaino al bar. SE si è così avventurosi e stolti, di lasciare la trincea domestica, per camminare lungo le strade vuote di Madrid, lungo una terra di mezzo, una no man’s land, allora ti sentirai chiamato dal cielo, alzerai gli occhi vedrai un drone che ti punta la telecamera e altoparlanti per dirti di tronare a casa o di fermarti e attendere la Policia o i militari. Torna a casa, fai il bravo. Non c’è bisogno d’eroi, ma di medici. E mascherine e guanti. C’è bisogno anche di un miracolo. Uno potente che fermi le morti e ci dia il tempo di fabbricarci i nostri anticorpi.
Si vive in trincea quando nemmeno si è fatto il militare, e non si può immaginare nemmeno un decimo del dolore, del freddo e della fame provata dai nostri soldati. Ogni giorno ha lo stesso sapore e colore del precedente. Si aspetta il notiziario delle 21 per sapere che succede oltre le frontiere chiuse da quattro giorni. C’è il Portogallo che inizi a franare, inizia a essere un compagno malato di corsia troppo vicino. Il virus corre veloce e i contagiati fanno girare velocemente il tassametro della signora Morte. Anche in quella terra si è sbagliato, ci si è illusi di essere invulnerabili al virus se non si iniziava con la mania di termometri, tamponi e mascherine.
Qui a Madrid si vive nella propria comoda trincea. Si attende un armistizio, o una resa che non si sa quando arriverà a liberarci o a imprigionarci. E per lo più si vive senza capire, senza comprendere fino in fondo che cosa sta succedendo davvero. È una pellicola catastrofica? Un 11 settembre mondiale? La resa dei conti Umanità vs Natura? Ma che ca..succede? Perché devo avere paura in questa comoda trincea senza nemmeno poter lottare ad armi pare, se non scappare dietro a una mascherina?