Al Plus Berlin di Berlino con “Strade d’Europa” si campiona, in una città come Berlino, cuore d’Europa, lo specchio di un’arte di frontiera, assolutamente in movimento, ipermoderna, ipertesa, ipercolta, mente e cuore, ma anche progetto e destino della comunicazione estetica. Artisti italiani sono stati invitati con una personale a dar mostra alle loro opere. Il progetto è locato in un edificio neogotico – già nobile scuola di grafica – con cent’anni di storia alle spalle, a ridosso del più lungo tratto superstite dell’ex Muro di Berlino, nel quartiere di Friedrichshain, la zona più movimentata della città, ricca di art cafè, locali, negozi di abiti vintage, antiquariato, musica e altro. Il terzo millennio che fa vivere i processi creativi in un clima di saccheggiamento della realtà, perchè il futuro è ora, fra rappresentazioni e interpretazioni, ci porta a cogliere il nuovo destino della bellezza. Con l’arte si vogliano aprire finestre sul mondo, con l’arte si vogliano aprire stagioni eroiche, con l’arte si vuole inaugurare una nuova civiltà. Strade d’Europa è un punto di partenza. Con “Strade d’Europa” si trovano ad essere coinvolti, ogni volta, sei artisti con sei mostre personali. Adesso è la volta, tra gli altri, di Adolfo De Turris, Giusi Santoro, Emanuela Pugliese e Linda Sacchi. Ecco chiaro il percorso di Adolfo De Turris , un artista capace com’è stato di esercitare la passione e la cultura del fare unitamente alla sensibilità e al gusto estetico. Egli mette in scena lavori in cui vivono temi capaci di ossificare la realtà ma anche di liberare la creatività e i sogni. Qui realtà e immaginario si offrono come risvolti di un particolare sentire, per cui l’artista ne svela le relazioni formali interne all’immagine, e affidando al segno grafico, a volte controllato in ogni sua evoluzione, a volte estremamente libero, il compito di indagare lo spazio per dare corpo alle cose e alle figure. La suggestione non manca e la lirica cresce in tutti i paesaggi dove affiorano figure e corpi vegetali oltrechè pendii e colline varie, capaci di riandare alle sorprese sironiane e di quel Sironi anteguerra, dove realismo, realismo magico, surrealismo e visionarismo accendono il racconto di un mondo piccolo eppur grande, un piccolo mondo antico letto fiabescamente, sicchè figure animali e paesaggi sono apparizioni della mente più che della realtà. Nella Sala Hoffmann, gioiello del primo novecento, ecco venti grandi teleri di un’artista italiana che racconta la stagione del nuovo informale.E’ il caso del lavoro informale di Giusi Santoro, pittrice italiana di sensibile talento, che argomenta non solo l’effusione della materia, quasi che cominci da zero,ma la fa ritrovare sulla tela come corrosa da un tempo che vi batte a tratti, per cui sembra mostrare i suoi quadri come si mostra una ferita, secondo gli stilemi del pudore. C’è di più, il suo è un esercizio mentale, d’avanguardia, che volge verso un paesaggio astratto, selvaggio e dinamico, trasfigurato da finestre di colore che affiorano qua e là, fruga la realtà sotto il profilo dell’avventura,e ogni fantasia diventa cifra capillare, stazione di meditazione e di pausa. Materia e colore vivono questa solennità astratta e il mondo informale, risorge tra spessori e frantumi, tumulti, urti, gorghi, graffiature e soprattutto ai toni che sanguinanoMonocromi o poco più, con il privilegio del bianco, certi dipinti recentissimi che non devono leggersi in antitesi a quelli dove vi partecipa l’immagine figurale. Semmai quell’immagine irrequieta via via è divenuta ossificazione del simbolo, divenuta poi naturalmente nuvola di colore. Qui la presenza di Philip Guston e Hans Hofmann è più certa, proprio nei fondi con stesure monocrome, interrotte da presenze dai margini sfumati. I dipinti di Giusi Santoro paiono così pareti colorate, un segnare un di là e un di quà del mondo. Le tinte, poi, fanno si che l’opera non sia una parete che divide, ma il punto generatore di uno spazio sempre nuovo. Giusi Santoro con questi nuovi dipinti pare quasi saturare i colori, e in queste grandi dimensioni una generale assenza di profondità fisica è sopperita da una profondità spirituale capace di riferire capacità trasformative; il quadro non rappresenta più cose, ma è cosa in sè, non racconta più, è già compiuto e sufficiente a se stesso, leggendosi materia colorata. Simboli e fervidità segnica caratterizzano il lavoro della giovane Emanuela Pugliese, frutto ormai di un linguaggio essenziale, straniante, automatico e astrattivo, tramutabile in iconogrammi e morfemi grezzi di codice comunicativo, ma testimoniale nello spazio grazie a immagini vibranti e organiche. La degenerazione del rappresentato vive sui sentimenti colti della fantasia, si aggrappa a una significazione formale della civiltà contemporanea, mostra una larga entità rappresentativa, compie un viaggio di momenti creativi nei quali l’insistenza poetica fonda la ragione dei propri ritmi lirici. Emanuela Pugliese, pur giovane, si avvia con le sue varianti di forma-colore e ombra-luce a un recupero visivo che riporta le cose a una più limpida enucleazione formale. E’ il suo mondo quotidiano a rivivere nei lavori, oggetti, figure e cose, soprattutto animali, gatti, pesci, cani, un bestiario mitografico capace di assumere una valenza forte, dominante e assoluta di una finestra aperta sul mondo, un piccolo mondo antico che sale sull’altare della poesia. Persino l’oggettivare un’immagine fotografica diventa una finestra di poesia. Le ansie del vivere sono svelate da vedutismi scarni e strutture postimpressioniste capaci di porgere una specificazione realistica della contemporaneità. Giovane artista Linda Sacchi che ha scoperto e umanizzato la materia, la fisionomia del mondo attraverso una figuralità che fa vivere i presentimenti di una condizione umana, nel senso della durata di qualità e di immediatezza, senza classificazioni stucchevoli e leziose. Lettura narrativa della realtà che vive in molte opere della Sacchi, la quale sembra già riedificare rigorosamente i profili del vissuto, oggetti, cose e animali che si succedono in ordine memoriale, come un inventario civile e pubblico. Rivisita la natura, il mondo, riprendendo e producendo una tormentata e inquietante interpretazione delle forme a volte, in altre occasioni circolano influorescenze cromatiche fauves, creative e fantastiche. Il protocollo figurativo che lascia leggere è espressionista, tormentato e inquietante, ma già bastevole per coglierne una poetica sua tutta personale che sottilmente trascrive una fenomenologia del nostro tempo. Opere tutte in tensione che danno il grado di osservazione e di crescendo dell’arte italiana contemporanea.

 Carlo Franza

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