In Spagna il virus è una vera fabbrica di disoccupati
La chiusura forzata delle attività produttive, per tentare di fermare la violenta epidemia di coronavirus, è destinata a ridurre pesantemente la crescita del Pil spagnolo per almeno tre trimestri, ma – quel che è peggio – potrebbe produrre più di due milioni di disoccupati, a tredici anni dalla grande crisi finanziari che lasciò il Paese con quasi sette ù milioni di disoccupati. Ad oggi si contano oltre 900mila senza lavoro in più Spagna a seguito del congelamento delle attività produttive non necessarie. Le scelte prese dal Governo di Pedro Sánchez hanno bisogno di tempo per aiutare gli spagnoli e la Spagna, come anche l’Italia, ha bisogno di un valido aiuto dalla Ue.
La Spagna ha un nuovo enorme problema da affrontare: la perdita di posti di lavoro. Nel giorno in cui il Paese piange i 10mila morti per il virus, e con i contagi oltre le 100mila unità, più dell’Italia, la Seguridad Social rende noto che nel marzo 2020 sono oltre 300mila i nuovi disoccupati rispetto a febbraio.
Nelle ultime due settimane di marzo, la riduzione delle persone iscritte alla Seguridad Social sale infatti fino a sfiorare quota 900mila. Sono lavoratori “scomparsi” che prima dell’epidemia lavoravano, ora non ci sono più, e non si sa quando avranno un nuovo posto di lavoro. E questo a poche settimane dall’apertura officiale della stagione estiva, quando il turismo (che vale il 14% del PIl spagnolo), assorbe molta forza lavoro.
Ormai cancellata la Settimana Santa, non solo un importante e sacro appuntamento religioso, ma anche il termometro di come andrà la stagione estiva, con le prenotazioni che ora sono state cancellate al 90% dalla paura del virus.
La crisi causata dall’epidemia porterà a un’inevitabile recessione, in tutti i Paesi del mondo, ma ciò che aspetta la Spagna è una crisi inedita, subdola, e molto rapida. Nel 2008 si raggiunse un numero così alto di senza lavoro in poco più che tre mesi (ottobre del 2008 – febbraio 2009). Questa volta, invece, sono bastate due settimane, dopo l’annuncio dell’emergenza nazionale, per gonfiare le liste dei disoccupati.
È solitamente un precario chi ha perso il lavoro in Spagna in modo così rapido. Fruitore di un contratto determinato in uno dei settori più vulnerabili come il turismo, ristorazione, ospitalità e la Spagna ha il più alto tasso di lavoratori temporanei o, meglio, di precari: almeno 450mila, registrati come lavoratori autonomi (a partita Iva) che si sono cancellati dalla Seguridad Social per mancanza di lavoro.
La crisi del lavoro che la Spagna ha iniziato a rivivere ha una causa e uno svolgimento diverso. Se nel 2008 fu il settore delle costruzioni a spingere nel baratro l’intera economia spagnola, rivelando le fragilità di un Paese con una crescita piantata tra il 3 e il 4%, ora l’effetto Covid-19 che colpirà gli spagnoli, quando l’allarme virus cesserà e le aziende riapriranno, sarà una guerra più difficile e complicata da contenere e risolvere. Ci vorrà un intervento non solo per le banche spagnole, ma soprattutto sulla popolazione con nuovi ammortizzatori sociali, potenti ed efficaci, per non lasciare nessuno indietro non creare una nuova categoria di poveri. Altrimenti i disoccupati supereranno quota sei milioni, forse anche 10 milioni, quasi il doppio prodotto dallo scoppio della bolla immobiliare.
Dal 2016 i senza lavoro, dai quasi sette milioni del 2013, sono scesi al 3 milioni e mezzo nel 2020, su una popolazione di 48 milioni di abitanti, prima della crisi del Covid-19.
Yolanda Díaz, ministro del Lavoro, socialista, con una gestione molto di sinistra, fatta di aiuti e ammortizzatori, parla di una “doccia fredda”, in un momento in cui la Spagna manteneva costante la sua crescita economica.
In quei tre milioni e mezzo che dovrebbero già essere 4 milioni e mezzo, non si contano i cassaintegrati prodotti dall’epidemia che sono già 600mila: a conti fatti la Spagna a fine 2020 dovrebbe avere quasi 6 milioni di senza lavoro. Un salto indietro nel tempo di dodici anni.