Memoria per il genocidio degli Armeni (24 aprile 1915), ad opera dell’Impero Ottomano. I cristiani subirono il primo genocidio del XX secolo. Un ricordo bruciante.
Il genocidio degli Armeni è stato il primo dei genocidi che si sono verificati nel secolo XX. Tutto accadeva il 24 aprile del 1915, ben centotre anni fa, ed esattamente a Costantinopoli. E ancora oggi il 24 aprile milioni di armeni in tutto il mondo hanno ricordato il Medz Yeghern, il Grande Crimine, è il giorno della memoria del genocidio che il loro popolo ha subito quasi un secolo fa. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 iniziò lo sterminio degli armeni perpetrato dai “Giovani Turchi”. Intellettuali, artisti, preti, banchieri e deputati furono prelevati dalle loro case a Costantinopoli, deportati verso l’Anatolia e massacrati lungo il tragitto. Nelle marce della morte, che coinvolsero 1.200.000 persone, centinaia di migliaia morirono di fame, malattia, tortura o sfinimento. Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall’esercito turco. In quella tragedia, primo genocidio del Ventesimo secolo, trovarono la morte un milione e mezzo di armeni. Vale a dire Cristiani. Gli armeni erano stati i primi al mondo a dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale del proprio Paese, nell’anno 301. Secondo la tradizione la fondazione della Chiesa armena viene fatta risalire a Taddeo e Bartolomeo (due apostoli di Gesù), ma fu solo all’inizio del IV secolo che San Gregorio Illuminatore battezzò il re armeno Tiridate III. Da allora il Cristianesimo è diventato il pilastro dell’identità armena. Religione e cultura furono i segni distintivi degli armeni, per secoli sotto dominazioni straniere. In ogni casa, anche la più povera, non mancano mai i libri e nelle biblioteche è possibile scovare antichi volumi a forma di bottiglia per nasconderli meglio dal furore distruttivo degli invasori e preservare la propria storia e il proprio futuro. Prima di convertirsi al Vangelo, Tiridate aveva fatto rinchiudere San Gregorio in un pozzo sul quale oggi sorge il monastero di Khor Virap, dal quale è possibile ammirare il Monte Ararat, simbolo dell’Armenia. Secondo la Bibbia fu proprio sulle alture dell’Ararat che l’arca di Noè si sarebbe fermata. Fu così che centinaia e centinaia di armeni che risiedevano nella capitale dell’Impero Ottomano furono arrestati e uccisi nel 1915. Quella che era la più popolosa attiva e creativa minoranza cristiana del Medio Oriente fu cancellata in modo sistematico. Da un milione duecentomila a un milione e mezzo di persone scomparvero nei deserti al termine di marce forzate estenuanti, o anche massacrate sui luoghi dove gli armeni avevano vissuto per secoli in pace.
Fu un genocidio di grave efferatezza. Un dramma per l’intera Europa. Quel termine fu coniato da Raphael Lemkin, giurista polacco di origine ebraica, studioso ed esperto del genocidio armenon ( nel suo libro Axis Rule In Occupied Europe, 1944). Ancora oggi il governo turco di Erdogan, per non dire la sua dittatura islamica, come tutti i governi precedenti, da circa un secolo negano che si sia trattato di genocidio, e conducono una campagna negazionista che appare sempre più scandalosa e irreale . Oggi in Turchia parlare di genocidio può portare alla galera, e come nel caso di Hrant Dink, alla morte.
A dispetto di questo, e della resistenza di Paesi come Usa e Israele a compiere quel passo, il riconoscimento del genocidio guadagna spazio. Due mesi fa la Camera Bassa olandese lo ha riconosciuto; e Menno Snel, ministro delle Finanze dell’Aja ha presenziato a Yerevan alle cerimonie di commemorazione. E’ stata la prima volta che questo è accaduto.Ankara ha reagito furiosamente al riconoscimento, i giornali turchi hanno etichettato cinque parlamentari olandesi che hanno origini turche, e che hanno votato a favore, così: “I cinque turchi che hanno tradito la patria”.A Washington centodue parlamentari, fra cui i presidenti della Commissione Affari Esteri e dei Comitati di intelligence hanno esortato il Presidente Trump a rifiutare il bavaglio imposto dai turchi e di ricordare con onestà e precisione il genocidio. “È tempo di mettere fine all’approccio ‘Prima la Turchia’ verso il genocidio armeno”, ha dichiarato Aram Hamparian, direttore esecutivo dell’Armenina National Committee of America. La lettera a Trump afferma che “Il genocidio armeno continua a essere un punto importante per dire che i crimini contro l’umanità non possono restare senza riconoscimento e condanna”.
Ma forse qualche cosa comincia a muoversi anche in Turchia. Su “Hurriyet” in questi giorni è uscita la recensione a un libro di lettere, l’epistolario fra un emigrato in America e i parenti rimasti a Efkere, un villaggio che non esiste più come tale, nella zona di Cesarea. Le lettere danno un quadro della vita della comunità, spazzata via dal genocidio del 1915 e degli anni seguenti. E in effetti poco prima che l’epistolario si interrompa, ci sono alcuni accenni alla tragedia che si stava addensando sulle 500 famiglie armene di Efkere, travolte dall’orrore. Cosa nuova che il maggior giornale dedichi oggi spazio a questo libro, segno che qualcosa sta cambiando. Così come, è stato pubblicato in turco un libro scritto da Flavia Amabile e da Marco Tosatti, dal titolo “La vera storia del Mussa Dagh”. Nel libro troviamo, alla luce di documenti originali, la eroica e fortunata resistenza di sette villaggi armeni su un monte prospiciente la baia di Alessandretta, assediati dall’esercito turco. Resistettero con le armi, oltre 45 giorni, e furono infine salvati dalla marina francese, ma un vero e proprio scacco storico per l’esercito turco.
Carlo Franza