Il soprano Eleonora Buratto, dopo il successo al Teatro di Madrid porta Puccini a New York
Ha appena concluso al Teatro Real de Madrid, nella parte di Mimì, le repliche della Bohème di Puccini, tra dicembre 2021 e la prima settimana di gennaio 2022. Il soprano Eleonora Buratto, classe 1982, nata a Mantova e residente nella Franciacorta, è un’artista instancabile e la attende un nuovo anno ricchissimo d’imegniin giro per il mondo, benché la pandemia. L’ho intervistata per “Piel de Toro”, Blog de Il Giornale.
Buongiorno Eleonora, che cosa ha provato a ritornare a calcare il palcoscenico con il pubblico in sala dopo un anno difficile per l’opera.
È stata una grandissima emozione, perché sa sempre credo che il pubblico sia parte integrante dello spettacolo. Io come tanti artisti ho ringraziato le produzioni teatrali per avere fato lo sforzo di ritornare sul palco e di eseguire l’opera, pur senza pubblico, in streaming, ma ci è mancato sicuramente qualcosa. E non perché siamo dei vanitosi e pretendiamo l’applauso del pubblico: durante lo spettacolo gli artisti avvertono la tensione e l’emozione del pubblico e questo ci carica d’energia, in uno scambio reciproco d’emozioni.
Parlando di Puccini, come è andata la Bohème al Teatro Real di Madrid?
Questa è un’opera che io ho più interpretato e sviscerato. Questa “Bohème” è molto importante perché mi ha permesso di fare un altro passo in avanti, perché interpretare la medesima opera più volta, non significa annoiarsi, ma permette di cercare quello stimolo in più, quella sfumatura in più per arricchire ulteriormente il personaggio. E credo che questa di Madrid sia stata la mia migliore “Bohème” fino a oggi.
È sempre presente l’emozione a ogni debutto, che sia il primo o l’ultimo?
Esiste sempre l’emozione a ogni debutto, anche se ce ne sono stati diversi, ma ognuna ha il suo livello di tensione ed emozione. Io mi emoziono sempre quando canto, anche se l’apice dell’emozione arriva quando debutti per la prima volta in un’opera e nel tuo c’è personaggio. Poi ci sono livelli più bassi, in base agli anni e all’esperienza, ma sempre di emozione si tratta.
Come ha reagito il pubblico del Teatro Real?
Ha confermato di essere un pubblico molto caloroso e attento. Anche se, alla generale, il pubblico formato da studenti madrileni mi ha saputo trasmettere un entusiasmo che il pubblico adulto, forse perché è più composto, non riesce.
Lei si è perfezionata sotto la guida di Luciano Pavarotti ed è stata diretta dal maestro Riccardo Muti e ha debuttato proprio nella Bohème nel 2007, opera che ora è tornata a interpretare, ma questa volta nel ruolo di Mimì. Che ricordo ha di Luciano Pavarotti?
Di una persona estremamente generosa, molto premurosa, vorrei ancora ora, con la mia attuale esperienza acquisita, poter ascoltare i suoi preziosi consigli riguardo all’impostazione tecnica. Vorrei tanto riaverlo adesso come insegnante per continuare a perfezionarmi, all’epoca ero giovanissima e mi mancava ancora una base solida. Custodisco ricordi meravigliosi di Pavarotti, della sua forza e passione uniche per la musica. Anche durante la sua malattia, nei difficili giorni della chemioterapia, ci apriva le porte di casa sua per darci lezioni. Sono ricordi preziosi che porterò sempre con me.
Deduco dalla sua voglia di continuare ad apprendere, che non…
…si finisce mai d’imparare. Soprattutto da questi grandi artisti mondiali con un vissuto così straordinario e unico come Pavarotti che, purtroppo ci ha lasciato.
Come è essere diretta dal maestro Riccardo Muti?
È stato anche lui fondamentale per la mia carriera e la mia crescita personale. Attraverso di lui ho potuto seguire l’evoluzione della mia voce e del mio repertorio. È stato grazie a lui con il mio debutto nel “Simon Boccanegra” (riproposto nel 2014 al Tokyo Bunka Kaikan sempre diretta da Muti, ndr) che ho iniziato a pensare al cambio di repertorio. Non che prima non ci pensassi, però lo stavo spostando come data fino a quando, con la proposta del maestro, per questo ruolo meraviglioso, mi sono messa dal 2011 al 2012 a studiare il ruolo per un anno intero in modo da iniziare una fase transitoria nel cambio del repertorio.
Bellini, Rossini, Donizeti e Bizet…qual è il compositore con cui si sente più a suo agio?
Devo dire che benché io ami Giuseppe Verdi e lo stia affrontando da pochi anni, la mia voce in questa fase, la sento molto più a suo agio con il repertorio di Giacomo Puccini, ma voglio trovare questa confidenza anche con le opere di Verdi.
Lei ha lavorato parecchio all’estero. Tralasciando il pubblico italiano, in quale Paese si è sentita più apprezzata?
Senza togliere niente a nessun pubblico, credo che quello giapponese sia il più caloroso. Anche con i suoi fan. Loro sono in grado di farti sentire la Lady Gaga della lirica. Sono veramente speciali, ti trasmettono tutta l’adorazione che hanno per te e per la tua arte. Ripeto, senza nulla togliere al pubblico italiano, loro hanno un qualcosa in più, pur non avendo una tradizione storica di compositori come in Italia e in Europa.
Ha un soprano di riferimento?
Ne ho tanti e ne ascolto tanti, anche per capire come si sono evoluti in questi anni canto e interpretazione. I miei soprani di riferimento sono, sicuramente, Renata Tibaldi, Maria Callas, Renata Scotto, Mirella Freni. Le ascolto tutte e poi, mi soffermo, su alcune in base al ruolo che devo interpretare, perché ognuna aveva il suo repertorio. Ma le ascolto anche in personaggi e opere che io non devo interpretare, soltanto per la voglia di ascoltarle. E perché sono lezioni uniche di canto e rappresentano per me importanti punti di riferimento.
Facciamo un passo indietro. Come e quando nasce la sua passione per il canto classico?
La passione per la lirica è totalmente mia. Non c’è stato qualcuno in famiglia che mi ha avvicinato ad essa. Nessuno in famiglia l’ha studiata e ne ha fatto un professione. Ma gli zii paterni erano appassionati d’opera. E uno di questi zii quando ero bambina mi chiamava sempre Fedora e io non sapevo chi fosse. Però la mia passione per la musica non è partita con la lirica, l’unica vinile d’opera che girava in casa era un concerto dei “Tre tenori” che, forse, non ho nemmeno ascoltato: la mia passione è esplosa con il rock e il pop, poi, piano piano, mi sono avvicinata alla lirica, entrando in un coro di voci bianche, fino a quando sono entrata nel conservatorio (Conservatorio Lucio Campiani di Mantova, ndr). All’inizio ero un po’ disorientata, e perplessa, mi dicevo: “Ma questo è un lavoro? Si può lavorare?”. Ero in un’altra realtà, cercavo di capire quale fosse il percorso da intraprendere. Per me era tutto un’incognita grandissima, perché il conservatorio non finisce lì, c’è tutta una strada da percorrere. Infatti, alla fine del liceo mi ero anche iscritta alla facoltà di farmacia, tenendomi un piano B di riserva. E per tre anni ho studiato in conservatorio e all’università, poi ho preso una decisione definitiva e mi sono buttata nella lirica e non ho mai rimpianto questa scelta. Anche se non nascondo che l’idea di avere una laurea mi affascinava, ma alla fine la mia professione artistica mi ha dato e mi sta dando molto.
Quali sono i suoi prossimi impegni, ora che lo scorso 4 gennaio ha concluso al Teatro Real?
A fine gennaio sarò all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma con il maestro Antonio Pappano, per la “Messa” di Gioacchino Rossini (dal 27 al 29 gennaio 2022, ndr). E subito dopo sarò al Théâtre des Champs-Elysées
a Parigi con “La Messa da Requiem” (che Giuseppe Verdi compose nel 1874 in onore di Alessandro Manzoni) diretto dal maestro Daniele Gatti (dal 3 al 5 febbraio 2022, ndr). A fine febbraio volo in America, dove a marzo avrò il mio debutto alla Metropolitan Opera con “Madame butterfly” (da metà marzo fino a maggio 2022, ndr). Sono molto entusiasta perché vivrò a New York per tre mesi, fino alla fine di maggio perché sempre al Metropolitan ritornerò con la “mia” Bohème. A New York, il pubblico mi vedrà come una cantante pucciniana, anche se lo convincerò che so fare altri ruoli in altre opere di altri autori.
Dove e come si vede tra una ventina d’anni?
Spero di avere una bella casa con giardino e piscina e con tanti cani e gatti! Mi piacerebbe insegnare, sicuramente. L’insegnamento è una cosa seria. Ora non per il tempo che ho a disposizione non posso permettermi d’insegnare. Probabilmente nei prossimi anni, sperimenterò delle masterclass per lasciare la mia impronta, insegnare ai miei allievi ciò che ho imparato. Poi potrò pensare all’insegnamento. Ma al momento voglio continuare a cantare ancora per un bel po’.