Ho parlato con Steven Forti, professore di Storia Contemporanea presso l’Universitat Autònoma de Barcelona e ricercatore presso l’Instituto de Historia Contemporanea dell’Universidade Nova de Lisboa. Forti scrive per le riviste Limes, MicroMega, CTXT ed Epohi. Le sue ultime pubblicazioni sono El peso de la nación. Nicola Bombacci, Paul Marion y Óscar Pérez Solís en la Europa de entreguerras (2014), Ada Colau, la città in comune (con Giacomo Russo Spena, 2016; nuova edizione spagnola, 2019) e El proceso separatista en Cataluña. Análisis de un pasado reciente (con Enric Ucelay-Da Cal e Arnau Gonzàlez i Vilalta, 2017).
Steven Forti è tra i migliori analisti di politica spagnola ed esperti sulla Questione catalana. Un faro nella notte per comprendere l’intricata politica catalana.

Professor Forti che cosa è successo alle ultime elezioni per rinnovare il Parlament?

«L’indipendentismo ha chiaramente vinto e per la prima volta ha superato la barriera psicologica del 50% del voto. Se guardiamo i voti totali però rispetto al 2017 l’indipendentismo ha perso 600 mila voti. Continua ad esistere la separazione sull’asse identitario tra chi è favore e chino è a favore della secessione. ERC ha vinto la lotta per l’egemonia nei confronti di JxCat; ERC difende una linea più moderata e pragmatica, vorrebbe convertirsi in quello che è lo Scottish National Party. Si propone di lavorare a lungo termine per la secessione e difende un certo dialogo con Madrid: nell’ultimo anno ha votato spesso a favore di Sanchez».

Quali sono le ipotesi di Governo in Catalogna?

«La situazione è piuttosto incerta: a differenza di altri anni, c’è una maggioranza alternativa agli indipendentisti che è un possibile tripartito di sinistra formato dai socialisti catalani, ERC ed En Comù Podem. Ma è difficile che possa arrivare a uno scenario per i veti incrociati, emersi in campagna elettorale, tra ERC e i Socialisti. Lo scenario più probabile è quello di un nuovo governo indipendentista con ERC alleata a Junts x Catalunya e l’appoggio esterno della CUP, ma con la differenza rispetto agli anni scorsi, che questa volta il presidente della Catalogna lo dovrebbe esprimere il partito più votato tra i separatisti, quindi di ERC. Dalle urne esce un chiaro messaggio: gli elettori hanno premiato, sia tra gli unionisti che tra i secessionisti, le posizioni più favorevoli al dialogo, ovvero ERC e il PSC».

Come si spiega il successo di Vox?

«Il successo di Vox ha modificato il campo della destra spagnolista in Catalogna. Il successo di Santiago Abascal viene da più ragioni, chi ha espresso un voto di protesta scegliendo Vox e chi era meno motivato avendo deciso di votare Ciudadanos che non ha saputo gestire il suo grande vantaggio del 2017. Vox ha preso almeno 100 mila voti dal milione di quelli persi da Ciudadanos. Vox ha pescato anche chi ha scelto un voto anti-immigrazione. In Catalogna c’è l’auto percezione che il votante sia più di sinistra che nel resto della Spagna, quando poi i catalani difendono valori tipici della destra spagnola. Per ultimo Vox ha pescato anche in chi è molto critico con la Generalitat per tutte le restrizioni per fermare la pandemia Covid, vedi i commercianti. Il PP non ha una strategia chiara per la Catalogna e questo ha pesato, come ha pesato lo scandalo di corruzione del caso Barcenas. Vox tuttavia non supplirà ai Popolari che in altre comunità sono molto forti e ben strutturati».

Come dovrà comportarsi il premier spagnolo, anche nel gestire il successo dei Socialisti catalani?

«Il premier Sánchez non esce dalle elezioni catalane con le ossa rotte, anzi si rafforza, considerato il successo dei Socialisti catalani con Salvador Illa che hanno ottenuto la vittoria sia in seggi che in voti. Podemos ha tenuto in Catalogna ed ERC ha avuto il successo nel Parlament. A Madrid giocheranno di riflesso su tali risultati: Sánchez dovrà provare a smuovere qualcosa andando al di là la retorica del dialogo, pensando seriamente a un indulto per i politici condannati. Cosa che incentiverebbe ERC a continuare a dare appoggio all’esecutivo Socialisti-Podemos».