La memoria del Muro in una mostra inedita di scatti alla “Gedenkstätte Berliner Mauer” di Berlino
Data indimenticabile quella del 13 agosto del ’61 quando i berlinesi guardarono la loro città dividersi in due; nella notte le barricate erano state erette in fretta e furia con filo spinato, paletti da cantiere, sacchi e posti di blocco. Nei giorni e mesi successivi i berlinesi guardarono il muro crescere ed evolvere verso la sua forma definitiva, che fu inventata solo quattordici anni dopo, nel 1975. Il muro si configurò in modo diverso ad essere guardato dalle due parti della città; l’ovest lo ha contestato e dissacrato , lo ha sporcato di colore e lo ha accettato – volente o meno – come quel limite che ha definito e circondato la sua mezza città, ed è diventato, a osservarlo forzatamente, sfregio alla libertà.
Lo sforzo della propaganda dell’est, dopo averlo costruito, è stato quello di nasconderlo. Naturalmente, ciò non è possibile da subito. Ma piano piano il Muro di Protezione Antifascista, questo il nome ufficiale del progetto nato nel 1961, è stato via via celato sempre di più allo sguardo dei cittadini. Sin dai primi mesi sono sorte barriere aggiuntive dalla parte est del Muro di Berlino; il cittadino non solo non poteva superare la barriera, pena la vita, ma nemmeno poteva più avvicinarvisi o guardarla. Quando l’operazione fu compiuta, il muro di Berlino divenne l’emblema disastroso del comunismo europeo e mondiale. Il Muro c’era, e lì si moriva. I cittadini di Berlino est sapevano quindi molto bene cosa li divideva dall’altra metà della città, libera, illuminata, serena, benestante. Lo vedevano furtivamente in alcuni punti della città, dalla sbahn e in fondo a qualche via. Ma fisicamente vi si avvicinavano sempre meno. Sorgevano schiere di palazzoni a impedire la vista sul confine, e un secondo muro sempre più compatto a delimitare la zona di frontiera. E i checkpoint con le guardie armate dall’occhio inquisitore, che scoraggiavano ogni avvicinamento e sguardo indiscreto.
Fotografare il muro di Berlino da ovest fu un’operazione quotidiana e quasi necessaria, ogni strada, per quanto a lungo la si percorreva, portava inevitabilmente fino a lui. Sotto il muro si dipingeva e si sputava e si versava benzina da incendiare, contro il muro si giocava a palla e sul muro si scrivevano poesie e si osservava il paradosso della dicotomia tedesca. Riassunta tutta lì in chilometri di cemento armato.
Fotografare il muro da est era come cercare di fotografare un fantasma. Era vietato per legge ogni avvicinamento non autorizzato alla zona di confine; la macchina fotografica veniva sequestrata, se solo qualcuno ti coglieva sul fatto. E la probabilità che ti scoprissero era alta, visto il ciclopico dispiegamento di forze a protezione dei confini.
Robert Ide giornalista dice che, da bravo “ragazzino impertinente della DDR”, lui il Muro di Berlino l’aveva fotografato, nonostante il divieto, e che ciò ad un bambino doveva sembrare totalmente irragionevole. Lo studio nel quale portò i negativi a sviluppare gli restituì tutte le sue stampe, meno quella del muro. Nemmeno il negativo gli riconsegnarono. Quel suo sguardo non era mai esistito, l’esorcismo unilaterale era compiuto con un semplice tocco di forbice. E le forbici della propaganda di regime stavano dappertutto, in uno studio fotografico di quartiere e sulle canne dei fucili dei soldati.
Perciò merita di sicuro una visita la mostra (aperta fino al 30 settembre 2014) che si tiene al Memoriale del Muro di Berlino(Gedenkstatte Berliner Mauer); per la prima volta vengono esposte tutte le fotografie private di cittadini della DDR che, sprezzanti del divieto e del pericolo, rubarono qualche scatto della barriera che li separava dall’ovest. Non potevano mostrarli a nessuno questi scatti, che ebbero, e lo hanno tutt’oggi, per questo a maggior ragione un’importanza cruciale per la città divisa; sono tutti dei frammenti di verità che offuscano quell’inferno creato dalla propaganda, che fanno resistenza contro la bugia collettiva che impedì allo sguardo di posarsi dove voleva.
Quegli scatti di grande forza e drammaticità, ma anche di poesia e malinconia, mostrano a sé e al mondo che quel muro è esistito e visibilmente esiste come una reliquia oggi, ed è grigio e minaccioso, e irradia odore di morte e di oppressione in tutta la città, nonostante la città si sia ricomposta dall’ 89.
Carlo Franza