Caro Arturo Vermi. In un libro il ricordo di Arturo Vermi, artista del linguaggio minimale e del segno.
Ho tra le mani il libro “Caro Arturo”( edito da Fondazione Berardelli, Brescia) che Anna Rizzo Vermi, compagna dell’artista Arturo Vermi mi ha fatto pervenire. Libro presentato alla Leogalleries di Monza in occasione della mostra “Lo Spazio e il Tempo – La ricerca di Arturo Vermi dal Cenobio alla Felicità”, presso la Galleria Civica di Monza e nell’ambito della rassegna “La Bellezza Resta”. “Caro Arturo” dedicato all’artista Arturo Vermi(Bergamo 1928-Paderno d’Adda 1988), è una raccolta di lettere e scritti sull’artista di Anna Rizzo Vermi, un testo anomalo ma prezioso nel senso che è un po’ biografia e un po’ profilo artistico; io aggiungo, un libro che fa luce su questo grande artista del Novecento, che è stato capace, perchè in sodalizio con il gruppo del Cenobio essendone tra i fondatori insieme ad altri, a segnare momenti fulgidi vissuti in Brera al Giamaica e a vivacizzare il mondo dell’arte con la “poetica del segno” insieme ad Agostino Ferrari, Angelo Verga e Ettore Sordini. Devo aggiungere che molto, moltissimo, di Vermi ho saputo anche dagli amici Giancarlo Bulli suo medico personale oltrechè artista di chiara fama e da Giuseppe Zecchillo suo amato collezionista. Io stesso ho voluto ricordarlo ed averlo con un’opera molto significativa nella mostra che ho curato al Liceo di Brera nel 2013 dal titolo “Spazi,confini e territori”. Anna Rizzo Vermi ha voluto così scrivere una lunga lettera d’amore al suo Arturo, grande uomo e grande artista, per ricostruire e scoprire l’artista e l’uomo attraverso le lettere che i contemporanei hanno voluto scrivere. Infatti la prima parte è composta dal lungo colloquio di Anna Rizzo Vermi al suo Arturo, la seconda parte vive con le testimonianze di amici, di artisti, di galleristi(penso all’amico Gianfranco Bellora), di collezionisti. Un libro, questo libro, fa già molto per un artista che a mio avviso dovrebbe primeggiare fra i primi dieci dell’arte italiana del novecento. E d’altronde parla la sua sintesi poetica, parla la sua intelligenza illuminata, parla la sua coerenza di pensiero, parla la sua visione dell’arte, la sua filosofia e la sua estetica. Arturo Vermi va ricordato per il suo linguaggio minimale, per il suo alfabeto lineare e cadenzato, artefice anch’egli di quel movimento dello spazialismo scandito dai segni e dai gesti, come la lingua di Fontana. Arturo Vermi argomentò l’Annologio, era interessato più che dello spazio come Fontana, soprattutto del tempo, della sua scansione, dei suoi marcatori, e ancor di più del tempo infinito, inesorabile, del suo essere sempre uguale a se stesso. Dopo il 1964, “abbandonati i retaggi dell’informale, Vermi (scomparso a ottobre 1988) ritrova il suo segno: un segno inconfondibile, di straordinaria efficacia, in cui risiede l’essenza stessa della sua ricerca – scrive Simona Bartolena curatrice del volume, riferendosi alla scelta stilistica più iconica di Vermi – . Innanzi tutto c’è la sua meravigliosa capacità di sintesi: una sintesi perfetta, assoluta, che sa includere in un unico tratto tutta la conoscenza. Nei segni essenziali, ridotti a un unico sicuro gesto, di Vermi si nasconde la memoria collettiva, essi sono luoghi nei quali la dimensione universale incontra quella privata, la vita reale – quella sostanza fisica che Vermi non perderà mai di vista – si apre alla luce eterna dell’oro. Sono i segni reiterati e ossessivi dei Diari, ma anche quelli singoli, esatti, delle Presenze e delle Marine e quelli nervosi, più dinamici e rapidi, dei Paesaggi”. Poi c’è il tempo, ricorda Bartolena, “il tempo scandito dal gesto: un tempo non sempre regolare ma comunque inesorabile. C’è il ritmo del tempo, quello lento della meditazione e quello rapido e sincopato della vita quotidiana…”.
Ecco, per tutto ciò, per quello che è stato e per ciò che dovrà ancora essere fatto per Arturo Vermi, anche questo libro di Anna Rizzo Vermi è un punto di riferimento importante per noi storici che, ad iniziare da me, dobbiamo ancor più studiare e incorniciare come dato essenziale quel capitolo del segno e del gesto, cui Arturo Vermi si apparentò, anzi meglio generò come uno degli alberi più significativi dell’estetica del novecento.
Carlo Franza