Le geometrie di Bruno Querci ricreano lo spazio in bianco-nero. Alla Galleria A arte Invernizzi di Milano, gli ultimi lavori dell’artista italiano.
Sulle pareti della galleria A arte Invernizzi di Milano, che impagina sempre esposizioni di altissima ricerca e proposizione di figure di spicco dell’arte internazionale, vive la mostra personale di Bruno Querci, che lascia leggere un percorso espositivo che, attraverso la compresenza di lavori degli anni Ottanta e opere recenti, mette in luce gli snodi cruciali del percorso creativo dell’artista, quello che intendo chiamare il suo “spazialismo bicromatico”.
Sin dagli albori del suo “fare pittura” Querci, protagonista di quella tendenza artistica che il collega Storico dell’Arte Filiberto Menna definì a metà anni Ottanta come astrazione povera, restituisce sulla superficie delle tele un articolato gioco di pesi percettivi in cui la dislocazione dei diversi piani definisce una complessa condizione di equilibrio, sempre diversa.
Opere come Incombente (1985), Insieme (1985) e Pittura (1985), che si trovano al primo piano della galleria, mostrano come sin dal momento germinale della ricerca emerga la tendenza dell’artista a cercare di fissare il “confine di quella forma che sempre sfugge”. Il rapporto tra visibile e invisibile, che resta una tematica fondamentale di riflessione anche nelle opere recenti, si determina a partire dal vuoto, cioè dalla scelta di ridurre, e quindi di costruire attraverso la sottrazione degli elementi presenti sulla superficie. L’idea di pittura che emerge da lavori quali Minimo (1986) e Luogo (1985) è quella di un potenziale dialogo con l’infinito, in cui la luce, da un lato definisce e attiva la sembianza delle forme, dall’altro crea la possibilità di percepire in chiave sempre diversa il valore tattile delle cromie. Querci stende infatti più mani sovrapposte di pittura, bianca e nera, procedimento che determina tuttavia un “effetto di annullamento del tessuto della tela, restituendo superfici come prive di supporto materiale”.
I lavori recenti, realizzati e presentati per la prima volta in questa occasione espositiva, perseguono una maggiore radicalità e si mostrano più geometricamente essenziali allo sguardo dell’osservatore. La compresenza tra i lavori esposti al piano superiore e Geometrico luce (2017), Geometrico naturale (2017), Dinamico forma (2017) e Gotico naturale (2017), rende ancor più evidente come l’artista si sia spinto sempre più a fondo nella descrizione di un potenziale dialogo con l’infinito, in cui la forma si struttura al punto tale da divenire un unicum con l’assenza, quella intrinseca, quella della forma stessa. Querci si è lasciato, e si lascia condurre dalla necessità che ciò che appare guidi “la mano dell’artista finché la forma informe non appare, fino a che egli non rende liberi sé e l’opera riuscendo a volere ciò che la necessità di quest’ultima gli impone di volere”.
Carlo Franza