Oltre 200 opere del fotografo statunitense Robert Mapplethorpe sono in mostra al Grand Palais di Parigi ancora fino al 15 luglio 2014. Si tratta di una delle più grandi mostre fotografiche dedicate all’artista, ed è stata prodotta dalla Réunion des musées nationaux-Grand Palais, in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation di New York e il Musée Rodin di Parigi. Un’esposizione che, dopo “La perfezione nella forma” di Firenze nel 2009, è una delle maggiori retrospettive sul fotografo morto di Aids a 43 anni. Robert Mapplethorpe è stato uno dei grandi maestri della fotografia d’arte, le sue opere principali hanno riguardato scatti in bianco e nero, nudi e nature morte. La mostra mette in luce l’intera carriera del fotografo, dalle prime polaroid agli ultimi ritratti nella New Yorkdegli anni Settanta e Ottanta, e attraverso le immagini di muse come Patti Smith e Lisa Lyon, indaga il tema della femminilità, rivelando un lato meno conosciuto dell’artista. Tra i temi più comuni delle sue fotografie ci sono i ritratti di celebrità come Andy Warhol, Deborah Harry, Patti Smith e Amanda Lear, soggetti sadomaso che ritraevano la sottocultura omosessuale di New York e nudi. Tutto ciò ne ha fatto uno dei più grandi maestri della fotografia d’arte,grazie a quel bianco e nero altamente stilizzato, con cui realizza ritratti, nudi e nature morte, e che fa risaltare ogni sua opera, pervasa da un accentuato potere erotico. Ma oggi Robert Mapplethorpe viene onorato per quello che è un artista-mito. L’obiettivo di Robert Mapplethorpe scava l’immagine, poi ricrea quasi una natura astratta e con l’uso creativo della luce permette di riprodurre quelli che erano i temi della scultura e, più in generale, dell’arte classica,ovvero il culto della forma. Il corpo umano smette di essere vivente e diventa un oggetto dalla forma perfetta,una divinità. Esposizione sterminata al Grand Palais, che accoglie quasi duecentocinquanta scatti (realizzati dagli anni settanta fino alla fine degli anni 80, quando l’Aids lo aggredì), dalle primissime polaroid fino ai ritratti, ai nudi, agli still life e alle istantanee sadomaso, e tutto per raccontare la luminosissima carriera di un istigatore dalla cultura sterminata, in grado di calpestare con estrema nonchalance il comune senso del pudore grazie a fotografie di incredibile compostezza classica. “Sono entrato nel mondo della fotografia – amava ripetere l’artista originario di Long Island – perché mi sembrava fosse veicolo perfetto per commentare la follia dell’esistenza odierna”.All’età di 16 anni, il giovane Robert fu scoperto mentre cercava di rubare una rivista pornografica gay. Confessò di essere ossessionato dal fatto che il sigillo della rivista e la chiusura ermetica la rendevano ancora più attraente. Pensava a come rendere arte quelle forme, così da creare qualcosa di unico e di personale.Un pensiero che segnò tutta la sua carriera di artista, visto che le sue fotografie sono spesso costruite proprio sull’erotismo, e spesso quegli scatti in bianco-nero sono stati capaci di delineare i corpi ritratti con la grandezza evocatrice di divinità greche. Mapplethorpe ha studiato disegno al Pratt institute di Brooklyn, seguendo le orme di artisti come Joseph Cornell e Marcel Duchamp, si relaziona a differenti materiali giungendo anche alla composizione di collage. Nel ’70 compra una polaroid e da quel momento include anche le sue fotografie nei collage. La sua prima esibizione di fotografie risale al 1973 e già nei suoi scatti più acerbi è possibile notare l’amore per i grandi maestri della fotografia e dell’arte in generale, in particolare per il dissacratore Man Ray, per la visione prospettica di Piero della Francesca e Michelangelo e per la sinuosità di Rodin. L’esposizione parigina dà anche risalto anche a due donne fondamentali nella carriera del fotografo: Patti Smith (è sua la celebre copertina dell’album Horses) e Lisa Lyon, la famosa culturista. Anche per questa ragione le opere di Mapplethorpe sono state spesso fraintese ed etichettate come feticiste e sadomasochiste. In realtà ogni fotografia è studiata, controllata in maniera estremamente razionale e il modello, o la modella, hanno una posizione tutt’altro che casuale. Attraverso la luce si cerca di comporre le forme, di equilibrare le geometrie, creando un equilibrio unico tra bellezza estetica e significato. L’autore insegue questo ideale rifacendosi spesso alle sculture di artisti come Michelangelo. “Se fossi nato cento o duecento anni fa, avrei potuto fare lo scultore ma la fotografia è un mezzo molto veloce per vedere e per fare scultura».Con questa frase, rimasta celebre, Mapplethorpe descrisse efficacemente il suo rapporto con l’arte fotografica. Un rapporto denso che, nei suoi 40 anni di vita, indagò fino in fondo, scegliendola come mezzo espressivo sin dal 1970, quando inizia a scattare con una Polaroid. È un periodo, testimoniato in mostra, in cui il formalismo tipico che caratterizza le sue immagini più mature deve ancora arrivare a compimento. La passione scatta grazie all’incontro con John Mc Kendry, curatore della sezione fotografica del MoMa a New York, come racconta Patti Smith, a lungo amante e poi amica del cuore, nella sua biografia. «John (McKendry) aveva accesso alle camere blindate che custodivano l’intera collezione fotografica del museo, in gran parte mai esposta al pubblico. Avere il permesso di sollevare la velina dalle fotografie, di toccarle, e farsi un’idea della carta e della mano dell’artista fece un’enorme impressione su Robert; studiò tutto con la massima attenzione: la carta, lo sviluppo, la composizione e l’intensità dei neri. “È tutta questione di luce”, disse». A parlare è Robert Mapplethorpe, uno tra i massimi esponenti dell’arte fotografica, noto per i suoi scultorei scatti in bianco e nero capaci di delineare i corpi ritratti con la grandezza evocatrice di divinità greche. La sontuosità delle immagini del fotografo statunitense, nato nel 1946 e venuto a mancare nel 1989, in mostra a Parigi , danno un’esauriente panoramica sull’estetica del fotografo. Dalle polaroids dei primi anni Settanta ai ritratti di fine anni Ottanta di nudi scultorei, nature morte, pratiche sadomaso, Mapplethorpe vive e rivive attraverso i suoi studiati scatti l’epoca bella e tragica in cui si trova a vivere (la New York omosessuale degli anni Settanta), cogliendone gli aspetti più estremi per raffinarli attraverso le sue composizioni. «Spesso – dichiarava l’artista – l’arte contemporanea mi mette in crisi perché la trovo imperfetta per essere perfetta non è che debba essere giusta dal punto di vista anatomico. Un ritratto di Picasso è perfetto. Non c’è niente di contestabile. Nelle mie fotografie migliori non c’è niente di contestabile, così è. È quello che cerco di ottenere».Del grande patrimonio di immagini scattate con la Polaroid si perde memoria fino a dopo la morte di Mapplethorpe, nel 1989, quando vengono riscoperte nel suo archivio e pubblicate, ottenendo un grande successo. Mapplethorpe ha studiato disegno al Pratt institute di Brooklyn, seguendo le orme di artisti come Joseph Cornell e Marcel Duchamp, si è relazionato a differenti materiali giungendo anche alla composizione di collage. Nel ’70 aveva comprato una polaroid e da quel momento include anche le sue fotografie nei collage. La sua prima esibizione di fotografie risale al 1973 e già nei suoi scatti più acerbi è possibile notare l’amore per i grandi maestri della fotografia e dell’arte in generale, in particolare per il dissacratore Man Ray, per la visione prospettica di Piero della Francesca e Michelangelo e per la sinuosità di Rodin. L’esposizione parigina dà anche risalto anche a due donne fondamentali nella carriera del fotografo: Patti Smith (è sua la celebre copertina dell’album Horses) e Lisa Lyon, la famosa culturista. La mostra, ospitata nelle eleganti sale del Grand Palais, si pone l’obiettivo di mostrare differenti aspetti della poetica del fotografo, svelando un sensibilità affine a uno scultore che modella i corpi dei suoi soggetti plasmandoli invece che con il marmo con la luce e le ombre. La mostra di Robert Mapplethorpe è un’occasione da non perdere per riscoprire la bellezza del corpo umano tra erotismo e arte. L’aperta natura erotica delle sue foto, di stampo omosessuale, fece di Mapplethorpe un artista molto controverso e gli procurò non poche ostilità. Intorno alla sua produzione e soprattutto sulla legittimità dei finanziamenti pubblici a tali opere, si creò una forte discussione. Al punto che l’allestimento della sua mostra “The perfect moment”, a Cincinnati nel 1990, portò guai legali al Cincinnati Contemporary Art Center e al suo direttore Dennis Barrie, che vennero processati, e in seguito prosciolti, con l’accusa di oscenità. In un ideale gioco di affinità elettive le sue immagini sono accostate alle videoinstallazioni di Bill Viola (a cui il Grand Palais proprio in questi giorni dedica un’altra superba antologica).

Carlo Franza

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