Hanno vinto i partiti indipendentisti che, benché l’emergenza sanitaria, la crisi economica e la litigiosità tra di loro confermata da una campagna elettorale molto urlata, sono riusciti a ottenere il loro “optimus”, anche se l’altissima astensione al 53% ha sottratto molti voti ai separatisti: su 5,6 milioni di elettori, soltanto meno della metà è andato ai seggi a votare, un segno che ai catalani poco importa la politica in questo momento di emergenza.
Il partito più votato tra i separatisti è stata Esquerra Republicana de Cataluynia (ERC), del presidente Oriol Junqueras, che ha festeggiato dal carcere in cui è rinchiuso da tre anni. Deve scontare una pena di altri dieci per avere organizzato nel 2017 il referendum illegale per l’autodeterminazione della Catalogna e, poi, avere proclamato unilateralmente, assieme all’allora presidente catalano Carles Puigdemont – fuggito alla galera in una villa fuori Bruxelles – la Repubblica Indipendente della Catalogna. ERC ha preso 33 seggi, mentre Junts x Catalunya, il secondo partito separatista dai toni più forti, con la candidata ultrà degli indipendentisti Laura Borrás, ha ottenuto 32 seggi. Questi 65 scranni se si sommano con il buon risultato del piccolo partito di Candidatura Unitaria Popolare (CUP), movimento di sinistra radicale indipendentista, che ha raddoppiato voti, portano i tre partiti abbondantemente oltre la maggioranza assoluta (68 seggi su 135). Tuttavia non è così scontato che ERC, JxCt e CUP riescano ad allearsi tra di loro, e a governare senza litigare. L’astensione di più della metà degli elettori ha sottratto quasi 600 mila voti ai partiti separatisti rispetto alle ultime consultazioni del 2017, con un calo di 22,5 punti.
Il governo socialista-podemos di Madrid spera in ERC che da tempo ha intrapreso la strada del dialogo, (nel 2019 si astenne per avvantaggiare i Socialisti), anche se il capolista Pere Aragonés, questa mattina, in conferenza stampa, ha già inviato due forti richieste al premier Pedro Sánchez: immediata scarcerazione dei politici dissidenti arrestati nei tumulti del 2017 e il permesso di un nuovo, ma legale, quindi ammesso dalla Costituzione spagnola che andrebbe riscritta, referendum sulla secessione. Richiesta che per Socialisti, alleati con Podemos, che frena a un’apertura ai separatisti, non sarà facile da esaudire.
D’altra parte Sánchez incassa anche il grande successo dei Socialisti catalani che con il suo super candidato ed ex ministro alla Sanità, Salvador Illa, è stato il partito unionista più votato in Catalogna con 33 seggi, i medesimi dei pro indipendenza di ERC. Nel piccolo Parlamento di Barcellona Illa dovrà tentare una difficile alleanza o sostegno da fuori di ERC se non si ammucchia con JxCat e CUP, gli unici con cui dialogare sulla rovente Cuestíon Catalana.
Il Partido Popular catalano predendo 3 seggi ha retto decentemente, Non ha mai avuto grandi speranze in Catalogna e il rimbombante scandalo Barcenas, corruzione del partito, non ha aiutato nell’immagine della destra nazionale. Ottimo risultato, invece, della destra più estrema: Vox, unionista puro al 100%, presentatosi ieri per la prima volta alle elezioni catalane, ottiene un risultato incredibile: 11 seggi, segno che i catalani unionisti si affidano più a Santiago Abascal che ai Popolari per fare valere le loro ragioni alla Generalitat. Il successo di Vox è quasi inimmaginabile in una regione storicamente antifascista come la Catalogna che, tuttavia, ha sempre dato la percezione di essere più a sinistra rispetto a quanto lo sia in realtà, considerato che i catalani sono molto legati a valori di destra.
È un fatto che da queste ultime consultazioni, le prime dell’era Covid, con gli scrutatori vestiti come infermieri dei reparti di cura intensiva, esce, nuovamente, una Catalogna spaccata in due tra unionisti e separatisti, anche se questa volta chi vuole separarsi dalla Spagna è in vantaggio. Ma tutto dipende da quanto ho scritto poco sopra: riusciranno i tre partiti indipendentisti, diversissimi tra loro, ad allearsi e ad andare d’accordo? Vedremo “que passa” (alla catalana) nei prossimi mesi. Per la cronaca En Comú Podemos, la versione catalana di Unidas Podemos del codino Pablo Iglesias prende solo 8 seggi, mentre Ciudatans (Ciudadanos) i populisti di centro-destra della graziosissima Inés Arrimadas, peggiora la sua perfomance con 6 seggi, contro i 26 del 2017, quando furono il primo partito di Catalogna. Come distruggere un enorme vantaggio in meno di quattro anni.
L’unica strada per sanare la ferita con Madrid, sarebbe uscire dalla retorica dei buoni e dei cattivi e riprendere la strada dei compromessi. I numeri, in termini di seggi, ci sarebbero. Se è vero che gli indipendentisti hanno confermato la possibilità di una coalizione maggioritaria, un “Govern catalano” delle sinistre nazionali e catalane, questa magia potrebbe essere più facile diquato si pensi per Pere Aragonés.
Quindi, il premier socialista Sánchez non ne esce per nulla con le ossa rotte, come in altre occasioni. Ha in tasca il jolly di Illa nel parlamentino catalano e lo giocherà al meglio durante il dialogo con i secessionisti più moderati. I catalani a favore della secessione dal 1980 sono passati dall’essere il 46-48% a toccare il 54%, fermandosi ieri al 47. Se vogliono governare, devono imparare ad andare d’accordo.