Federico di Vita, collaboratore di Esquire, scrive che al rave di Vitebo o meglio, come scrive lui Teknival in un campo secco tra Lazio e Toscana si è tenuto, non un assembramento non autorizzato di giovani, esagerato dalla stampa bigotta, ma “…un Free Party o meglio ancora un Teknival, ovvero una sorta di festival dedicato alla musica Free Tekno, che fiorisce grazie al convergere in un punto preciso di una serie di crew, cioè di gruppi che portano con sé muri di casse, dj set, luci, teloni e proiettori per creare, ciascuno per conto suo, uno spazio in cui ballare, dotato di spiccata unicità…”. Credo che l’unica cosa che sia fiorita in quel luogo è la stupidità, la superficialità e l’immondizia. Non riesco a capire perché tutto deve essere organizzato in clandestinità per dare libero sfogo a generi di musica minori, come scrive Di Vita, e aspettare che una carovana di dj, tecnici, operatori e driver convergano a caso in un luogo abbastanza lontano da “occhi indiscreti” per montare una multi discoteca all’aperto raffazzonata e sgangherata, più pericolosa che utile al divertimento. Un luogo dove mancano i servizi sanitari, i controlli sanitari (visto che la pandemia non è scomparsa), dove si è accumulata una montagna fetida d’immondizia per una settimana, scarti che non sono stati degnamente separati e nemmeno smaltiti dagli stessi ribelli della techno music (un colossale bigoncio con dentro di tutto dai pannolini, alle bottiglie di vino alle lattine di birra, alla plastica e l’organico, a sacchi di escrementi).
Questa è la loro normalità, la normalità dei clandestini, perché tutto deve essere clandestino, nascosto, “agli occhi indiscreti”, perché ha senso per Di Vita che una decina di cani, con gli occhi impauriti per quell’orrendo rumore martellante e ipnotico (perché gli animali così lo avvertono trenta volte più forte dell’orecchio umano), circolino sotto al sole, ala ricerca del padrone, abbandonati senza acqua e cibo. Ha senso ballare nella polvere e nel fumo, davanti a un camion con una bella fila di casse uniche in un quadrilatero più piccolo di una piscina, tutti assieme, tra calci, pugni. gomitate in faccia e con i timpani che fischieranno per due settimane. Perché tutto deve essere improvvisato, clandestino, sporco, contro i bigotti che ascoltano Bcah o Vasco Rossi, se no, non ha senso, altrimenti sarebbe un noiosissimo incontro di CL. Basterebbe, invece, avere il senso della dignità: chiedere “per favore” e magari organizzare con le autorità del Comune vicino, con il permesso del proprietario del terreno e della autorità, e con un presidio sanitario, toilette chimiche, come avviene sempre alla Love Parade da trent’anni. Nel 1999 andai a Berlino per il Giornale e raccontai appunto questa immensa performance di decine di generi e sottogeneri di musica elettronica che consisteva in una settimana di festa che si conclude il sabato sera con una sfilata per il centro della città, partendo da Alexandra Platz fino all’obelisco della Vittoria Alata, di una ventina di tir con sopra un muro detonante di casse. Quell’anno furono due milioni i giovani che vi parteciparono (ci fu anche un accoltellamento mortale tra turchi), tuttavia tutto filò liscio. Molta polizia, molta droga sintetica, nessuna overdose, nessuna rissa, nessun ferito, e, alla fine della manifestazione, tutti gli organizzatori, Doctor Motte incluso, hanno indossato la tuta arancione con sopra la scritta “Save The Love parade” e si sono prodigati nel pulire tutto il centro di Berlino. Perché l’accordo col sindaco era questo, molto semplice: noi vi diamo il centro città per una settimana, ma voi raccogliete e riciclate fino all’ultima bottiglia di birra e mozzicone di sigaretta gettato in strada, svuotate ei cestini, collaborate col servizio di nettezza urbana comunale per fare ritornare splendente il centro. In altre manifestazioni esistono questi accordi, tra i ribelli della tecno, e le autorità, in tutto il mondo. Spagna inclusa, vedi i vari festival indipendente.