I Rosai di G. Comi. Nel cinquantesimo della morte del poeta italiano. Lettura di un testo fondamentale della Poesia Italiana del Primo Novecento.
Esiste un fiore che più della rosa sia stato amato e coltivato, cantato da poeti e ammirato dagli artisti? Conosciuta fin dai tempi più antichi, la rosa è sbocciata in gioielli risalenti a molti millenni prima di Cristo, è fiorita negli affreschi dei palazzi di Crosso e delle ville di Pompei , secondo i miti antichi è il fiore di Venere alla cui nascita è stato presente, come si può ben mirare nel celebre quadro del Botticelli.
Quando Girolamo Comi pubblica nel ’21 “I rosai di qui”, è già nell’aria il clima del Decò, così da anticipare quello “stile 1925”, chiamato in tal modo per via dell’individuazione dello stile nell’anno e nelle vicende della manifestazione francese,ossia quell’Exposition international des Arts decoratifs et industriels modernes.
E d’altronde per “Art Decò “, com’era allora in uso questa formula, si leggeva quella larga produzione degli anni Venti, specie tra il 1920 e il 1925, e riconoscere un gusto che in pittura Matisse e in scultura Wildt evidenziavano esemplarmente. E se il “giglio”(“rose sorelle del giglio”) stava al simbolismo e l’iris e le viole al liberty, la rosa era il tema iconografico del decò. La Rosellina, come fiore piccolo e carnoso a petali arrotondati e regolari, era diventata l’emblema dell’esposizione parigina.
I rosai del Salento palesano non soltanto la bellezza e il profumo che da essi emana, ma fondono i loro colori nella luce bianca che abbacina ognuno di noi; ecco le varianti di colore che Comi segnala: turchino, fiamma, gialli, porpora, seta, oro-sangue, muschio, ambrato, raso-smeraldo, viola, fino alle essenze multicolori.
I fiori e le rose di Comi sono fiori-specchio di un’armonia generale del mondo, di un universo piccolo che si avverte nella nudità dei giardini salentini e che si contrappone all’universo immenso che ci avvolge carico di luce e di stelle, in cui i fiori e le rose “ardono nel guizzo d’un lampo”, imbevuti di sole (“sento i violini del sole/in archi-viola-di suoni/ardere sulle corolle/e incendiarne gli aromi…”), come appaiono anche nell’altro poeta orfico che è stato Arturo Onofri.
Il sole ha questa forza catartica, di penetrare e sconvolgere, di inondare la terra di luce per lasciare venire fuori questi fiori-rose( “ospitate da spaziosità calde /di mattinate felici…”,e ancora “ “Evaso da un torrido sgorgo/ di raso-smeraldo,un abbaglio…”) quasi anime preganti che si restituiscono al cielo. Le rose di Comi non sono “fleurs du mal”, ma il trionfo della vita, non “soffici di perversione”(Govoni, I Gigli) ma cariche di solarità e segnali di nuovo rinascimento.
Fiori, gigli e rose anche in Onofri , restituiti a un referente e correlativo medium che lega terra e cielo, come prova di una più generale chiamata cosmica. Le rose di Govoni (Rose profane) seguono un disegno fonico (la ripetizione di s e la rima ose) che organizza le parole, mentre quelle di Comi, quelle chiaramente dei “rosai” del ’21, sentono il motivo estetico e decadente di D’Annunzio come aveva già segnalato l’amico e collega Donato Valli parlando di “sincretismo sensuale”. Dannunziano “il singhiozzo gaudioso dei sensi…”, la cui adesione ci pare guardi al “Poema paradisiaco”, con il trionfo delle cromie, l’apoteosi delle parole e del sole, tradotte in tangibile fisicità.
“I rosai di qui” escono a Lucugnano nel ’21, in una plaquette di soli venti esemplari, cinque liriche commentate in un sottotitolo “5 sinfonie per musica e pittura”; poi ristampate in elegante veste a Roma per le edizioni de “Al tempo della Fortuna”, nello stesso anno.
Forte è già qui la ragione poetica, la rosa si chiarisce come traduzione e simbolo dell’anima, mentre è simbolo dell’umano destino in “Il Lampadario”, che rimane il suo primo libro ; qui invece tutto è simbolo verticale che si carica non solo di costruzione formale, ma anche, e soprattutto, di lessico lussurioso e di fantasia luminescente. Le rose sono anche un passaggio diretto del paesaggio salentino, lo stesso che troverà poi nell’albero il suo completamento. Per intanto la rosa è stimolo di odori, colori, suoni, è parte della carne d’un tutto che è luce, luce cosmica e universale.
Forse non converrà aggiungere altre parole, se non quello che diceva Gertrude Stein , “la rosa è una rosa, una rosa, una rosa”, e basta il suo nome ad evocare tutto un mondo, quel mondo(“di qui”) di Comi (Lucugnano e il Salento), quel mondo il cui incanto dura da sempre.
Carlo Franza