300px-La_fiumana_(Volpedo)La-serata-d-inaugurazione_image_ini_625x465_downonlyRinasce Finarte, la principale Casa d’Asta italiana chiusa nel marzo 2012 dopo il fallimento. Riapre a Milano nel Palazzo di Via Brera 8, ed è una storia tutta ambrosiana. Marchio acquistato da un gruppo di amici imprenditori che la rilanciano come S.p.A. Società che vanta 6 soci tra i quali ne spiccano due, vale a dire Giancarlo Meschi ex amministratore di Apple Italia e collezionista di arte contemporanea in cordata con Diego Piacentini vicepresidente di Amazon. A seguire Rolando Polli ex settore banking di Mc Kinsey, Marco Faieta ingegnere, Simona Valsecchi fiscalista, e Attilio Meoli ex direttore finanziario di Finarte e ora amministratore delegato. I soci imprenditori votati a questa impresa tutta italiana sono sicuri di riportare in auge la gloriosa Finarte, storica casa milanese nata nel 1959, fondata in Via Broletto dal colto banchiere Gian Marco Manusardi (1906-1997)per specializzarsi in operazioni bancarie applicate al settore del mercato dell’arte assistendo così collezionisti e operatori di settore. Illustri storici dell’arte hanno collaborato negli anni, Federico Zeri, Giovanni Testori, Giuliano Briganti, Raffaellino De Grada, e altri ancora. Nel 1961 l’asta numero uno al Teatro Angelicum, si battevano i capolavori della collezione londinese Estorick, da Picasso a Kandinsky. Poi il successo crescente, l’apice nel 1989 con 150 miliardi di lire di fatturato e nel 1990 con la quotazione in Borsa. Da Finarte sono passati patrimoni immensi, pezzi da capogiro, valga per tutti “Fiumana” di Pelizza da Volpedo capolavoro acquistato per la cifra di 1.4 miliardi di lire e donato a Brera. E ancora la collezione Jucker -oggi a Brera- nel 1992 con 40 quadri per 48 miliardi. Sappiamo che in questi anni passati sono sbarcate in Italia case anglosassoni come Sotheby’s e Christie’s e, dice Meschi, “oggi in Italia manca un operatore prestigioso, di respiro mondiale, come Finarte era e tornerà ad essere”. La sede fiscale in Italia ma si pensa anche di aprire succursali estere, senza tralasciare la vendita online. Certamente il catalogo sarà vasto, dal Trecento al contemporaneo. La prima asta si terrà in autunno, poi a partire dal 2016 l’intenzione è di avere in calendario due appuntamenti all’anno. Il prossimo ottobre 2015 saranno presentate oltre 250 opere, dai fondi d’oro al contemporaneo, per dare una panoramica generale di cosa offrirà la casa e nello stesso tempo rilevanza alla qualità del catalogo che sarà curato con singole schede su artisti e movimenti. Il focus principale di Finarte rimarrà l’arte italiana nei secoli, ma già dall’inizio ci saranno proposte anche di arte africana e asiatica. L’intenzione è anche di valorizzare il design italiano e di proporre una sezione per giovani collezionisti con opere a prezzi accessibili, per lo più fotografia e opere su carta. Ecco cosa ha detto Alberto Meoli amministratore delegato di Finarte: “Ho maturato in Finarte un‘esperienza lavorativa durata quindici anni a cavallo fra gli anni ’80 e ‘90 e ho poi seguito con una qualche apprensione e attenzione le vicende del marchio durante l’ultimo periodo. Ricordando i successi vissuti in prima persona, dalla vendita di Fiumana, ai rilievi del Bambaia, alla Collezione Jucker, ho condiviso l’idea di far rivivere lo storico marchio milanese con Giancarlo Meschi e poi con gli altri investitori. Obiettivo successivo, una volta consolidata l’attività di casa di vendite all’asta, sarà quello di affiancare all’attività “core” quella di art advisory per il sistema bancario e per il mercato finanziario in generale. Accennando brevemente agli aspetti finanziari del progetto, va segnalato che la società ha recentemente deliberato la trasformazione in Società per Azioni e contestualmente un aumento di capitale in due tranche di cui la prima a seicentomila euro, in fase di esecuzione, e la seconda, con delega al Consiglio di Amministrazione, per un ulteriore aumento con sovrapprezzo prevedendo l’apertura del capitale a terzi. Ambizione di medio periodo sarà invece quella di riportare il titolo ad essere quotato sul mercato borsistico”. E allora non resta che fare un grande augurio a questo nobile rilancio della Casa d’Asta italiana, eccellenza tutta nostra, e cuore dell’arte italiana e internazionale.

Carlo Franza

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