Ormai da tempo non ha più alcun senso fare confronti tra Spagna e Italia. Era di moda qualche anno fa, quando tutti i media giocavano a ipotizzare un duello tra Madrid e Roma, azzardando un probabile sorpasso. Di sfide con i cugini iberici en abbiamo da vendere: dal campionato di calcio, al prosciutto, ma dobbiamo ammettere che il sorpasso c’ sito, e che Spagna e Italia stanno giocando in due zone diverse dell’Eurozona: Madrid vola verso l’alto con un Pil a +2,8%, mentre l’Italia è in fondo alla classifica che annaspa soluzioni.
Ne è testimone l’evoluzione dello spread con il Bund tedesco dei nostri BTp e dei loro Bonos, con il sorpasso spagnolo avvenuto già nel 2013.
La Spagna è uscita dalla crisi nello stesso periodo dell’Italia, ma dopo pochi mesi ha ricominciato a crescere: ha chiuso i conti con la Troika, ha attuato una pesante riforma del mondo del lavoro, tagliando stipendi pubblici e privati. Ha buttato già la medicina molto amar di Bruxelles e ha avuto il semaforo verde per la finanzia (che poi per motivi di maggioranza non ha ancora approvato). Madrid ha ridotto il suo debito pubblico, Roma è strozzata dal pagamento dei suoi interessi.
Non bisogna stupirsi oggi nel leggere che il Pil pro capite spagnolo a parità di potere d’acquisto ha superato quello italiano, e che la “forbice” tra i due Paesi è destinata ad allargarsi ancora.

Già prima della crisi la Spagna correva più forte rispetto all’Italia (tra il 2000 e il 2007 Madrid è cresciuta del 3,5% medio annuo contro l’1,2% di Roma), raccogliendo i frutti dell’era Aznar con le sue riforme economiche, liberalizzazioni e privatizzazioni. La grande crisi ha colpito con violenza entrambi, mettendo in ginocchio il settore immobiliare e bancario spagnolo, ma uno dei due Paesi ha saputo rinnovarsi, facendo scelte dolorose che l’hanno reso più competitivo, mentre l’altro ancora lì, in zona retrocessione, a giocarsela con la Grecia. La Spagna ha attuato, che dicevamo prima, alcune riforma: una per risolvere il problema della bassa produttività spagnola, un male comune con l’Italia. Il tessuto produttivo iberico è formato per lo più da piccole e medie imprese (PMI), soprattutto piccole attività, molte a guida familiare. Mancano grandi aziende e quindi la produttività è modesta. La crisi finanziaria e il credit crunch hanno negato soldi a queste imprese in sofferenza. Per aiutare le PIM spagnole Madrid ha varato due importanti leggi. Una sulla concorrenza economica (2013): lo scopo di questa legge è stato di promuovere, proteggere e garantire la libera concorrenza e la competizione economica, nonché prevenire, indagare, combattere, perseguire efficacemente, punire severamente ed eliminare monopoli, pratiche monopolistiche e concentrazioni. Madrid ha poi riformato la disciplina dei fallimenti con nuove norme che hanno avuto effetti positivi da subito sulle PMI spagnole.
Fu il Governo di centro-destra di Mariano Rajoy a riformare il suo mercato del lavoro tre anni prima dell’Italia nel 2012. Il Governo è intervenuto sulla flessibilità in uscita e sul dualismo fra lavoratori con contratti di durata diversa, ha introdotto misure che hanno spostato la contrattazione collettiva dal livello settoriale e regionale a quello di impresa. In questo modo è stata favorita la flessibilità interna delle aziende, in termini sia di orari che di mansioni. L’effetto immediato è stato una moderazione significativa della dinamica salariale, consentendo all’occupazione di tornare a crescere, anche se il tasso di disoccupazione spagnolo resta molto più alto rispetto all’Italia, dove però, eccelle il lavoro nero.
La Spagna è riuscita a ripartire rapidamente, anche grazie alla tempestiva messa in sicurezza delle banche che, per via della bolla immobiliare e delle difficoltà delle Casse di risparmio iberiche, erano in condizioni nettamente peggiori di quelle italiane. A giugno 2012, nella fase più acuta della crisi del debito sovrano, Madrid aveva infatti chiesto l’assistenza finanziaria dell’Unione europea, per irrobustire il sistema bancario nel lungo periodo ripristinando così il suo accesso al mercato. E queste riforme non avrebbero avuto un buon successo immediato, assieme alla messa in sicurezza delle banche se, l’encomia spagnola non avesse continuato a crescere, a marciare senza pause fino al quasi +3 per cento di oggi.
È quindi lecito chiedersi dove l’Italia ha fatto meglio della Spagna? Nel sistema industriale diffuso, nel tasso di disoccupazione e nei risparmi accumulati degli italiani. La cifra è il doppio del debito pubblico, solo se consideriamo le attività finanziarie, e diventa il quadruplo se includiamo gli immobili. Italiani più risparmiatori e proprietari di casa rispetto ai cugini spagnoli.

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