Le Pandemie del Novecento e il Coronavirus.
Con la pestilenza del Coronavirus che ammorba il mondo, l’Europa e l’Italia, tutti parlano, tutti sanno, tutti hanno da dire la loro. Pochi guardano dentro la storia del passato per capirne di più. Proviamo a declinarne una breve storia. Anzitutto l’epidemia che è stata chiamata “la Spagnola”. Siamo al 1918, e dentro la Prima Guerra Mondiale. Con data 24 ottobre 1918 appariva sul “Il Corriere della Sera” del tempo il titolo “Circolare di Orlando contro le voci false ed esagerate sull’epidemia”; Orlando era il siciliano Vittorio Emanuele Orlando Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno. Il politico italiano nei mesi successivi presentava la grave situazione sanitaria nel Paese Italia che viveva anche gli ultimi mesi della Grande Guerra e intorno alle voci di una più larga e intensa manifestazione della forma morbosa epidemica che era apparsa da noi fin dalla primavera 1918 così annotava: “Si parlò di una malattia terribile, misteriosa, ignota nella sua causa e invincibile nei suoi effetti, e di fronte a qualche caso eccezionale di complicanze polmonari particolarmente gravi (…) si è voluto poi identificare l’affezione, così come in altri Paesi provati prima del nostro si era fatto, con la peste cinese (…). Ora si tratta di voci arbitrarie, assurde, frutto di incompetenza e di fantastica sovreccitazione – prosegue Orlando -. Le osservazioni cliniche come le indagini di laboratorio hanno escluso ed escludono, in modo assolutamente indubbio, l’origine esotica della malattia e la attribuiscono a quella forma morbosa che è conosciuta sotto il nome di “influenza” . Ecco cos’era quella pestilenza che fu la Spagnola. Scienziati e studiosi che ebbero modo di analizzare la pandemia nei tempi successivi, stabilirono che fu una forma virale con complicanze batteriche, notata già nell’estate del 1918 nel Mid-West americano (passava con facilità dalle persone ai suini), e presente già fin dalla primavera 1918 a Canton (oggi Guangzhou), in Manciuria e a Shanghai.La Spagnola infettò mezzo miliardo di persone, vale a dire ben un terzo dell’umanità. Impropriamente fu chiamata “spagnola”, anche se l’origine non avvenne in Spagna. E’ certo che avesse un tasso di riproduzione simile a quello del coronavirus – perché ogni contagiato la trasmetteva a altri due – ma in quegli anni non vi erano né antibiotici nè ossigenoterapia, e per di più l’Europa viveva gravissime difficoltà per via della terribile Guerra che l’aveva messa in ginocchio; la Pandemia della Spagnola fu la prima catastrofe della storia medica recente, perché morirono ben cento milioni di persone. L’Italia del tempo si mobilitò come potè. Sul Corriere della Sera di domenica 29 settembre 1918, a pagina due, compariva “il programma pratico del Governo per combattere la malattia attuale”: “È chiaro che un programma di misure d’igiene pubblica non può essere fissato e svolto in via razionale” se non risponde a due domande: “Qual è la natura della malattia infettiva che si è diffusa in Italia? Qual è la gravità reale che una tale epidemia presenta?”. Si nota che l’agente patogeno si trasmette “mediante le particelle di muco che vengono emesse coll’aria di espirazione durante il parlare e il tossire”. Stesse formulazioni che vanno a coincidere con quanto circola nell’Italia di oggi stretta dal Covid-19 detto Coronavirus. Ecco cosa si disse allora: “Si raccomanda di cautelarsi contro il pericolo di inquinarsi: converrà ch’essi (medici e infermieri, ndr) portino a quest’uopo una maschera di garza o qualche altro consimile mezzo di protezione”. Anche allora si raccomandò alla popolazione -certo come si potè- di non baciarsi, non dare la mano, non andare al cinema e tenersi a un metro gli uni dagli altri. E ancora, il governo chiedeva di “ridurre al minimum gli affollamenti in genere e i contatti dei sani coi malati (ad esempio nelle visite agli ospedali)”. Fu notato anche un interessante esperimento:”In un accampamento, dove l’epidemia infieriva, bastò ampliare il terreno occupato dalle truppe, e in questo modo diradare l’affollamento dei soldati, per veder subito la malattia scomparire del tutto”. Tutto questo avvenne nel 1918, quando i nostri nonni e bisnonni combattevano nelle trincee della Grande Guerra, ben descritte dal dall’illustre poeta Giuseppe Ungaretti.
Poi si arrivò alla Pandemia detta “Asiatica” del 1957. Data memorabile che ben ricordo, perché ne fui anch’io contagiato nell’ottobre del 1957 . In quell’anno le primissime televisioni erano entrate nelle case degli italiani. Ci fu il lancio dello Sputnik sovietico nello spazio e persino la nascita di Carosello. Ma in quell’anno ci fu anche una pandemia chiamata “Asiatica” che uccise più di un milione di persone, dopo averne contagiate fra 250 milioni e un miliardo nel mondo. A voler raffrontare le due pandemie, l’Asiatica e il Coronavirus di oggi, Covid-19 per ora è stato diagnosticato in 94 mila persone e ne ha uccise 3.220 (dati aggiornati al 4 marzo): l’Asiatica del ‘57 fu oltre trecento volte più letale, eppure pochi oggi sembrano serbarne il ricordo. Io certo lo ricordo bene. Il 17 aprile del 1957 sul “New York Time” compare giusto una notiziola dall’allora colonia britannica di Hong Kong: «La stampa popolare riferisce che circa 250 mila residenti hanno ricevuto delle cure. La popolazione della colonia è di circa 2,5 milioni. L’afflusso di 700 mila rifugiati dalla Cina comunista ha creato un pericolo costante di sovraffollamento. Migliaia di malati aspettano cure in lunghe file, molte donne portano sulle spalle bambini dallo sguardo vitreo».Anche “Il Corriere della Sera” del 20 settembre ‘57 parla della pandemia, in una pagina interna: “Ventidue morti in Inghilterra per l’influenza asiatica” e 250 mila persone colpite “in Germania occidentale” con “oltre seicento scuole chiuse nella sola Bassa Sassonia”. Allora il “Corriere dell’Informazione” la chiamò “la nuova spagnola”, e verso metà dicembre si rivelò “rincrudita a Roma”. Badate bene che l’epidemia dell’Asiatica non conquistò quasi mai le prime pagine dei giornali e la sola volta che quell’anno il “Corriere dell’Informazione” dedicò un titolo grande in prima a un virus, fu quando il Milan di Schiaffino – campione d’Italia a metà giugno – dovette andare “in quarantena” e rinviare varie partite. Ma quello fu “morbo giallo”, ovvero “epatite ittigerina” presa da tutta la squadra nella vasca da bagno di uno spogliatoio.
E ancora l’influenza di Hong Kong del ’68-’69. Anche la cosiddetta e successiva “influenza di Hong Kong” che si ebbe nel 1968-’69 (più di 250 milioni di contagiati, quasi un milione di morti nel mondo) non conquistò mai grandi spazi sui media. Era già andata così anche per la pandemia di poliomelite del 1952, che solo negli Stati Uniti infettò 58 mila persone e ne uccise tremiladuecento. Il 10 agosto del 1952 Il Corriere della Sera registrava con poche righe “duemila casi di poliomelite registrati quest’estate in Germania”; a settembre del ’52 scriveva la giornalista italiana Hedi A. Giusti da New York, che le famiglie colpite dalla drammatica paralisi dei bambini hanno “una tranquilla fiducia” grazie alla “meravigliosa certezza del popolo americano che nessuna precauzione sarà trascurata”.
La Pandemia A H1N1 detta “influenza suina” del 2009. La prima e finora unica pandemia influenzale del XXI secolo arriva nel 2009 quando arrivò e fu chiamata “influenza suina”, causata da un virus A H1N1. Si trattava di un virus con caratteristiche piuttosto uniche. Infatti, conteneva una combinazione di geni influenzali che non erano mai stati identificati nelle persone o negli animali. L’Iss ha sottolineato che “mentre la maggior parte dei casi di influenza pandemica sono stati lievi, a livello mondiale si stima che la pandemia ha causato tra i 100.000 e i 400.000 morti nel solo primo anno”.
Passano gli anni, passano i decenni, e le Pandemie ritornano a tambur battente, specie oggi che il mondo si è globalizzato. E’ possibile oggi che a seguito del Coronavirus la globalizzazione sarà ormai messa in quarantena, poi in soffitta. Ritorneremo a status precedenti. E forse sarà la nostra salvezza. Se ciò non avverrà Pandemie come il Coronavirus le avremo ogni tre-quattro anni. La politica, i sociologi, e gli scienziati dicano la loro in tal senso e si prendano le opportune misure, finchè si è in tempo.
Carlo Franza