Chi c’è realmente dietro ai violenti scontri di mercoledì notte a Barcellona? Estremisti del separatismo? No Global? Black Bloc? Anarchici? Fascisti contro anti-fascisti? Estremisti unionisti? Commercianti incazzati per il lockdown?
La situazione nella capitale della Catalogna è precipitata tre giorni dopo le elezioni amministrative che hanno vinto l’avanzata del blocco di partiti indipendentisti, ma anche l’exploit dei Socialisti catalani che hanno preso il medesimo numero di seggi della Sinistra Repubblicana di catalogna (ERC) del presidente galeotto Oriol Junqueras, in carcere dal 2017 per vari reati legati agli eventi dell’autunno di quattro anni fa, quando proclamò in modo unilaterale con l’allora fuggiasco presidente catalano Carles Puigdemont, la Repubblica Indipendente di Catalogna, infischiandosene della Costituzione spagnola che non lo prevede e che ricorda che il Paese iberico è una nazione e un unico insieme di diciassette comunità autonome indivisibili.
Ma veniamo ai fatti di mercoledì scorso, in cui una ventenne ha purtroppo perso l’uso di un occhio a causa di quei maledetti proiettili di gomma sparati dai Mossos d’Esquadra, la terribile e temibile polizia catalana.
Nel tardo pomeriggio di martedì, tale Pablo Hasél, rapper catalano molto famoso perché nei suoi testi piuttosto violenti inneggia alla rivolta armata per l’indipendentismo, insultando istituzioni, polizia e monarchia, si trova a Lerida. Il rapper scrive testi non più violenti di quanto non abbiano fatto, diciamolo, i rapper americani negli anni Novanta durante il periodo d’oro del gangsta rap, quando si vedevano valanghe di dischi, è il platino erano dieci milioni di LP venduti, non mezzo milione come avviene ora. Provate a tradurre i testi di Biggie Small, ammazzato nel traffico dello Strip di Las Vegas a pallettoni sparati da un fucile austriaco a canne mozze modello Glock, e leggerete che cosa intendo.
Ma a Washington non c’è una Corona con leggi severissime come in Spagna che puniscono chi insulta o prende in giro le teste coronate dei Borbone. Cosa che Hasél fa quotidianamente con le sue liriche e, soprattutto, con i suoi tweet. Non una ma più volte negli ultimi anni. Quando il giudice firma l’arresto, il rapper si è barricato da martedì nel rettorato dell’Università di Lerida. Lo difende un gruppo nutrito di decine di studenti piuttosto incazzati che rivendica “la libertà d’espressione”, forse una delle frasi più sputtanate al mondo e interpretata in base al proprio credo.
Dopo una lunga notte interlocutoria, all’alba i Mossos riescono a stanarlo e lo trascinano via in manette mentre lui urla a squarciagola: “Non ci fermeranno! Non ci piegheranno!” davanti a una cinquantina di studenti e manifestanti ringhiosi che lanciano di tutto sulle teste degli agenti.
Il tam tam dell’arresto di Hasél fa il giro, non solo della Catalogna, ma dell’intera Spagna. Si organizzano manifestazioni per chiedere la scarcerazione dell’artista a Barcellona e in altre venti città spagnole, da Madrid a Siviglia fino a Bilbao e Saragozza. Nella capitale catalana duecento manifestanti partono dal quartiere anarchico di García, sede di molte occupazioni. La folla dilaga fino a Paseo de Gracía, il salotto legante di Barcelona e poi punta sulle Ramblas, ma un cordone di Mossos armati da sommossa spezza e disperde una parte del gruppo che inizia a radunare i cassonetti dell’immondizia e a incendiarli. Volano Molotov, mattoni, bottiglie. Gli agenti rispondono con lacrimogeni e i pericolosi proiettili gomma, che ora chiamano di foam, ma sempre male fanno se presi in faccia o in pancia. La rivolta va avanti fino a tarda notte.
Lunedì scorso il tribunale dell’Audiencia Nacional aveva negato a Hasel la sospensione della pena in quanto il cantante aveva già subito due condanne, nel 2017 per resistenza a pubblico ufficiale e nel 2018 per violazione di domicilio.
Ma dietro questa rivolta, oltre ai soliti No Global, fascisti e anti-fascisi, anarchici e Black Bloc, ci sono gli uomini dei partiti indipendentisti chiamati a tenere alta l’attenzione sulla Catalogna. C’è ERC, ma soprattutto Junts x Catalunya che dietro un’immagine fintamente per bene e democratica, nasconde toni violenti che inneggiano alla ribellione contro Madrid e le sue istituzioni che loro non riconoscono, come non riconoscono il re di Spagna. Sono gruppi estremizzati di separatisti a un passo dalla guerra armata. Ma la Catalogna non ha nulla a che fare con la storia di terrorismo dei Paesi Baschi, dove è nata e morta un’organizzazione terroristica irredentista come l’Eta che ha seminato il terrore per cinquant’anni da Bilbao a Madrid, colpendo persino Barcellona negli anni Ottanta. In catalogna ci sono tanti piccoli movimenti violenti, poco armati, ma coriacei pronti a fare casino per qualsiasi motivo. E ricordiamolo: dai numeri usciti dalle urne domenica scorsa, la Catalogna appare ancora spaccata in due, con una piccola prevalenza (il 52%) di separatisti, rispetto a chi non vuole lasciare la Spagna. Hasél è stato ed è un altro spunto per continuare a fare casino in strada a Barcellona, a incendiare cassonetti (ma perché non li tolgono e organizzano come in ogni città civile una raccolta porta a porta, Barcellona lo merita) e a picchiarsi con i Mossos. Un altro pretesto sono i politici indipendentisti in carcere da quasi quattro anni. Nei prossimi giorni si manifesterà anche per loro. E ancora e ancora. Esiste anche, come in ogni movimento, la parte pacifica di separatisti, quella che sfila in completa armonia con gli unionisti e che non viene alle mani ma cerca il dialogo. ERC sta camminando da tempo su questa strada, anche se una parte di loro, attira i più violenti e facinorosi.