A Palamares, in Andalusia un borgo di poco più di mille anime, qualcuno ha lasciato molto più che un ricordo. Nei loro cieli c’era un continuo susseguirsi di aerei militari, alle 10 del mattino. In particolare, due aerei militari della US Air Force, come due rondini, volavano alti, sfiorandosi e avvicinandosi, effettuare un veloce contatto per poi allontanarsi, ognuno per la sua strada. Era un appuntamento puntuale, quotidiano, tanto che i contadini che lavorano nei campi utilizzavano l’arrivo dei due aerei come un orologio.
Il 17 gennaio del 1966, però, i due velivoli, calcolarono male le distanze, si scontrarono ed esplosero i mille pezzi. Nello scontro, quattro bombe nucleari caddero dagli aerei conficcandosi in tre nel terreno e una finendo in mare, in una scia di fiamme e fumo.
I due velivoli dell’aviazione statunitense portavano, rispettivamente materiale nucleare e carburante: quell’operazione in volo, infatti, che puntualmente attirava l’attenzione degli abitanti di Palamares, era di rifornimento, detta operazione Chrome Dome, una missione militare in azione al 1961 al 1968: velivoli militari monitoravano il territorio, rimanendo sempre in aria, pronti a sventare attacchi o ad attaccare l’Unione Sovietica.
In piena Guerra Fredda, e mentre il tallone di Francisco Franco schiacciava con il suore regime fascista la Spagna, non c’erano ancora i satelliti spia o i razzi intercontinentali, capaci di colpire Mosca in poco tempo. E si suppliva così.
Risalivano agli anni Cinquanta, la costruzione sul suolo spagnolo di basi militari americane in base agli accordi con el caudillo. Madrid aveva concesso agli yankee lo spazio areo per operare indisturbati. E la penisola iberica iniziava una felice era di benessere economico, aprendo le porte al turismo dal Nord Europa e dagli Stati Uniti.
Le bombe, per fortuna, non erano state innescate, altrimenti avrebbero scatenato una potenza di settanta volte più potente di quelle sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Una tragedia, insomma. Tuttavia nessuno si ferì nell’incidente. Un ordigno raggiunse il suolo aiutata da un paracadute, mentre le altre due si disintegrarono al suolo, rilasciando pericoloso plutonio, in area e terra. E, invece, che organizzare un piano d’emergenza per proteggere la popolazione, il governo franchista, mise tutto a tacere, ma la notizia trapelò dai radiogiornali di Francia e Regno Unito che dedicarono molto tempo all’incidente, denunciando l’insabbiamento del regime e gli inermi abitanti di Palamares, vennero a conoscenza dei pericoloso ordigni piantati nella loro città. I giornali spagnoli, soprattutto quelli locali, raccontarono di una curiosa operazione dei militari americani per rimuovere qualche tonnellata di terreno ed erba contaminati, mentre ben trenta navi e quattro sottomarini statunitensi si prodigavano nella ricerca dell’ordigno nucleare finito in fondo al mare, prima che i russi potessero individuarlo. Migliaia i militari impiegati nell’operazione di recupero, ma non furono loro a individuare il punto esatto nel fondo del mare dove era adagiata la bomba: fu un semplice pescatore della zona, Francisco “Paco” Simó Orts, che si era visto cadere la bomba due passi dove stava pescando. Paco divenne da subito, l’eroe nazionale, il salvatore non solo di Palamares, ma dell’intera Spagna. Franco gli promise un premio in denaro e una nuova barca da pesca. Tuttavia, come riferirono successivamente i sui parenti, al povero pescatore della bomba, non entrò in tasca un bel nulla. Salvate le acque, restava il pericolo della contaminazione del plutonio che si era sparso nell’aria. Il plutonio, elemento altamente radioattivo, se non bonificato, col tempo si trasforma in americio ed inalato colpisce il sistema nervoso provocando deformazioni genetiche nei futuri neonati. Il Comune di Palamares denunciò l’incuria dei militari americani nel ripulire e bonificare la zona, considerando che la zona è battuta da un forte vento.
Il tempo passava e la storia delle bombe di Palamares finiva sempre più nel dimenticatoio, tenuta ben nascosta per non spaventare i turisti, in un Paese che vive di un consistente Pil proveniente dal settore dell’ospitalità (la Spagna dai primi anni Ottanta, ha superato per numero di presenze turistiche l’Italia). E, ancora oggi, a distanza, di quasi sessant’anni dall’incidente, le radiazioni sono presenti in 50 mila metri cubici di terreno. Questo costringe gli abitanti della zona a sottoporsi di continuo a esami medici per monitorare il loro stato di salute, soprattutto da parte di chi lavora nei campi ed è maggiormente esposto quei veleni.
A oggi non esiste uno studio con dati sugli effetti provocati dal plutonio sulla popolazione della zona e dagli anni Ottanta esiste una lunga disputa legale tra Madrid e Washington sulla mancata bonifica di quei terreni. Il presidente del Consiglio Pedro Sanchez sembrava avere raggiunto un accordo con l’amministrazione di Joe Biden, ora bisogna ricominciare da zero, sperando che il neo incoronato presidente Donald Trump si mostri disponibile verso questo piccolo borgo spagnolo, diventato, non per sua colpa, un pericoloso cimitero di scorie nucleari, un retaggio della Guerra fredda.