Elezioni spagnole: il peso del voto femminile
A quattro giorni dalle elezioni legislative, la Spagna si fa i conti in tasca, aiutata dalle previsioni, e scopre, senza sorprendersi, che il suo quadro politico è fermo allo scorso autunno: un fragile castello di numeri precari per una maggioranza targata Socialisti (Psoe), in rialzo, ma di molto sotto la maggioranza assoluta (170 seggi), in balia del rischio di cadere al primo alito, anche se con otto punti di vantaggio sull’opposizione dei Popolari (PP).
Il Psoe del premier uscente Pedro Sánchez, infatti, è il favorito, rispetto alle legislative anticipate del 2016, con il 28 per cento, potrebbe ottenere tra i 115 e i 130 seggi (contro gli attuali 85), mentre per il PP del giovane Pablo Casado si stima una derrota fatal, uno sconvolgente calo al 22 se non 20 per cento. Il peggiore della sua storia, con meno di 100 scranni. Incidono le divisioni dei tre partiti di destra che dovranno convivere per sperare di governare. L’elettore conservatore potrà scegliere tra il PP, Ciudadanos di Albert Rivera – che con il 15 per cento ha spostato il suo baricentro a destra, vanificando ogni speranza del Psoe per eventuali inciuci o la ultra destra di Vox che potrebbe imporsi con 15-20 seggi, se non fare il boom con 30, strappando tra il 10 e il 15 per cento. Dall’altra parte, Pablo Inglesias ha attirato su Podemos la sinistra di Izquierda Unida e i verdi di Equo assieme a una miriade di alleati locali: gli ex Indignados puntano al 15 per cento (40 scranni, contro i 72 del 2016 quando si presero il 21 per cento).
Pende, però, un altro dubbio sull’esito: il fattore femminile che, in un Paese che si dice progressista, bisogna maneggiare con prudenza. Aizzato dalle dichiarazioni da brivido di Santiago Abascal di Vox, su aborto ed eguaglianza, il femminismo iberico è entrato con prepotenza nel dibattito politico. Passate le proteste di massa dello scorso 8 marzo, la falange di sinistra con i socialisti in testa rivendica i diritti delle donne, ma poi si dimenticano clamorosamente di candidarle nei posti di comando, mentre i più conservatori lo chiamano «femminismo radicale» e non si accorgono che mezza Spagna è in subbuglio per una foto apparentemente innocua, che vede una signora delle pulizie lucidare il pavimento dello studio televisivo, pochi minuti prima dell’inizio del dibattito dei quattro candidati uomini (il quinto Abascal era assente). Immagine simbolo della preponderanza machista che dà per normale la predisposizione delle donne a lavori di pulizia.
Tuttavia il voto femminile potrebbe fare da ago della bilancia domenica prossima. I sondaggi avvertono che il 60 per cento degli elettori indecisi, sono donne. E anche se i principali partiti, hanno corteggiato l’elettorato femminile con temi in rosa, denunciando che una spagnola guadagna il 16 per cento in meno rispetto a un uomo, nessuno ha pensato a loro per i posti di comando. L’analista e politologa Cristina Monge su El País scrive: «Dal 15 maggio i movimenti femminili sono in mobilitazione, chiedono partecipazione e presenza più attiva nella politica, non posti da vice, ma da titolare».