A quattro giorni dalle elezioni gli spagnoli hanno le idee poco chiare. Dopo aver ascoltato i quattro candidati alla presidenza di Governo (il quinto, il leader di Vz, Santiago Abascal non ha ritenuto opportuno accettare il dibattito in Tv), si è visto un Pedro Sànchez, ex premier uscente, brillare molto poco e impegnarsi nel ricordare gli scandali di corruzione al collega del Partito Popular Pablo Casado, piuttosto che elencare i punti programmatici della sua politica. Domenica  37 milioni di spagnoli sono chiamati alle urne per la terza volta in quasi quattro anni, per tentare di eleggere un esecutivo in grado di arrivare al giro di boa di quattro anni, senza finire, nuovamente nello stallo politico dell’ingovernabilità e delle coalizioni zoppicanti come è avvenuto fino a oggi. Da oltre un lustro, con l’avvento dei partiti populisti di Podemos e Ciudadanos, la politica spagnola, ha perso la sua vocazione bipartisan. E da allora i partiti tentano sempre l’alleanza per governare che è la meno peggio.
I quattro capolista, lo ricordo per chi non è troppo dentro la politica dei cugini spagnoli, sono: Pedro Sánchez del Psoe, il premier uscente che ha governato meno di un anno, sedendo sulla poltrona di Presidente del Governo soltanto lo scorso giugno, dopo il ribaltano dell’esecutivo del premier popolare Mariano Rajoy, sconfitto da una mozione critica di sfiducia che lo ha costretto alle dimissioni e a passare lo scettro ai socialisti del Psoe. Segue l’erede di Rajoy, il giovane e ambizioso Pablo Casado che ha promesso di rinnovare il Partito Popular e tutta la destra spagnola, per allontanarla dagli scandali di corruzione che hanno imbrattato di fango il partito. Il terzo candidato è Albert Rivera, leader di Ciudadanos: il politico catalano ha inventato i Cittadini al potere confluiti in un partito, nato dal basso, come direbbe Di Battista, una falange simile a Podemos per genesi, ma diversa per collocazione politica, sono più centrodestra, cattolici, sovranità, a cui piace Macron e l’unità della Spagna. Ultimo, ma non ultimo candidato, è Pablo Iglesias di Unidas Podemos, il professore di Diritto con il codino da tanghero che da quattro anni tira le redini del partito nato dalle ceneri degli Indignados. Per molti versi, la loro formazione ricorda il Movimento5S, dacci però, tempo fa hanno posto le distanze ideologiche. Ciudadanos appoggerà il PP per tentare di prendersi più seggi, ma da soli i due partiti di destra non ce la possono fare senza quel contributo dell’11-13 per cento che potranno avere da Vox, il controverso e super contestato partito dell’ultra destra spagnola. Lo stesso vale per il Psoe di Sánchez: ha bisogno dell’appoggio di Unidas Podemos per raggiungere una striminzita maggioranza e provare a rigovernare anche corteggiando i due potenti partiti nazionalisti della Catalogna e dei Paesi Baschi coi quali, da tempo, non corre buon sangue.
Ciò che si vedrà il 29 aprile prossimo non è ancora molto chiaro: sulla carta Psoe e UP dovrebbero ottenere il maggior numero di voti, ma sarebbe sempre, come detto, una vittoria di misura, fragile e difficile da gestire, davanti ai grandi temi come la riforma delle pensioni e la questione dell’indipendenza catalana che da anni soffoca i dibatti politico parlamentare.

Molto influente sarà il voto di quel 60 per cento di elettori indecisi che sono donne. Inoltre da tre mesi la mobilitazione dei movimenti femministi, dal più moderato a quello radicale, sta fortemente calamitando l’attenzione dei candidai che hanno usato sempre parole di intesa per rilancia tematiche in rosa e riaffermare la volontà di combattere ogni violenza di genere, in una paese che spesso, nel passato recente, ha ottenuto il primo posto nella classifica di violenza sulle donne da parte dei partner, fidanzati, mariti.

Da ricordare che, a distanza di quindici anni, José Maria Aznar, l’eminenza grida della politica spagnola, il due volte premier per il PP nella Spagna che risorgeva dopo il Medioevo della dittatura, è sceso ufficialmente in campo dopo anni di silenzio e di disaccordi con la dirigenza dei Popolari. Aznar ha appoggiato ufficialmente il giovane Pablo Casado che non sembra piacere molto ai conservatori: i sondaggi danno Il PP a otto punti di distanza dai Socialisti (Psoe al 28 per cento) e per alcuni rischiano anche di scivolare al 19 per cento. Sarebbe una catastrofe: a erodere voti alla storica destra spagnola c’è Vox, l’ultra destra nata nel grembo della profonda Spagna dell’Andalusia, stimolata dalla protesta contro la corruzione e la nuova ondata di migranti clandestini. SE al parlamentino di Siviglia Vox ha preso un notevole 10 per cento, ora punta a entrare nelle istituzioni di Madrid ed è dato tra il 15 e i 20 per cento, ma potrebbe fare il boom e sfondare quota 25 per cento. Domenica prima di mezzanotte la Spagna avrà una nuova faccia politica, ma non si sa se capace di governare con stabilità fino al 2023.