Al PAN di Napoli è aperta un’importante mostra su Andy Warhol, di un Andy Warhol straordinario, come mai in Italia s’era ancora potuto vedere. Vederla a Napoli ci rende ancor più felici e consapevoli, giacchè Warhol non ha amato nessun altra città italiana più di Napoli. Città, dunque, di elezione. Curata dal collega Achille Bonito Oliva e organizzata da Spirale di Idee, si presenta con il titolo “Andy Wharol. Vetrine”. L’esposizione presenta 180 opere dell’artista, e punta i fari sul periodo in cui, chiamato da Lucio Amelio mecenate, collezionista e gallerista di Piazza dei Martiri 58, Andy Warhol lavorò a Napoli. Il titolo della mostra ci rimanda a due aspetti: uno biografico, e cioè di quando nel 1949 Andy Warhol portatosi a New York lavorò come vetrinista e grafico pubblicitario, l’altro simbolico in quanto Napoli è vetrina, spaccato di una città che si mostra in tutta la sua carica di frenesia e colore, underground e vivace, tradizionalista e omologata, così simile ai sobborghi e ai salotti newyorkesi. Nel genere del ritratto, abbandonato per un breve periodo, Warhol dimostra la superficie del rappresentato. Tutti ne erano “vittima”, nel senso che ambivano a farsi ritrarre. Così anche Lucio Amelio, quando nel 1976 chiamò Warhol a Napoli, divenne il soggetto dei suoi famosi ritratti. Il gallerista vestito di colori pastello nelle teatrali pose sembrava divenire un altro e non essere più lui. Per tre giorni soggiornò a Napoli, entrando in contatto con le neoavanguardie, teorizzate proprio da Achille Bonito Oliva e con il concettualismo europeo. Fiorirono interessanti confronti artistici destinati a lasciare il segno, come quello con il tedesco Joseph Beyus (presentatogli dallo stesso Lucio Amelio), la sua più perfetta antitesi ideologica e artistica. Il percorso espositivo si snoda, infatti, attraverso i ritratti dei personaggi noti della città, che l’artista ebbe modo di conoscere durante le sue visite in Italia, quali Graziella Lonardi Buontempo, Ernesto Esposito, Peppino di Bernardo e naturalmente Joseph Beuys, oltre alle vedute partenopee delle sue Napoliroid. In mostra al Pan, oltre alle opere precedenti il soggiorno a Napoli come la “Campbell’s Soup”, la storica serie “Marilyn” del 1967 , “Camoufflage” e “Golden Shoes” del ’55, le scarpe preziose dedicate alle star, feticcio del corpo femminile, c’è l’opera “Hammer and Sickle” (oggi alla Gnam di Roma), che Warhol realizzò per la Castelli Gallery sotto il titolo di “Natura Morta”. L’opera appartiene ad una serie che non venne mai completata per i costi troppo elevati. Lontana dal significato politico, il simbolo del comunismo ricorda quegli anni di Guerra Fredda tra America e Russia e che teneva sotto scacco l’Europa. Warhol interpreta la falce e il martello, lasciando i colori simbolici del rosso e del bianco, ma riportando il simbolo alla sua realtà. L’opera in acrilico e inchiostro su tela è stata realizzata dal vero copiando la fotografia. La presenza reale dell’oggetto, in cui la società si identifica, è rappresentata dalla pesante ombra nera. L’uso della polaroid, entrata a tutti gli effetti tra le tecniche artistiche di Warhol, dà vita alla serie “Ladies and Gentlemen” del 1975 o anche detta “Drag Queen Paintings” poichè ritrae i travestiti di New York. In mostra è affiancata ai disegni realizzati a partire dalle fotografie del tedesco Wilhelm von Gloede, di cui Amelio acquistò l’archivio. Amelio organizzò la mostra in cui sia Warhol che Beuys avrebbero dovuto intervenire sulle foto; Andy Warhol lo fece ricalcando a matita i contorni dei famosi nudi. Sempre con la polaroid sono state fatte le 22 vedute di Napoli della serie “Vesuvius”, in cui l’immagine del vulcano, uno dei temi classici dell’iconografia locale, viene replicata ossessivamente in colori diversi. Il 1980 la storia della Campania fu segnata da un tragico evento,vale a dire il terremoto dell’Irpinia. Fu per questo che all’indomani Amelio chiese a Warhol e Beuys di fondere la loro creatività per un’opera ricordo. Il 26 Novembre, tre giorni dopo, Warhol reinterpretò la prima pagina del Mattino di Napoli con il titolo “Fate Presto”, per incentivare la tempestività dei soccorsi e svegliare l’opinione pubblica. A memoria di questo monumento naturale che è il Vesuvio ha detto: “Per me l’eruzione è un’immagine sconvolgente, un avvenimento straordinario ed anche un pezzo di scultura. Il Vesuvio è per me molto più grande di un mito: è una cosa terribilmente reale”. L’opera, di grande formato (tre volte tanto la pagina del quotidiano) fa parte delle headlines painting, reinterpretazioni dei giornali in cui il disastro rimbomba nelle immagini reali dell’evento differenziandosi solo per le variazioni cromatiche. E’ sempre in ricordo del terremoto che nel 1985 Lucio Amelio volle organizzare una mostra al Museo Capodimonte. Warhol presentò la famosa serie di 18 serigrafie dal titolo “Vesuvius”, partendo da un’immagine ottocentesca, in cui protagonista è l’eruzione del Vesuvio visto in diversi momenti della giornata. Napoli come il Vesuvio, ma anche come New York: città cosmopolita proprio per la carica interna che conserva nelle sue viscere, che al di là di qualsiasi simbolo culturale e nonostante lo spettacolarizzazione, non si allontana mai dal sentimento. Così Warhol scrisse sul “Il Mattino” in data 1 aprile 1980, lasciandoci una preziosa testimonianza: “Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come a New York. Quello che preferisco di più a Napoli è visitare tutte le vecchie famiglie nei loro vecchi palazzi che sembrano stare in piedi tenuti insieme da una corda, dando quasi impressione di voler cadere in mare da un momento all’altro. A Napoli c’è anche il pesce migliore, la migliore pastasciutta ed il vino migliore. Cos’altro potrei aggiungere?”. Ora questa mostra ne celebra il genio, l’icona più vera della pop art americana.

Carlo Franza

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