Decapitati gli Istituti di Cultura Italiana all’estero. La Farnesina non favorisce la diffusione della nostra lingua e delle nostre tradizioni all’estero. Bloccati scambi e confronti.
“Onorevole Bonino, Le chiedo di non chiudere l’Istituto Italiano di Cultura di Ankara”. Così iniziava una petizione su Change.org in cui si chiedeva qualche tempo fa all’ex ministro di compiere un passo indietro, perché tagliare gli Istituti italiani di cultura – e sono diversi quelli a rischio – significava danneggiare la cultura italiana e la sua proiezione all’estero. Ancora oggi con il nuovo ministro degli Esteri, Federica Mogherini, la situazione non è cambiata, anzi possiamo affermare che è peggiorata. Ankara, capitale della Turchia, è sede di ministeri e importanti istituzioni culturali, è una finestra su un Paese sempre più strategico nello scacchiere geopolitico internazionale. Decine di migliaia di studenti hanno imparato l’italiano in questo istituto, attivo da oltre mezzo secolo, favorendo lo scambio culturale tra Italia e Turchia. La proposta della Farnesina si inquadra in un’ampia ristrutturazione della rete culturale e consolare italiana nel mondo. Attualmente ci sono in tutto novanta Istituti italiani di cultura, che costano allo Stato circa 10 milioni di euro l’anno, a cui si aggiungono i costi del personale, circa 200 mila euro a Istituto. Prima si parlava di undici istituti da chiudere, poi sono diventati dieci e infine forse saranno otto: Lione, Lussemburgo, Stoccarda, Wolfsburg, Francoforte, Salonicco, Ankara e Vancouver. Si salverebbero dai tagli Bruxelles, Washington e Copenhagen. Ma chissà se sarà davvero così e comunque lo scandalo rimane, come hanno denunciato scrittori come Erri De Luca e Stefano Benni, spesso ospiti di questi istituti.
Se pare assurdo voler risparmiare sulla cultura che, al contrario, dovrebbe essere il vero motore della nostra economia a fronte di un investimento minimo per il nostro Paese, certo una soluzione va trovata in tempi di spending review. Perché non salvaguardare, ad esempio, le funzioni di queste strutture, anche mediante una loro integrazione come “uffici culturali” presso le rappresentanze diplomatico-consolari immediatamente vicine, e, laddove non ci siano spese aggiuntive di affitto, lottare per il mantenimento del loro status. Io stesso ho lavorato con progetti esemplari con taluni Istituti di Cultura italiani nel mondo, vedi Praga, Berlino, Parigi, New York, Ankara, Atene, ecc. Alcuni Istituti già ora poi si autofinanziano organizzando corsi di lingua italiana, da Ankara (solo però al 34% nel 2012) a Lione (nel 2013 in attivo di 25 mila euro) e sono impegnati in mostre d’arte e rassegne culturali di ogni genere. La Farnesina, poi, se da una parte sembra non voler ascoltare le voci che si levano contro i tagli, dall’altra lancia un concorso sul web per trovare degli spunti e delle proposte nuove per la creazione del logo ufficiale per la rete degli Istituti italiani di cultura. Vogliono mantenere la facciata in rete, ma nel concreto tutto viene distrutto. Signor Ministro pensi un po’ all’Italia di Dante, Petrarca e Boccaccio e ancora a quella di Macchiavelli, Leopardi, Manzoni, Pasolini e Montale. E ai grandi Beni Culturali, da quelli archeologici e museali a quelli artistici, nei diversi campi, dall’arte alla musica e al teatro.
Carlo Franza