Arturo Vermi-Diario-tecnica mista su tela di sacco-cm.47x70-1963Dopo il blu e il rosso, prosegue il percorso delle mostre storiche  al Liceo Artistico Statale di Giancarlo Bulli-Fra un minuto e l'altro-acrilico e legno-cm.13x35x3Brera a Milano sui “colori”. Un’analisi profonda, mirata, un’analisi sui monocromi che tanta attenzione  hanno trovato da parte degli Storici dell’Arte Contemporanea negli ultimi cinquant’anni. Pensate che in concomitanza con questa  mostra al “Brera”,  la potenza visiva del bianco e del nero ha fatto mettere in piedi  dallo scorso ottobre 2017 anche  la  mostra “Monochrome: Painting in Black and White”, alla National Gallery di Londra; 700 anni di storia dell’arte raccontanti attraverso 50 opere radicali che hanno rappresentato un passaggio importante. Dipinti e disegni di antichi maestri, come Jan van Eyck, Albrecht Dürer, Rembrandt van Rijn, e Jean-Auguste-Dominique Ingres sono messi a confronto con le opere di alcuni dei più importanti artisti contemporanei tra cui Gerhard Richter, Chuck Close e Bridget Riley; in mostra anche l’installazione immersiva Room for one colour (1997) di Olafur Eliasson.

Armando Marrocco-9 cubi vestiti di tela-acrilico su tela e supporto in legno-cm.25x28x9-2010Nel saggio “Lo splendore del nero”, pubblicato da Ponte alle Grazie, Alain Badiou tesse un elogio del non colore che li riassume tutti, dell’alternanza tra buio e luce, del chiaroscuro e dei contrasti in un mondo che predilige i colori, le sfumature, i compromessi. A lungPaolo Barrile-Scrittura-acrilico su tela-cm.20x20-1999o le società hanno convissuto con l’oscurità, le persone erano abituate a muoversi nel buio, le giornate finivano al tramonto. “L’avvento dell’illuminazione pubblica nelle strade è stato un progresso contro la barbarie”, ricorda Badiou. L’esperienza del buio totale è oggi sempre più rara, nBruno Mangiaterra-Rosa Rosae-dittico olio su tela-cm.80x100 cadauno-2017elle grandi città circolano addirittura petizioni per difendere la notte e fermare l’inquinamento luminoso. La rivoluzione dei Lumi, non solo in filosofia, rischia però di far smarrire una parte essenziale dell’umanità. L’intellettuale già maoJorrit Tornquist-Orme-pasta e acrilico su legno-cm.20x20-1992ista, ottantenne, intravede una deriva culturale e sociale nel rifiuto del nero che in francese è una parola a doppio significato: noir significa anche buio. “Le Lumières concentrano l’ambivalenza del pensiero francese, sempre in bilico tra razionalità e irrazionalità”. E a chiedere a Badiou  se l’alternanza tra bianco e nero governa il mondo, risponde che “filosoficamente, bianco e nero sono da sempre un’organizzazione simbolica della contraddizione e, proprio perché sono all’opposto, si possono talvolta invertire. In Cina, ad esempio, il colore del lutto è il bianco. Il nero è un non colore, ovvero consiste nella sua cancellazione, come accade con il bianco.Jorge Eduardo Eielson-Quipus bianco nero-acrilico e tela-cm.28x14x18-1993 Il nero lo fa per negazione, il bianco per accumulazione. La dialettica è contenuta in questi due estremi”. E ancora: “La pittura è il tentativo di controllare il colore. Pierre Soulages, ad esempio, ha cominciato prima con l’opposizione tra nero e blu, fino a conservare solo il nero per trovare la luce all’interno del suo contrario. I quadri di Soulages sono formati grandi in cui il nero assume luminosità diverse a seconda di come ci si muove. Sconfiniamo ancora nella dialettica, nella ricerca filosofica”. Il nero è certo uno dei simboli più riconoscibili dell’arte russa d’avanguardia.  Esso è la quintessenza del minimalismo. Stiamo parlando del  “Quadrato nero” di Kazimir Malevich,  il cui titolo  sarebbe “Quadrato nero suprematista”.  Malevich lo dipinse nel 1915,  nel mezzo della  guerra mondiale, ma la sua idea risaliva addirittura al 1913, ovvero a un secolo fa. Inizialmente il “Quadrato nero” non racchiudeva in sé alcuna valenza simbolica, ma era l’esito programmato di una ricerca artistica.Loi di Campi-Moduli sommersi-tecnica mista-cm.100x100x6,5-2017 Come spesso accade con certe opere-manifesto, il quadro  è divenuto  oggetto di molteplici interpretazioni, suscitando anche reazioni scettiche. Basti pensare che il “Quadrato” non è un vero quadrato e che ciascuno dei suoi lati non è parallelI paesaggi dell'Anima no.1 43x18x24cm bronzo patinato nero 2013o alla cornice. E che, inoltre, Malevich l’ha dipinto usando una miscela di colori dove il nero è assente. Se si esamina più attentamente il quadrato, si scoprirà che il colore risulta a tratti screpolato. Potrebbe anche essere  che a Malevich il quadro-e dunque non intenzionalmente- sarebbe venuto così per caso. Cronisti del tempo hanno affermato che  stava per essere inaugurata una mostra importante di arte futurista e a100_0807 Malevich e ai suoi colleghi era stata destinata una sala enorme; apprendendo la notizia, gli artisti si erano precipitati a dipingere le tele mancanti,  ma a Malevich il quadro non riusciva e allora cominciò semplicemente a immergere il pennello nel colore. Venne così fuori il “Quadrato”. Il   Suprematismo  non solo è un ramo del futurismo, ma  è un movimento d’arte astratta, creato nel 1910 da Kazimir Malevich, le cui teorie trovano espressione in combinazioni policromi ed essenziali di forme geometriche (cerchi, quadrati, triangoli, linee) che formano composizioni asimmetriche.ATT0 (2) Lo stile suprematista  poi è stato ampiamente utilizzato nella grafica per poster e manifesti, nonché nel design, nell’architettura e nella scenografia. Lo stesso Malevich affermava di avere dipinto la tela in una sorta di trance mistica, sotto l’influsso della coscienza cosmica, e attribuiva all’opera un significato consono e profondo. Alla mostra il “Quadrato” fu esposto nell’angolo destro della sala accanto all’ingresso, nella stessa posizione, in cui secondo la tradizione russa, venivano appese nelle case le icone. Questo significato fu subito colto dall’artista e critico d’arte Aleksandr Benois che scrisse: “Si tratta indubbiamente di un’icona, che per i signori futuristi si sostituisce a quella tradizionale della Madonna”. Oltre al “Quadrato nero”, Malevich dipinse anche il “Quadrato rosso” e il “Quadrato bianco”, ma  di quadrati neri poi ne dipinse un’intera serie. Il secondo lo realizzò nel 1923 per la Biennale di Venezia. Dal primo si distingueva per le dimensioni. ???????????????????????????????Il terzo quadrato,  Malevich lo dipinse per la mostra che si tenne alla Galleria Tretjakov nel 1929. Secondo la leggenda il quadro gli fu commissionato dal direttore della galleria che non voleva l’originale con le “screpolature”. Nella seconda e terza versione il disegno non mostra più screpolature, quasi l’artista avesse usato una lacca per coprire la tela e preservarla così dalle screpolature. Nel 1993 fu rinvenuta nella filiale di una banca di Samara una quarta variante del “Quadrato nero”, ceduta da ignoti come pegno per un prestito. Il quadro, divenuto proprietà della banca, dopo il suo fallimento, costituì anche l’unico saldo attivo per creditori. Per evitare che lasciasse la Russia, il governo proibì che venisse venduto in aste pubbliche e il quadro fu acquistato per un  milione di dollari dall’imprenditore russo Vladimir Potanin che lo affidò in custodia all’Ermitage. Come spesso accade con i capolavori artistici, la virtuosa leggenda del “Quadrato nero” continuò anche dopo la morte del suo autore. Il funerale di Malevich, secondo le ultime volontà dell’artista, si svolse con un “rito suprematista” in cui il “Quadrato nero” sostituì l’icona sacra  e fu dipinto sulla bara. Mentre una copia venne collocata sul carro funebre. A motivo  della guerra il luogo esatto di sepoltura di Malevich nei sobborghi di Mosca non fu più rintracciato.15 Nel 1988 un gruppo di ferventi estimatori dell’artista russo  collocò nel quartiere un monumento sepolcrale simbolico – un cubo bianco con sopra raffigurato un quadrato – seguendo le indicazioni lasciate nel suo testamento dall’artista. Negli anni 2000 il punto di sepoltura fu ritrovato, ma il terreno nel frattempo acquistato da un’impresa edile ebbe  un palazzo residenziale. Così il “Quadrato nero”  è rimasto  l’unico e il più importante monumento all’artista, perché  Malevich  ebbe a dire che solo il Suprematismo “è in grado di esprimere l’essenza della percezione mistica, misurandosi con la morte e trionfando su di essa”.

E ora passiamo al Bianco. Un non-colore. Ma anche l’insieme di tutti i colori possibili. Bianco per schiarire, alleggerire,  bianco per lumeggiare, bianco per tracciare sul nero. E ancor di più il bianco su bianco. D’altronde, a interrogarsi, ci si chiede  che senso ha fare qualcosa che abbia lo stesso colore di ciò che ha intorno. “Il bianco ci colpisce come un grande silenzio che ci sembra assoluto”, osservava  Kandinsky. Ecco, il bianco come assenza di suono,  come luogo della purezza,  come luogo  del niente o  come luogo dell’invisibile. DSC0622Il bianco, dunque, può raccontare storie di silenzi, di nascondimenti, di sottrazioni progressive fino alla soglia del nulla. Ed è proprio con un esercizio di estrema astrazione che è cominciato tutto quanto. Ed è stato sempre  Kazimir Malevic,  nell’anno 1918, pittore russo fondatore del Suprematismo,  a realizzare  una tela impensabile, un quadrato bianco su fondo bianco. Solo un’impercettibile linea di contorno  delineava il perimetro di un’area quadrangolare, leggermente ruotata. È come se avesse voluto delimitare un luogo mentale, astratto perché quadrato, un non-oggetto, ma non per questo meno possibile. E la differenza, leggera ma netta, tra le due tonalità di bianco sanciva  l’esistenza di quel luogo protetto. Quasi invisibile. Quasi. Perché  chiamiamo bianco, con estrema leggerezza, tutto ciò che appare come il punto più chiaro del campo visivo, anche se raramente due bianchi coincidono. Basti pensare a  quante gradazioni di colore  ci sono del  bianco. E dopo Malevic occorrerà  attendere  altri trent’anni per rivedere il bianco così protagonista. Tra le sue astrazioni e quelle del secondo dopoguerra si trovano solo gli esperimenti in rilievo di Ben Nicholson degli anni Trenta;  qui il gioco dei bianchi si basa su leggere forme geometriche rivelate dai diversi livelli di questo ‘stiacciato’ contemporaneo. Tanti pittori dagli anni Cinquanta in poi, dipingeranno le loro tele di un bianco perfetto e uniforme. Basterebbe vedere i singolari pannelli di Robert Rauschenberg. E’ un fascino quasi mistico quello del bianco su bianco cui gli artisti non resistono. Tele sorprendentemente simili si ritrovano tra i maggiori esponenti dell’arte concettuale, spazialista, pop, povera e minimalista. Piero Manzoni  ha increspato con tessuti e gesso la superficie bianca dei suoi “Achrome” (opere datate  tra il 1957 e il 1963). L’effetto è quello  di un’elegante plissettatura orizzontale. Con  Alberto Burri  il bianco si frammenta e le ombre delle fenditure disegnano in maniera netta l’immagine di un terreno inaridito. Quello di Jasper Johns, invece, è un lavoro di tono-su-tono; le  serie numeriche, gli alfabeti e la bandiera USA diventano degli esercizi di sfumature e spessori pittorici, appena leggibili. C’è ancora meno sulle tele di Robert Ryman, con disuniformità, strisce appena accennate, spatolate leggere; opere all’insegna del motto “Less is more“: il meno è il più, tradotto frettolosamente. Uno slogan coniato, forse, da Ludwig Mies van der Rohe, architetto razionalista tedesco che depurò le sue costrLoi di Campi-Moduli sommersi-tecnica mista-cm-100x100x10-2017uzioni da qualsiasi elemento ‘superfluo’ alla ricerca di spazi essenziali. Sempre van der Rohe amava dire “Dio è nei dettagli”. Quasi che in un insieme spoglio, svuotato di ogni decorazione, la bellezza risieda nella perfezione di un angolo, nell’incastro esatto di un giunto, nella raffinatezza della grana di un materiale. Cose che si ritrovano nei bianchi di Cy Twombly. Graffiati come vecchi muri, quadrettati, disuniformi o divisi in pannelli geometrici. Una consistenza scultorea hanno, invece, i bianchi di Louise Nevelson: assemblaggi dei materiali più disparati, ricoperti da una densa mano di bianco, in cui solo i contorni rivelano la natura degli objet trouvé. Nei lavori più recenti di Daniel Arsham l’idea del bianco in rilievo assume la connotazione dell’installazione integrandosi con il muro retrostante. La parete diventa tela e l’intonaco prende vita assumendo forma e consistenza. Il bianco come crema densa che si rapprende sulla tela è il segno distintivo dei lavori di Anthony Pearson, sembrano colate laviche, canyon al rovescio; qualcosa di tellurico e al contempo astratto. Ancora più estremi e vuoti sono gli esperimenti di Karin Sander e Damien Hierst, combinano il tondo  (forma pura per eccellenza) con il bianco. L’effetto è l’op100_0817posto di un buco nero: un coperchio candido, uno specchio opaco. È lampante  la ricchezza del nulla rappresentato dal bianco; dietro quel nulla non c’è il niente, c’è solo qualcosa che è invisibile, ma  che ci attrae e ci interroga. Come il bianco del romanzo “Moby Dick” di Herman Melville, scritto intorno al 1850, grande classico della letteratura americana tradotto in italiano da Cesare Pavese;  qui il bianco è spaventoso forse perché richiama le dimensioni disumane della via Lattea: “O è forse perché, nella sua essenza, il bianco non è tanto un colore quanto l’assenza visibile del colore e, al tempo stesso, la fusione di tutti i colori; è forse per questi motivi che c’è una così muta vacuità, piena di significato, in un vasto paesaggio nevoso – un incolore onnicolore d’ateismo dal quale rifuggiamo?”.

M’è parso opportuno campionare per questa mostra storica al Liceo di Brera dal titolo “PRINCIPIO DEL GIORNO. BIANCO E NERO” il lavoro contemporaneo sul bianco e sul nero di una serie di artisti italiani e stranieri che ne hanno fatto una scelta di poetica e di estetica, narrando  così la loro visione del mondo con il segno, la materia e il colore;  essi sono Paolo Barrile, Giancarlo Bulli, Pino Di Gennaro, Jorge Eielson, Terenzio Eusebi, Loi di Campi, Bruno Mangiaterra, Armando Marrocco, Vincenzo Mascia, Kyoji Nagatani, Tony Tedesco, Antonio Teruzzi, Jorrit  Tornquist, Arturo Vermi.  Attraverso una accurata selezione di opere – sia storiche che recenti – si è  inteso  valorizzare il percorso pittorico di ciascun artista. Il colore  bianco e nero, è certamente il fil rouge che lega questa selezione di  artisti che solo a prima vista sembrano dipingere quadri monocromatici. Si tratta di opere caratterizzate da un’espressione contemporanea radicale, che li separa dalla produzione minimalista e monocromatica e dall’intellettualismo freddo dei concettuali. Ciò che più gli interessa è la tecnica e l’impressione che suscitano sullo spettatore. La superficie dipinta sembra sparire e aprire la visione di uno spazio indefinito grazie alle numerose velature. Il risultato finale è strabiliante. Anche per essi vale che la superficie dipinta, data dai molteplici strati di colore sembra sparire e aprire la visione ad uno spazio indefinito come afferma Giuseppe Panza in “Ricordi di un collezionista”, a proposito della pittura di Ruth Ann Fredenthal, di cui fu un estimatore.

Carlo Franza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tag: , , , , , , , , , , , , , , , , , ,