Per un barlume di secondi mi chiedo se sono stato spedito a Beirut negli anni Ottanta? No, sono a Barcellona che brucia come un cerino bagnato di etanolo, ricaduta nel vandalismo di chi protesta contro Madrid, contro i giudici, contro Francisco Franco, contro tutto e tutti.

Carrer Mallorca brucia, avvolta di bagliori e scintille, come se ci fosse una fonderia in attività. Le fiamme sono così alte che si vedono a settecento metri dall’intersezione con Pau Claris e anche da Carrer Jacint Verdaguer. Sono bagliori impressionanti, esplosioni che fanno sobbalzare. Per una perversa e obbligata curiosità da reporter spingono ad andare a vedere che cosa sta succedendo: i dimostranti saranno riusciti a sfondare il cordone della Policía Nacional e della Guardia Civil che difende il palazzo della Delegazione del Governo di Spagna? Una delle fronde di manifestanti ha come obiettivo proprio quel palazzo. Lo era anche due anni fa, nel 2017 quando i manifestanti erano riusciti ad assediarlo.  Bruciano, come piccoli inferni bombardati, i contenitori della raccolta differenziato, almeno quattro cassettoni su ogni incrocio. Le fiamme ingoiano l’oscurità e confondono le immagini. Come sono confusi  i pensieri, le parole di chi guarda, degli abitanti, quei Barcellonesi che guardano preoccupati dia balconi, che amano ogni piastrella della propria bellissima città che non merita, come nessuna città civile, tale scempio.

I roghi appiccati dai manifestanti in calle Mallorca a Barcellona

I roghi appiccati dai manifestanti in calle Mallorca a Barcellona

Ma che cosa sta bruciando? Forse è un’auto..forse due…che fa la polizia, perché questo silenzio improvviso…perché non arrivano i pompieri..?
Nella zona bene di Barcellona, quartiere Exaimple, il Parioli catalani, l’aria è infestata dalla puzza di plastica bruciata e dalla paura di una realtà dispotica che si avvera ogni ora.  Qualcuno, esagerato, invoca  un Canadair, la cui forza potrebbe spegnere e fermare tutto, inondando ogni centimetro quadrato, ripulendo dai marciapiedi, polizia e manifestanti, raffreddando quelle teste calde che da oltre 48 ore hanno scelto la violenza come unica forma di protesta.
Ma quell’acqua piovuta dal cielo, in una sera tiepida del mite autunno barcellonese, potrebbe anche distruggere tutto: palazzi, strade. Con una furia biblica. Impressionante come tutto quel fuoco che è solo un nemico.
Nessuno davvero crede che sta accadendo, di nuovo, a Barcellona, come due anni fa. Arrivano i pompieri, i manifestanti vogliono fermarli, la  polizia apre un varco, gli idranti sputano acqua, mentre i dimostranti danno fuoco ad altri cassonetti.
La zona tra Mallorca, Pau Claris, forma un croce infuocata. Cento metri indietro, i bar de tapas e de copas restano aperti, ma seduti ai tavolini non ci sono i turisti, fuggi nei loro hotel,  ma i barcellonesi, i più anziani, con le loro pinte di birra a metà che guardano le fiamme, i pompieri e gli agenti della polizia che manganellano e caricano i dimostranti, come in un film già visto, che però stupisce sempre. Qualcuno grida: “Visca Catalunya lliure!”, Viva la Catalogna libera! E un coro spontaneo si aggiunge alla cacofonia di sirene, botti e grida.
Da dove vengono le voci? Da dietro il fuoco e il fumo acre che riempie di lacrime gli occhi. Guardando più vicino, con un fazzoletto bagnato d’acqua sulle labbra, (siamo controvento), si vedono due folle di protestanti: una su Pau Claris e una a Mallorca. Le ombre veloci e tagliate dal fuoco alimentano i roghi con cartone e sacchetti di immondizia. Martedì notte a Barcellona è il turno della raccolta di carta e cartono e anche di vecchi mobili. Tutto brucia come paglia nell’aria serena, leggermente ventosa. Nel ristorante all’angolo, a duecento metri dagli scontri, barcellonesi e qualche turista curioso cenano normalmente. Ogni tanto gettano uno sguardo dalle vetrine, poi tornano alla loro tortilla. Sono le 21.30.

A metà di calle Mallorca, l’epicentro della crisi, verso le sette di sera sono arrivati i dimostranti, quelli più esagitati dello Tsunami Democratic, un ossimoro già nel nome. Volevano assediare il bel palazzo settecentesco della Delegazione del Governo di Madrid, ma hanno trovato schierate due file di agenti in assetto da sommossa, con i blindati alle spalle. Già un paio di settimane c’era stata una concentrazione, totalmente pacifica, con tanti ragazzi seduti per terra con le candele a cantare antiche canzoni catalane per chiedere la liberazione dei prigionieri, politici catalani oggi condannati. Ora gli animi e le persone sono diverse. Dagli altoparlanti dei blindati fuoriescono inviti a liberare la strada, a disperdersi. Dieci minuti dopo la Policía Nacional carica la folla che si spacca in due come un masso di marmo con un colpo solo alla sua spina nevralgica. Urla e grida e vaffanculi a pioggia: “Fuori le forze di occupazione!” e poi guerriglia e fiamme. Un manifestante fugge con lo scudo trasparente dei Mossos, applaudito per quel prezioso bottino. Un gruppo di incappucciati nelle felpe, tenta di rovesciare l’ennesimo cassonetto: avranno poco più che vent’anni. Non temono le fiamme, né le manganellate, tantomeno i terribili proiettili di gomma (dichiarati illegali dalla Corte europea) e che hanno già disintegrato un occhio a un ventenne lunedì sera.
Nell’elegante Paseo de Gracia che conta dieci palazzi protetti dall’Unesco, tra cui la Pedreira di Antoni Gaudì, brucciano una decina di cassonetti. I pompieri sono all’opera, i turisti sbigottiti guardano e si stringono contro il muro e le vetrine degli eleganti palazzi. La situazione è fuori controllo, i Barcellonesi guardano dai balconi dei loro appartamenti, quindici metri più in alto. A Consell de Cent,all’altezza della lunghissima Aragona si odono degli scoppi improvvisi e una sirena. Molti scattano foto e riprendono coi cellulari.
Lo fanno anche i manifestanti, incappucciati che dal centro in fiamme di Barcellona, appesi ai loro smartphone, caricano storie su Instagram a tutta velocità, distribuendo video sulle loro reti personali, chiedendo che nessuno rimanga a casa, ma invitando alla sollevazione, a scendere in strada per combattere contro le forze di occupazione mandate da Madrid. Sono le 22.45.

Succede questo in una delle vie più nobili della Catalogna. Il negozio Cartier è conciato male, come quelli con tutte le griffe della moda. Hanno distrutto anche Zara, simbolo del successo mondiale della Spagna nella moda popolare. Le banche hanno le vetrine che Ono puzzle di schegge e buchi. Un anziano porta i braccio un bambino con la maglietta di Messi. Qualche capo urla di proteggerli, di non lanciare nessun oggetto contro le vetrine. La Policía Nacional è assente, impegnata altrove, dove la guerriglia è ancora in atto, nel cuore del quartiere Eixample, dove si carica ancora contro i manifestanti e i pompieri stanno spegnendo i nuovi roghi appiccati.
La massa su Paseo de Garcia si muove spontaneamente al ritmo dell’anziano col bambino. C’è qualche telecamera, viene spintonata, ma al gruppo, al branco, piace che la stampa mondiale riprenda e informi. Partono i cori per la liberazione della Catalogna. A Madrid non si produce più prosciutto, perché tutti i maiali sono stati mandati qui, urla un dimostrante dietro la sua sciarpetta araba.
“Siamo persone di pace, siamo persone di pace “. Urla un altro. Il grido raggiunge la folla agitata che lo assorbe. Pacifici e incazzati. Un altro ossimoro. Ma c’è un anziano, forse ubriaco, che invoca Franco e sembra provocare quaranta manifestanti rabbiosi che lo circondano subito come leoni famelici. Invocare al caudillo è come andare ad Harlem negli anni Settanta con una maglietta che recita: “Odio i negracci”. Si sopravvive pochi secondi, ma poi qualcuno ordina di non toccarlo.Una donna urla dalla finestra di un palazzo sull’angolo con Mallorca, chiede di lasciarlo stare. Non ci sta con la testa. Soffre di Alzheimer. Ma risono i veri pazzi qui? Rdacchia un cameraman inglese. Il vecchio pazzo malato viene spintonato con cura, poi capisce di essere in trappola e porge le spalle, facendo il gesto come se volesse urinare sul marmo pregiato del palazzo ottocentesco, dove probabilmente abita. Sono le 23.30.

Su Mallorca le fiamme sono ancora alte e le sirene della Policia continuano a rompere i timpani. Ci sono dozzine di blocchi di manifestanti radicali intorno, in quel reticolo di strade che se le guardi dall’alto del Tibidabo, in una serata estiva, sembrano mille bave luminose che tracciano un reticolato perfetto e palpitante, che ipnotizza, l’Eixmple, il quartiere della Barcellona bene, quello che più di tutti sta pagando il conto degli incendi. C’è fuoco dappertutto, non c’è traccia di alcuna polizia, solo un elicottero della Guardia Civi batte le pale nel cielo fumoso di Barcellona. Dove sono i mille agenti promessi dal premier Sánchez già una decina di giorni fa? La rabbia e anche un po’ di esibizionismo violento, nidificano nella folla di dimostranti, apparentemente senza capi. Appena sono inquadrati, fanno gestacci e prendono a calci le auto e le vetrine. Poi si intona il ritornello “Fuori dai fascisti delle nostre strade”.

E la sindaca progressista Ada Colau che fa? Non ha ancora rilasciato una dichiarazione. Ha indossato l’abito da sera e se ne è andata al riservatissimo gala della casa editrice catalana (controllata da De Agostini Italia) Planeta che celebra i suoi Awards, i suo premi dell’editoria 2019. Mentre la sua Barcellona va a fuoco e si sporca di gomma bruciata. Lei col  Governatore catalano Quim Torra e altri assessori e alti delegati sono seduti a un tavolo ben imbandito, con le posate d’oro e tre camerieri che versavano cava d’annata (lo champagne catalano). Oggi qualcosa dovrà dire, la sindaca che due anni fa, durante le sommosse del post referendum, lanciò una velenosa e coraggiosa invettiva contro Madrid, colpevole di avere occupato e violentato la sua città. È mezzanotte e mezza e nessuno vuole andare a dormire.

Risalgo el Paseo fino a Gracia su una vettura Uber. Qui sembra che si siano formati dei piccoli eserciti cittadini che hanno impedito e contenuto la protesta. Un esercito di volontari contro i manifestanti. In questo quartiere famoso per la sua lunga tradizione anarchica, ex angolo di commercianti con sangue fenicio e arabo nel vene, regna la calma, una calma però piena di tensione, perché è un quartiere isola, antico, fatto di strade dove le auto passano a mala pena, che se vanno a fuoco è una tragedia di Sofocle.
Torno sulla larga e lunga arteria di Aragona, dove si sono precipitati a tutta birra una mezza dozzina di blindati dei Mossos. I manifestanti che, quasi se ne stavano andando, dopo aver bruciato tutto il bruciatile e disturbato il quartiere, iniziano una fitta sassaiola di bottiglie e di qualsiasi oggetto a disposizione contro le sbarre dei furgoni da cui come missili fuoriescono agenti e  manganelli. Ed è l’ennesima guerriglia,. Sono tanti e incazzati gli agenti catalani, la folle scappa impaurita per la prima volta e i dimostranti cercano rifugio negli ingressi dei palazzi o degli uffici. I Mossos fanno prigionieri, ne ammanettano a decine con i tremendi lacci di plastica indistruttibile. Qualche testa sanguina, molti visi trattengono smorfie di dolore e di paura. Altri sputano sugli agenti chiamati a fare il loro dovere: proteggere Barcellona e i suoi abitanti e anche i dimostranti. E’ l’1 e 25 di notte. L’aria è ancora calda e sporca di cenere.

Aria da raffineria e fabbrica di gomme in cenere. Molti roghi sono stati spenti dal lavoro indomabile dei bomberos, la tensione è altissima, da un lato gli agenti che caricano sui blindati i dimostranti in stato di fermo, dall’altro un cordone che minaccia e continua a gettare di tutto sui Mossos. L’inferno non vuole chiudere le sue porte. questa notte. C’è un altro pericoloso incendio su Consell de Cent, le fiamme minacciano i primi piani di un palazzo seicentesco di uffici. Qualcuno urla e applaude, poi una scena incredibile, dalla pluriviolentata calle Mallorca spunta a tutta velocità un Seat Ibiza. Al volante un ventenne, catalano, sventola un fazzoletto bianco, picchia su clacson e chiede strada, urta un bidone fumante, sale sul marciapiede, sbecca un cerchione,  fende la folla, nessuno si fa male, poi sparisce contromano dietro al fumo di Menorca con le gomme che stridono. Succede così rapidamente che ci chiediamo: ma è vero? Da dove è saltato fuori costui?

Allontanandosi dal Paseo de Gracia, aumenta la puzza di bruciato. Attorno rimane quel che resta delle barricate degli indipendentisti immondizia e vecchi mobili, sventrati, bruciati, fumanti come sigarette stanche che vogliono morire tra spirali di fumo. C’è una montagna di cenere che sporca le palme, e ora c’è anche più silenzio. Senza manifestanti o polizia, solo i barcellonesi che tornano a casa a testa bassa, farfugliando qualcosa dopo avere assistito allo stupro della loro città. Turisti attoniti, che rivendono i loro scatti e raggiungono sicuri l’uscio del loro hotel.

Sono le 2.45 del mattino, ogni tanto il silenzio è rotto da qualche sirena, indefinibile se ambulanza, polizia o pompieri. È tardi per continuare a chiedersi il perché di tutto questo. A Barcellona, molto spesso, non sai mai perché succedono molte cose. È una città di nobili decaduti, conti impazziti  e streghe incantatrici e dispettose.