Non erano passate ventiquattrore dalla consegna a New York dell’ultimo rapporto della Missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia, quando uno dei suoi colleghi rinviene lo scorso 15 luglio il cadavere di Mario Paciolla, volontario funzionario Onu e reporter italiano, nella sua casa di San Vicente del Caguán . Il rapporto che stava preparando Paciolla aveva una grande importanza in una regione, Caquetá, drammaticamente calda e pericolosa a causa del rinnovato conflitto tra le Farc e il Governo colombiano. La morte del cooperante, in un primo tempo, è stata considerata un suicidio, il suo corpo era impiccato a una corda, ma poi sono stati rinvenuti segni di violenza, anche se la polizia locale ha archiviato il decesso di Paciolla come un suicidio.
Silenzio da parte dell’Onu, che ha rilasciato il solito commento di circostanza, davanti a un suo cooperante morto sul campo. Silenzio dalle autorità colombiane, e, silenzio da quelle italiane. I suoi colleghi, interrogati dalla polizia, hanno negato che Mario poteva pensare di attuare un tale gesto, ma aveva sottolineato che si sentiva preoccupato per la sua sicurezza e, iniziava, a temere che quel pachiderma di burocrazia dell’Onu non potesse proteggerlo in modo adeguato .

Dalle prime ricostruzioni dei fatti, si sa che lo scorso 10 luglio, il funzionario internazionale italiano ebbe una forte discussione con i suoi capi locali della Missione Onu. Lo ha riferito la madre, Anna Motta. Paciolla stava organizzando il viaggio di ritorno a Napoli, che doveva essere una vacanza, in attesa delle scadenza del contratto con l’Onu per, poi, decidere per una nuova missione in Colombia. Anche la Signora Motta ha riferito che il figlio si sentiva in pericolo, nella Missione e anche fuori. Qui 14 luglio, la sera prima della partenza, Mario rimase connesso a WhatsApp fino alle 22.45. Ciò che è successo da quella sera di metà luglio alla tarda mattina del 15 è ancora avvolto nel mistero. A fine giugno, in una riunione informale a Firenze, capitale dello Stato colombiano di Caquetá, dove opera l’Ufficio Regionale (OR) della Missione Onu da cui dipende la Missione di Caguán, un collaboratore aveva accusato Mario Paciolla di spionaggio. Accuse che l’italiano aveva preso come fossero barzellette. Ma successivamente a quell’evento, Paciolla aveva iniziato a temere per la sua vita e aveva anticipato di due settimane il ritorno in Italia. Che cosa è successo quel giorno? Il funzionario Onu italiano qualche giorno prima, si era espresso in modo molto critico, parlando di discriminazioni, per come la Missione stava gestendo la pandemia. Mentre ad altri funzionari venivano fornite misure di viaggio e telelavoro, per i volontari la norma era la solitudine e l’isolamento.
Mario si era confidato con un suo più intimo amico e collega sul fatto che, sotto falso nome, aveva pubblicato rapporti sulla Colombia, pur non violando mai i principi della Missione Onu, l’amico ha dichiarato che Paciolla aveva avanzato critiche pesanti, ma costruttive, e sperava in un intervento dei capi.
Dichiarando il suicidio, la polizia ha ordinato un’autopsia che, però, è durata venti giorni, forse per permettere la cancellazione dal copro del funzionario Onu di segni sospetti di violenza e tracce di sostanze tossiche. Ad oggi non esiste ancora il referto finale dell’esame forense. Nessuno dall’Italia, a parte i genitori di Paciolla, lo ha sollecitato.
Nel 2019 un evento aveva molto turbato e scosso Paciolla: diciotto ragazzini soldati, tutti tra i 10 e i 13 anni, reclutati dagli ultimi ribelli dell’esercito dei dissidenti delle Farc, erano stati trucidati in uno scontro con l’esercito colombiano. Il ministro della Difesa, Guillermo Botero, imbarazzato, aveva dato le dimissioni. Si era sfiorata la crisi di Governo. Un fatto molto grave che aveva denunciato al mondo intero come la questione con le Farc non fosse per nulla risolta, come, invece, sbandierava il Governo di Bogotà. Mario Paciolla aveva molto criticato il misero rapporto dell’Onu su tale eccidio: non era stata data alcuna importanza, soltanto un paragrafo di sei righe nel rapporto del 2019 sulla Colombia. Poi, Mario aveva denunciato anche lo sfollamento forzato delle famiglie dei ragazzini soldato vittime e l’omicidio di molti altri. Il funzionario italiano non aveva apprezzato il tono morbido dei rapporti delle Nazioni Unite e della commistione tra Missione ed ex militari colombiani, riciclati come impiegati. Oltre alla passività con cui l’Onu aveva reagito ai bombardamenti contro i civili nella regione meridionale del Meta e agli omicidi programmati e selettivi di ex combattenti delle Farc.
Nella regione che ospita San Vicente del Caguán, come risulta dai rapporti inviati da Mario Paciolla, la situazione stava drammaticamente precipitando davanti alla cecità delle Nazioni Unite. Erano aumentati i dissidenti militanti e militari delle Farc agli ordini dell’alias Gentil Duarte che aveva riaperto le violenze del conflitto tra Farc e Governo della Colombia. Quella zona era in allarme, ma le Nazioni Unite e il Governo di Bogotà sminuivano gli eventi. Mario Paciolla criticava con durezza tuto questo e il 10 luglio, in un collegamento Skype con la madre a Napoli disse, con grande sconforto di essere finito in un “pasticcio” con i suoi capi. Secondo le autorità colombiana, da quella tensione di Paciolla coi in capi, sarebbe scaturita da parte del funzionario la volontà di suicidarsi. Molti sanno, pochi parlano e il misteri si infittisce nella fitta foresta colombiana dove le Farc hanno ripreso a marciare e a uccidere.