A camminare in Via Brera in questi giorni, ti trovi catapultato in America. Vi capiterà se mettete piede alla Galleria Ponte Rosso in Via Brera 2 per la visita della mostra dell’artista milanese Paolo Paradiso dal titolo “X. TRA. ORDINARY PLACES”. Sono esposti venticinque nuovi dipinti (alcuni di grande formato) ispirati all’America degli anni Cinquanta del Novecento (dedicati in particolare a New York e Chicago) tutti realizzati dall’artista in quest’ultimo periodo. Vi sentirete come ubriacati dal colore e dal senso di cos’è una vera e grande città. Diceva Oscar Wilde: “Forse, dopo tutto, l’America non è mai stata scoperta. Io personalmente direi che è stata appena intravista”. L’America di Paradiso vi esplode negli occhi, é impossibile staccarsi da questi dipinti, grandi finestre su strade e quartieri di Chicago e New York, luci, ricchezza, frenesia, movimento, automobili, parchi, grattacieli, tutto è a fuoco, come se tutte le cose fossero ugualmente fondamentali, e l’occhio dello spettatore, non sapendo più dove fissarsi, non ha più coscienza di cosa sia realmente importante. Iperrealismo? Non proprio. Lo chiamerei estremo realismo, incredibile avvicinamento a una pittura di pure forme e colori, che parlano anche un linguaggio fotografico. La resa di questi tagli incredibili, di queste vedute, di queste zoommate, avviene con violenti colpi di luci e di ombre, ed anche con l’effetto patinato. Questo estremo realismo di Paolo Paradiso è una vera e propria svolta in pittura, in parallelo con il lavoro di Robert Bechtle o Robert Cottingham, potremmo anche chiamarlo Fhoto Realism o Sharp-Focus Realism, ovvero superrealismo per la pretesa che ha il nostro artista italiano di superare e migliorare i risultati della fotografia, diventando più reale del reale, ricreando un vero più vero del vero. Il fascino di questa America “vissuta” da Paradiso è grande sia per visione d’insieme che per tecniche di lavorazione delle tele, perchè l’artista vola oltre la banalità quotidiana, va oltre l’ universo da cartolina illustrata. Calza a pennello la frase di Jack Kerouac sull’America che dice: “ era troppo per crederla vera, così complicata,immensa,insondabile. E’ così bella vista da lontano, canyon di luci e ombre, scoppi di sole sulle facciate di cristallo, e il crepuscolo rosa che incorona i grattacieli come ombre senza sfondo drappeggiate su potenti abissi”. O quel che dice Henry James su NewYork: “ C’è una bellezza della luce e dell’aria la grande dimensione dello spazio…Ma il vero fascino di New York è inequivocabilmente in quella nota di impeto della vita locale, ed è il fascino di un potere impavido. L’aspetto del potere è indescrivibile, è il potere della più stravagante delle città che alle prime luci del mattino si rallegra della sua forza , della sua ricchezza, della sua insuperabile condizione, e che si trasmette ad ogni oggetto, al movimento e all’espressione di ogni cosa che fluttua, incalza e pulsa, al vibrare dei traghetti e dei rimorchiatori, al tonfo delle onde, al giocare dei venti, al bagliore delle luci, al sibilare dei fischi e delle grida generate dalla brezza”. Città americane colte in ogni stagione dell’anno, anche sotto una coltre di neve, e nelle diverse ore del giorno e della notte, sulla traccia di un altro grande artista americano che è Richard Estes, dove tutto è impressionante per la sua precisione, un vero e proprio gioco di specchi, che ci mostra un palazzo che a sua volta ci mostra l’interno, in cui si riflette l’altro lato della strada. E lo spettatore quasi perde l’orientamento.

 Carlo Franza



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