Ho appena visitato a Roma la bellissima mostra di Carlo Maratti (Camerano 1625- Roma 1713) messa in piedi per celebrare il terzo centenario della morte del pittore più prestigioso, influente e apprezzato sulla scena italiana nel mezzo secolo e passa che intercorre tra il 1660 e la sua morte. E difatti, in questo senso parlano le fonti bibliografiche tra la seconda metà del XVII e la prima metà del XVIII secolo (Bellori, Pio, Baldinucci e Pascoli). Le opere del Maratti ( così è infatti chiamato nei documenti e nella letteratura coeva, e non Maratta come dal Settecento è più universalmente conosciuto) hanno costituito un modello di riferimento assoluto, uno stile pittorico perfettamente risolto e misurato in ogni sua componente (disegno, colore, composizione, iconografia) facendone dell’artista l’arbitro indiscusso della scena artistica capitolina, nonchè fonte di ispirazione normativa per il classicismo europeo del Settecento. Nello scorso novembre l’Accademia di San Luca si è premurata di dar vita a un Convegno internazionale dal titolo “Maratti e l’Europa”(Roma 11-12 novembre 2013) e contemporaneamente è stata aperta la mostra di cui vi parlo dal titolo “I ritratti dei Santi artisti: una regia di Carlo Maratti” presso la Galleria dell’Accademia con un nucleo di dodici ritratti di beati e santi artisti,restaurati per l’occasione,realizzato sotto l’egida del pittore marchigiano e da lui donati al momento della sua elezione a Principe perpetuo dell’istituzione accademica nell’anno santo 1700. Le effigi, eseguite dalla bottega dell’artista, raffigurano i santi scultori e lapicidi Nicodemo,Claudio, Nicostrato, Sinforiano, Castorio e i pittori e miniatori santi Lazzaro monaco, Metodio, Dunstano, Felice di Valois, Maria Maddalena de’ Pazzi e i beati Fra’ Giovanni da Fiesole e Giacomo Griesienger. Le dodici tele, in origine quattordici, poco note agli specialisti, costituiscono un’occasione di riflessione sul complesso meccanismo di produzione della bottega marattesca, una vera e propria officina ove circolavano decine di allievi di diverse generazioni e provenienze, le cui maniere si omologavano sul modello del maestro, circostanza che determina oggi difficoltà nell’ambito dell’attribuzione delle opere. Nella serie presentata in mostra, di qualità non omogenea, spiccano modelli di raffinata eleganza che portano a ipotizzare la partecipazione all’impresa di alcuni tra i maggiori collaboratori e interpreti del classicismo marattesco. La mostra diventa così evento storico di grande rilevanza, per un artista che è stato determinante fra Seicento e Settecento e che ha lasciato, disseminate un po’ ovunque, opere di virtuosa fattura, di incredibile bellezza.

Carlo Franza

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