Le opere di Mokhtar Jelassi in mostra nell’ex Studio di Piero Manzoni, in zona Brera a Milano.
Nello Studio Zecchillo di Graziano Zecchillo, figlio del già famosissimo Baritono della Scala, studio che a suo tempo era stato il luogo delle ricerche di Piero Manzoni e che si trova in Via Fiori Chiari 16 -luogo oggi ricordato anche con una lapide all’entrata del palazzo- nel bel quartiere storico di Brera, sede dell’Accademia e della Pinacoteca, si tiene la mostra di Mokhtar Jelassi. L’ho visitata con interesse, perché in quello studio che era stato di Zecchillo, e prima ancora di Piero Manzoni, ero stato centinaia di volte. Era stata per me quand’ero in zona Brera una tappa storica e poi con Giuseppe Zecchillo si andava a cena al Rigolo in Largo Treves. Mokhtar Jelassi è artista da diversi anni, e l’ho sempre incontrato col Baritono Zecchillo non solo in zona Brera ma soprattutto al Bar Giamaica, altro luogo di incontri storici. L’artista Mokhtar Jelassi è nato a Tunisi nel 1964, figlio di un attachè d’Ambasciata, per ragioni di lavoro del padre si è spostato nei diversi stati europei dove ha frequentato le scuole internazionali e imparato varie lingue. E’ proprio nel 1984 che approda a Milano, si inserisce nell’ambiente artistico frequentando Brera e il Bar Jamaica. In questi anni varie le sue discese in campo con mostre personali e collettive e l’approdo in diverse case d’asta fra cui la Casa d’Aste Mecenate e la Casa d’Aste Poleschi.Ma veniamo alla mostra oggi aperta in Via Fiori Chiari, con l’intento di mostrare la materia primaria della sua ricerca pittorica innervata fra new pop e arte dell’effimero. Certamente il nostro artista ha guardato a vari grandi dell’arte contemporanea, a Baj, ad Arman, per citarne alcuni, proprio per l’uso imponente di scarti che articolano le sue icone aniconiche e danno una contrapposizione estrema di assenza e presenza degli oggetti che trovano una situazione spaziale di gran lunga aristocratica e per di più costruiscono un flusso di cose che arrivano a formare un insieme visibile e invisibile,materiale e immateriale, tanto da racchiudersi spesso in una sigla che è il punto interrogativo. Talvolta la sigla interrogativa si umanizza organizzandosi come un ambiente architettonico, e seppure in grande libertà, compongono ramificazioni, sicchè gli oggetti perdono la loro funzione e si affermano come entità sempre riconoscibili, partecipi di una crescita e di forme che eruttano dalla sua testa creativa. L’effetto di miscellanea caotica e casuale che Mokhtar Jellassi getta sulle superfici da costruire comporta l’immersione, la percezione di un nuovo modo di guardare cose e oggetti, come una costruzione che si fa monumento all’effimero che ci ingloba e rende tutto ancor più interrogativo.
Carlo Franza