Renato Tomassi (1884-1972). Dalle secessioni al realismo magico. Una sorprendente mostra alla Galleria Berardi di Roma.
Un artista esemplare è stato Renato Tomassi (1884-1972). Ora una bellissima mostra è in corso a Roma alla Galleria Berardi, che doveva essere aperta fino al 10 giugno, ma ora è stata prolungata fino a luglio per il successo e l’interesse verso un nome tutto da riscoprire. Autodidatta, scrupoloso osservatore e abile disegnatore, ritrattista di successo dei membri della colonia tedesca residente nella Capitale, Renato Tomassi ha rappresentato la personalità che meglio di ogni altra ha incarnato la passione per la cultura secessionista mitteleuropea che contraddistinse la Roma del primo Novecento. Considerato il principale seguace romano dei tedeschi Otto Greiner e Sigmund Lipinsky, Tomassi prese da questi gli spunti per costruire, all’inizio del secolo, un linguaggio personale caratterizzato da tensione lineare e lucida capacità analitica del tutto originale; sebbene distante dai movimenti d’avanguardia, egli si dimostrò tuttavia un elemento importante di quel tessuto connettivo che, con lo sguardo rivoltò al di là delle Alpi, costituì uno dei terreni di elaborazione dei linguaggi più avanzati. All’indomani della Grande Guerra, l’artista divenne poi uno dei più richiesti ritrattisti romani – il Ritratto di Irene Ibsen (collezione privata), nipote del celeberrimo drammaturgo norvegese, esposto alla prima Biennale romana nel 1921, ne rappresenta uno dei punti più alti – genere che portò avanti assieme a soggetti più intimi e privati, a paesaggi della campagna romana, fino anche a opere pubbliche, la più nota delle quali è la decorazione a mosaico della chiesa di San Roberto Bellarmino, a Roma.
La selezione di opere esposte alla Galleria Berardi, alcune inedite, danno conto dell’evoluzione stilistica e personale dell’artista romano, dai ritratti a china e pastello del primo quindicennio del Novecento carichi di echi tedeschi e mitteleuropei (ne è un esempio tardo Attendendo gli aeroplani austriaci, 1917), fino a giungere ai lavori della maturità, i quali viaggiano sul doppio binario di una pittura pastosa e materica che caratterizza i dipinti realizzati a Capri nel 1923 (La terrazza e Finestra a Capri) e di un linearismo animato da colori chiari e brillanti tipici dei ritratti in interni degli anni Venti e Trenta, in cui il tempo sembra sospeso, quasi una interpretazione personale del contemporaneo Realismo magico (Mia moglie, 1926 e Ritratto di Andrea, 1932). Una piccola sezione della mostra è dedicata anche alle opere eseguite dopo il trasferimento in Germania nel 1936, dove l’artista rielaborò in modo personale, con pennellate sfatte e colori saturi, motivi e stilemi dell’espressionismo tedesco. Al centro dell’esposizione emergono i due ritratti di attendenti realizzati da Tomassi nel 1917 (Il mio attendente e In posa) quando era ufficiale durante la guerra, a Trento, che dimostrano, nella composizione fotografica e nella libertà della pennellata, una grande capacità dell’artista di reinventarsi continuamente.
La mostra è accompagnata da una monografia di Matteo Piccioni, con un’introduzione di Cinzia Virno, che ripercorre criticamente l’intera parabola artistica di Tomassi puntando sulla contestualizzazione del suo lavoro e valutando – oltre l’evoluzione stilistica – le relazioni artistiche e culturali del pittore, le principali influenze, le esposizioni e la ricezione critica, al fine di far emergere la sua posizione tra i protagonisti del Novecento romano. E, dunque, non perdetevi la mostra, un gioiello dell’arte contemporanea.
Carlo Franza