sirspa_20200711095427368-755x491Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato”. Sono stTurchia2ate queste le  parole, pronunciate a braccio da Papa Francesco al termine dell’Angelus, ieri 12 luglio 2020,  che hanno finalmente rotto il silenzio della Santa Sede sulla riconversione di Santa Sofia, a Istanbul, da museo in moschea. Una decisione fortemente voluta dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che ha annunciato che l’edificio sarà riaperto al culto islamico dalla preghiera del venerdì del 24 luglio. Bruciante  la reazione di numerose e autorevoli voci del mondo cristiano alle quali si è aggiunta quella di Bergoglio. Secondo il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, la decisione di Erdogan “spingerà milioni di cristiani in tutto il mondo contro l’islam”. In virtù della sua sacralità, Santa Sofia, ha aggiunto il Patriarca, è un centro di vita turchia16ok_210054_288549“nel quale si abbracciano Oriente e Occidente” e la sua riconversione in luogo di culto islamico “sarà causa di rottura tra questi due mondi”; e ancora: “  Nel XXI secolo è assurdo e dannoso che Hagia Sophia, da luogo che adesso permette ai due popoli di incontrarsi e ammirare la sua grandezza, possa di nuovo diventare motivo di contrapposizione e scontro”. hagia-sophia-largePosizione in perfetta sintonia con la Chiesa ortodossa russa, guidata dal Patriarca di Mosca Kirill, che ha accolto con “grande pena e dolore” la decisione del governo turco. Il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato, l’ha definita “un duro colpo per l’ortodossia mondiale”. Mentre il portavoce Vladimir Legoida ha dichiarato che “la preoccupazione di milioni di cristiani non è stata ascoltata”. Per l’arciprete Nikolai Balashov, vicecapo delle relazioni esterne, “questo è un evento che potrebbe avere serie conseguenze per l’intera civiltà umana”. Parole durissime che fanno comprendere quanto gravi possano essere le ripercussioni di questa decisione nei rapporti tra cristiani, in particolare cattolici e ortodossi, e musulmani.

Bren1Il  presidente turco ha risposto alle proteste, soprattutto del mondo cristiano, invocando la “sovranità nazionale” e assicurando che le porte di Santa Sofia continueranno a essere aperte a tutti, musulmani e non, come avviene per tuTurkey-Brunson_leaves_tte le moschee: “Ogni critica è un attacco alla nostra indipendenza”. Dopo la sua decisione, numerosi musulmani si sono recati davanti a Santa Sofia gridando: “Allah è grande”. Anche l’Unesco, però, non ha approvato la scelta di Erdogan sottolineando che in questo modo cambia il “valore universale eccezionale” del sito, “potente simbolo di dialogo”. “Un Paese – ha affermato l’agenzia Onu – deve assicurarsi che nessuna modifica mini lo straordinario valore universale di un sito sul suo territorio che si trova nella lista. Ogni modifica deve essere notificata dal Paese all’Unesco e verificata dal World Heritage Commitee”. Una vicenda che accresce ulteriormente il divario tra Erdogan e Vaticano,  aperto dal Papa  da quando ebbe modo di  visitare  il museo di Santa Sofia nel 2014 in occasione del suo viaggio in Turchia. Già in quell’occasione, Bergoglio non aveva per nulla gradito la scelta del presidente turco di riceverlo nella sua lussuosissima residenza, ad Ankara, inaugurata appena due mesi prima della visita del Pontefice: più di mille stanze con una superficie totale di oltre 350mila metri quadri e una moschea che può contenere 5mila fedeli. Un palazzo ben più grande della Casa Bianca, del Cremlino e di Buckingham Palace.

Ma entriamo nel vivo dell’avversione della Turchia verso i cristiani e il Cristianesimo. Il pastore evangelico americano Andrew Brunson e il missionario evangelista americano-canadese David Byle  sono tra i numerosi religiosi cristiani che sono rimasti vittime dell’avversione nutrita dalla Turchia verso il 161341613-d63ae5d7-3999-4a5a-b671-2181919fc039Cristianesimo. Secondo Claire Evans, responsabile regionale dell’organizzazione International Christian Concern, “la Turchia sta rendendo sempre più evidente che non c’è spazio per il Cristianesimo, anche se la Costituzione afferma il contrario. Non è una coincidenza che la Turchia abbia deciso di avviare questo processo il giorno dopo la scarcerazione di Brunson e che, così facendo, le autorità abbiano ignorato un ordine giudiziario. Dobbiamo pregare per la famiglia di Byle durante questo difficile periodo di separazione”. Il giorno dopo che il pastore evangelico americano Andrew Brunson è stato rilasciato da una prigione turca, un altro cristiano residente nel paese da quasi vent’anni è stato fermato dalle autorità turche e gli è stato detto che avrebbe avuto due settimane di tempo per lasciare la Turchia senza la moglie e i tre figli. Il missionario evangelico americano-canadese, David Byle, non solo ha subito diversi fermi e interrogatori nel corso degli anni, ma è anche stato tacciato di espulsione per ben tre volte. Ogni volta, però, è stato salvato dalle sentenze giudiziarie. Questa volta, però, non è riuscito a evitare l’esilio e ha lasciato il paese dopo aver trascorso due giorni in un centro di detenzione.

Ma quando il 20 novembre 2018  aveva cercato di tornare dalla sua famiglia in Turchia, gli è stato negato l’ingresso nel paese. Brunson e Byle sonMEC_David-Byle-horizontalo tra i numerosi religiosi cristiani che sono rimasti vittime dell’avversione nutrita dalla Turchia verso il Cristianesimo. I protestanti turchi non possono aprire le proprie scuole o formare i propri religiosi, costringendoli a fare affidamento sul sostegno dei leader religiosi. Tuttavia, a molti operatori religiosi stranieri e a numerosi membri della Chiesa è stato vietato l’ingresso in Turchia, sono stati loro negati i permessi di soggiorno o sono stati espulsi. Sebbene le attività missionarie non siano illegali secondo il codice penale turco, sia i pastori stranieri sia i cittadini turchi che si convertono al Cristianesimo vengono comunque trattati come dei reietti dalle autorità e da gran parte della gente. Non c’è da meravigliarsi che sia così, dati gli annosi “rapporti” anti-cristiani stilati dalle istituzioni statali che modellano la politica governativa.

Pensate che nel 2001, dopo aver ricevuto un  report della Organizzazione di Intelligence nazionale turca (MIT), il Consiglio di Sicurezza nazionale (MGK) dichiarò che le attività missionarie cristiane costituiscono una minaccia alla sicurezza” e sancì che occorreva “prendere delle precauzioni contro le [loro] attività disgreganti e distruttive”. Nel 2004, la Camera di Commercio di Ankara  emise un rapporto in cui si affermava che “le attività missionarie provocano aspirazioni secessioniste etniche e religiose e prendono di mira la struttura unitaria dello Stato”;  nel 2005, il ministro di Stato Mehmet Aydın  sentenziò: “Riteniamo che le attività religiose [cristiane] tendano a distruggere l’unità storica, religiosa, nazionale e culturale (…) [e tali attività] vengono viste come un movimento estremamente pianificato con obiettivi politici”; e  nel 2006, le Forze armate turche (TSK) pubblicarono su una rivista mensile un articolo sui missionari cristiani definendoli “una minaccia”, sottolineando la necessità di porre in essere delle norme di legge per contrastare tali attività. Quello stesso anno, Ali Bardakoğlu, all’epoca a capo della Diyanet (la Direzione per gli Affari religiosi finanziata dallo Stato), ebbe a dire in televisione che “è compito della Diyanet mettere in guardia la gente sui missionari e su altri movimenti che minacciano la società”. Nel 2007, Niyazi Güney, un funzionario del ministero della Giustizia, affermò addirittura che “i missionari sono ancora più pericolosi delle organizzazioni terroristiche”. Cose vergognose, da far chiudere ogni rapporto diplomatico bilaterale con uno stato che oltraggia e offende i diritti umani. Questa è la Turchia. paDOVESE

Tali condanne pubbliche dei missionari cristiani hanno evidenziato  conseguenze concrete e devastanti. Nel 2006,  un leader di una chiesa protestante di nome  Kamil Kiroglu, un musulmano convertito al Cristianesimo,  fu picchiato fino allo svenimento da cinque uomini, uno dei quali gli urlò: “Nega Gesù o ti ucciderò”, e un altro gli disse: “Non vogliamo cristiani in questo paese!” Sempre nel 2006, padre Andrea Santoro, un prete cattolico di 61 anni, fu assassinato mentre pregava nella chiesa di Santa Maria, a Trabzon. Cinque mesi dopo, a Samsun, fu accoltellato e ferito don Pierre François René Brunissen, un prete di 74 anni. L’aggressore disse di aver agito contro il sacerdote in segno di protesta contro “le sue attività missionarie”. Nell’aprile 2007, tre cristiani furono torturati a morte nel massacro della casa editrice evangelica Zirve. Nel novembre dello stesso anno, un prete assiro-caldeo, Edip Daniel Savcı, venne rapito.  Un mese dopo, un prete cattolico, padre Adriano Franchini, fu  accoltellato durante la messa domenicale. Secondo quanto riferito, il francescano era stato “accusato di attività missionarie” da alcuni siti web. Nel giugno 2010, esattamente dieci anni fa,  il vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, in Turchia, fu assassinato dal suo autista al grido di “Allahu Akbar” (“Allah è il più grande”), mentre tagliava la gola al sacerdote. Al processo, l’assassino dichiarò che il vescovo era un “falso messia”, e per due volte in aula recitò a gran voce l’adhan (la chiamata islamica alla preghiera).santa_maria_luce-COP

Nonostante la sua attuale presenza esigua e disintegrata in Turchia, il Cristianesimo ha una forte e lunga storia in Asia Minore (che fa parte dell’attuale territorio turco), intanto il luogo di nascita di numerosi apostoli e santi, come Paolo, Luca, Efrem, Policarpo, Timoteo, Nicola e Ignazio. Non sono pochi gli episodi menzionati nella Bibbia  che hanno avuto  luogo in quell’area. Le popolazioni autoctone – come gli armeni, gli assiri e i greci – sono tra le prime nazioni ad aver abbracciato la fede cristiana. Pensate che i primi  sette Consigli Don_Andrea_66609972Ecumenici si sono svolti  in un territorio che oggi fa parte della Turchia; vale a dire Antiochia (Antakya) dove i discepoli  di Gesù furono chiamati “cristiani” per la prima volta nella storia e dove San Pietro stabilì una delle prime chiese. Edessa (Urfa nel sudest della Turchia) era un antico centro della Chiesa ortodossa assira (siriaca). L’antica città greca di Bisanzio (conosciuta anche come Costantinopoli –  oggi  Istanbul) era un fulcro del Cristianesimo e la Basilica di Santa Sofia ( Hagia Sophia), costruita lì nel VI secolo, era la più grande chiesa del mondo – fino a quando i turchi ottomani invasero la città nel 1453 e trasformarono la chiesa in una moschea. Da allora, i cristiani della regione sono stati sotto la dominazione musulmana. Oggi, solo circa lo 0,2 per cento della popolazione turca che comprende quasi 80 milioni di persone, è cristiano.  Pensate che  il genocidio cristiano perpetrato nella Turchia ottomana dal 1913 al 1923 e il pogrom del 1955 che colpì i greci  di Istanbul sono alcuni degli eventi più importanti che hanno portato in gran parte alla distruzione dell’antica comunità cristiana del paese. Ma ancora oggi in Turchia – anche dopo l’adesione del paese al Consiglio d’Europa nel 1949 e alla NATO nel 1952 – i missionari e i cittadini cristiani continuano a essere oppressi. Altrochè pensare di portare la Turchia in Europa, se ciò avvenisse, ci penserebbero subito i partiti di estrema destra a mettere fuori gioco questa malsana idea.  Turchia1

Ma torniamo ai cristiani oppressi in Turchia oggi, anche se Papa Bergoglio sembra abbia paura ad alzare la voce contro tutto ciò, ci vorrà dunque un Papa della riscossa per poter arginare queste cattiverie e queste presunzioni. E questo sembra accadere per due ragioni. La prima ha a che fare con la visione che l’Islam ha dei kafir (“gli infedeli”). Come spiega il dottor Bill Warner, direttore del Centro per lo Studio dell’Islam politico: “La dottrina coranica sui kafir afferma che sono odiati e sono amici di Satana. I kafir possono essere derubati, uccisi, torturati, violentati, derisi, maledetti, condannati e si può tramare contro di loro”. Warner  osserva e sottolinea anche della distruzione della civiltà greco-cristiana in Anatolia: “Ci sono voluti secoli per il processo di annientamento. Alcune persone ritengono che quando l’Islam invase, i kafir furono messi davanti a una scelta: la conversione o la morte. Non fu assolutamente così. Fu introdotta la legge della Sharia e i dhimmi cristiani conservarono il loro status di ‘protetti’ come gente del Libro che viveva sotto la Sharia. Il dhimmi pagava pesanti tasse, non poteva testimoniare in tribunale, non poteva esercitare alcuna autorità sui musulmani ed era umiliato dalle norme sociali. Un dhimmi doveva farsi da parte e offrire il proprio posto a un musulmano, non poteva portare armi e doveva rimettersi a un musulmano in tutto e per tutto. BLG-041617-1200-750x375In tutte le questioni sociali, il dhimmi doveva piegarsi a un musulmano. Nel corso dei secoli, il degrado, la mancanza di diritti e la tassa che i dhimmi erano obbligati a pagare indussero i cristiani a convertirsi. È la Sharia che distrugge i dhimmi”. Dopo secoli e secoli – nonostante la Costituzione turca non sia basata sulla Sharia – la mentalità e il comportamento della maggior parte dei turchi sono ancora in gran parte islamici. Ecco  cosa dice il professor Ali Carkoglu della Koc University, che ha condotto insieme a uno ricerca sul nazionalismo: “Una questione che differenzia la Turchia dal resto del mondo è che la nostra identità nazionale è principalmente modellata dall’identità religiosa. Ciò che rende un turco tale non è tanto l’etnia, né la lingua parlata, ma soprattutto il fatto di essere musulmano. (…) Una larga maggioranza di turchi pensa che nella loro storia non c’è nulla di cui vergognarsi. [Essi] non sono legati all’Europa e nemmeno al Medio Oriente; in poche parole, sentono di potersi fidare solo di se stessi. Questa identità globale è estranea alla mentalità turca. I turchi sono turchi e un fatto sorprendente è che [alla domanda da noi posta] se tutti fossero turchi, il mondo sarebbe un posto migliore, i turchi hanno risposto molto favorevolmente. Nessuna autocritica di alcun tipo”.120009162-d08bc793-df53-40c6-b302-885761a03435

Ma c’è un altro motivo ancor più intenso e profondo circa la persecuzione cristiana in Turchia, perché i turchi  hanno  una paura diffusa – al limite della paranoia – che i cristiani mirino, attraverso il proselitismo, a riappropriarsi dei territori turchi sottratti loro dalla conquista turca. Ad esempio, un rapporto del 2001 della Organizzazione di Intelligence nazionale turca (MIT)  sottolineava che “i missionari fanno riferimento al Ponto [un antico territorio greco] nel Mar Nero, allo Yazidismo, alla Chiesa caldea e ai curdi cristiani nel sud-est della Turchia, agli armeni nella parte orientale della Turchia e alle antiche terre cristiane nella regione dell’Egeo e a Istanbul per impressionare le persone e conquistarle”. Inoltre, nel rapporto dell’esercito turco del 2004  si diceva che il 10 per cento dell’intera popolazione della Turchia sarà cristiano entro il 2020. Cosa non vera alla luce dei fatti odierni. Occorre sapere che  prima del genocidio cristiano del 1913-1923, la popolazione della Turchia era di circa 14 milioni di persone, di cui quasi un terzo (4,5 milioni)  cristiano; ma  il genocidio  cancellò in gran parte nell’Impero ottomano e oggi  l’attuale Turchia della propria popolazione cristiana creando un paese quasi interamente musulmano. Se questi non sono crimini, ditemi voi cosa possono essere. Lo sterminio armeno, vale a dire la cancellazione di un popolo cristiano,  insegna.

Ancora oggi sotto la presidenza Erdogan molti turchi continuano a colpire costantemente i cristiani; tra questi turchi ci sono politici, accademici, polizia e sindacati che demonizzano i missionari, accusandoli di attività “secessioniste”, “minacciose”, “aggressive” e “terroristiche”. Sappiamo invece  e già da qualche anni che tutto ciò lo fanno i jihadisti islamici che hanno violentemente invaso e conquistato terre straniere,  trasformando  i non musulmani in schiavi o  in cittadini di serie b.  Vi porgo una notizia che spesso sfugge ai più e cioè, se andate sul sito web ufficiale  delle forze armate turche, vedrete   come si  data con orgoglio la creazione dell’esercito turco al 209 a.C.,  ossia durante il Grande Impero Unno, i cui governanti e soldati, come ha documentato  lo storico Joshua J. Mark, “portarono morte e devastazione ovunque andarono”, inclusa l’Europa. E allora come è possibile che l’esercito turco, un membro della NATO,  si vanta fortemente ancora oggi  del fatto che i turchi abbiano “sottomesso e dominato numerose popolazioni, nazioni e stati di un’ampia area geografica che va dall’Asia all’Europa sino all’Africa” ? Tutto questo in Turchia  sotto la dominazione  di Erdogan, o meglio sotto l’era di Erdogan.

Carlo Franza

 

 

 

 

 

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