Monocromi blu. Superba mostra al Liceo di Brera a Milano. Nove artisti di chiara fama dialogano con il monocromo dell’assoluto.
Ancora preziose e nobili le attività dello Storico Liceo dell’Accademia di Brera a Milano(Via Hajeck 27), sotto l’egida del Ministero Istruzione Università e Ricerca e l’Unesco; annualmente vi sono due mostre storiche che da qualche anno hanno forte valenza e danno alla città di Milano e ai licei artistici d’Italia e del mondo campionatura di ciò che l’arte è stata nel Novecento. Tutto ciò può avvenire grazie alla lungimiranza e acutezza intellettuale della Dirigenza che persegue l’esplorazione dei diversi campi dell’arte, che diventano così fonte di conoscenza, di storicità e di pedagogia artistica per gli studenti di Accademie e licei di Milano e d’Italia. La mostra ha per titolo “ Monocromi blu.L’invisibile diventa visibile” e vive con la presenza forte di nomi di chiara fama.
Ora questa mostra espone un ampio ventaglio di poetiche, in cui la forza espressiva del colore blu assume su di sé il compito di riassumere la memoria e il destino dell’arte in un costante dialogo con l’assoluto e l’utopia. Tante le figure che sfilano in questa antologia del “Monocromo Blu”, ecco Davide Nido, Armando Marrocco, Gioni David Parra, Vincenzo Parea, Tony Tedesco, Loi di Campi, Giorgio Bevignani, Paolo Gubinelli e Andreas Miggiano. Un paragrafo di un capitolo di storia dell’arte del Novecento ben confezionato e riccamente illustrato che sa rivelare il contributo italiano all’arditezza di una splendida stagione di avanguardia. Tant’è che il Monocromo ha giocato, secondo buona parte della critica, un ruolo chiave nell’arte del ventesimo secolo, basti pensare a Lucio Fontana, padre dello spazialismo, che con le sue distese monocrome sapeva scrivere una geniale prospettiva dell’infinità spazialità, acuita col gesto rivoluzionario e scultoreo del “taglio” e del “buco”, offrendo orizzonti inediti nelle percezione dello spazio di una tela. O a Piero Manzoni, brioso giocoliere dell’arte italiana, che ha saputo svegliare dal torpore classico con anticonvenzionali provocazioni (tra “merde d’artista”, ovatta e rosette varie) ma che ha congegnato la magnifica stravaganza degli Achrome come ironica e divertita lirica di una agognato silenzio. O ancora a Enrico Castellani, il matematico dei monocromi, lo scienziato degli assoli cromatici congegnati sulla base di un sistema di variazioni numeriche e musicali. Senza dimenticare i vezzi di Agostino Bonalumi, e le manie di Paolo Scheggi a elaborare colori monotematici in funzione di una connotazione specifica dello spazio architettonico, dai risultati davvero visionari. O la prorompente capacità di riciclare materiali di scarto, decontestualizzati alla loro esistenza quotidiana e trasfigurati in apparati cromatici dalla personalità sorprendente e inaspettata, come i famigerati cellotex di Burri, le bende di Scarpitta, il cemento e il ferro di Uncini. E se gli anni del Monocromo sono quelli anche dell’avvento di una tecnologia nuova, della piccola grande scatola magica della televisione, allora ecco Mario Schifano e Fabio Mauri a osannare con irriverenza la suggestione della nuova iconografia dello schermo da tubo catodico.
Il mondo della monocromia e dei blu o “del mondo blu”nasce in epoca a noi vicina. Nel 1955 un artista francese Yves Klein misurandosi con colori miscelati desiderava un colore che fosse “l’espressione più perfetta di blu”. “Diceva: “che cos’è il blu? E’ l’invisibile diventato visibile… non ha dimensioni. E’ “oltre” le dimensioni di cui sono partecipi gli altri colori”. Questo divenne l’IKB l’espressione perfetta del blu cui dedicò gran parte della sua ricerca artistica.
Basti pensare che Klein si orientò passo dopo passo verso l’arte monocroma, finì dal dedicarsi a sfumature e gradazioni,per mettere in luce e dare volto a un unico colore primario, il blu. Solo alla fine del 1956 Klein trovò quanto cercava e cioè un blu oltremare intenso, luminoso e avvolgente che lo portò a definire “l’espressione più perfetta di blu”. Tutto ciò avveniva dopo un anno di sperimentazioni dando così motivazione forte al senso della sua vita, a quella ricerca d’infinito, a quell’estasi di immaterialità, a quel mondo senza forme e senza dimensioni.
Il blu come verità, come saggezza, come pace interiore, come elemento di unificazione tra mare e cielo, il colore dello spazio infinito, che in virtù del vasto contiene il tutto e oltre. Il blu è così “l’invisibile che diventa visibile”. Questo puro pigmento blu, che Klein battezzò e brevettò col nome di IKB – International Klein Blue – elevava l’importanza del colore nell’arte ad un livello assoluto. Le grandi tele impregnate del Blue Klein sembravano trasformare la materialità del supporto del dipinto in un elemento incorporeo. L’osservatore, in una posizione di estrema libertà, poteva provare e percepire di fronte all’opera qualsiasi sensazione. L’occhio non era assorbito da nessun punto fisso che ne catturasse l’interesse; nessuna figura o riferimenti tradizionali erano impressi sul quadro, così da indurre chi guardava ad abbandonarsi nella sensibilità e profondità di un blu ipnotico. La distinzione tra l’osservatore, il soggetto della visione e il suo oggetto cominciò a perdere di importanza. Il 1957, anno in cui Klein proclamò l’avvento dell'”Epoca blu”, segnò un momento decisivo nella carriera dell’artista. Dopo il clamoroso successo dell’esposizione presso la Galleria Apollinaire di Milano, l'”Epoca blu” venne esposta a Parigi, Düsseldorf e Londra, suscitando reazioni che andavano dallo sprezzo indignato alla mistificazione dell’artista come eroe dei nostri tempi. Epoca blu, tracce blu, spugne blu,sculture blu, ecc. Yves Klein ha fatto del colore blu, da lui brevettato come “International Klein Blue” (IKB) e presentato per la prima volta nel ’57 da Iris Clert, tempio dell’avanguardia francese, il filo conduttore delle sue opere monocrome, rigorosamente blu.
Con il blu, il colore dell‘ “infinità energetica del cielo”, dell’armonia interiore, ha voluto rappresentare il vuoto come essenza della purezza. Il blu rappresenta per Klein la sua ricerca di universalità, nell’arte, nella vita, nella natura, nel profondo blu del cielo, del mare e dei suoi celebri monocromi.
Vi dirò che i monocromi, in special modo il blu, sono un aspetto persistente della modernità, in quanto, aprono un varco verso la contemplazione trascendente,una scappatoia dal tempo, una porta d’emergenza che si apparenta all’uomo in fuga dal progresso. I monocromi non parlano di niente, sono lontani da ogni contestualizzazione del mondo, pertanto non sono “quadri” sono “presenze”. L’astrazione sviluppa un silenzio, crea un muro contro ogni esegesi. Hegel dichiarò infatti che alla base dell’arte romantica c’era la negazione e che il mondo finito e tutti i suoi aspetti particolari erano nullità. I mistici orientali hanno predicato che il solo modo per superare il lato tragico dell’esistenza è l’introspezione -come meditazione- che porta alla pace.
Vi assicuro che questa è una delle più belle e interessanti mostre che ci sono in Italia. Un gioiello della visione. Un gioiello del colore. Un gioiello di misticità.
Carlo Franza