John Armleder a 360°. L’artista svizzero dal Fluxus al new-geo in una grande mostra al Museo Madre di Napoli.
Il Madre di Napoli, uno dei musei più significativi del contemporaneo operante oggi in campo internazionale, presenta la prima mostra retrospettiva, aperta fino al 10 settembre, dedicata all’artista svizzero John Armleder (Ginevra, 1948), la cui pratica si articola, a partire dalla metà degli anni Sessanta, fra disegno, pittura, scultura, installazione ambientale, performance, video, opere sonore e musicali, testi critici, progetti editoriali e curatoriali. Armleder è uno dei grandi maestri dell’arte contemporanea, eppure la sua ricerca artistica sembra continuamente orientata a superare il confine disciplinare e intellettuale che separa, o pretende di separare, l’arte dalla vita. La sua appare un’ode alla libertà del fare e pensare arte, operando una radicale e poliedrica reinvenzione dell’opera e del formato della mostra, di cui rilegge i rispettivi ordini di senso e la loro percezione pubblica, librandoli al di sopra dei codici della critica o delle narrazioni chiuse della storia dell’arte. Nelle sue opere Armleder unisce, in una sintesi intellettuale e formale tanto pervasiva quanto provocatoria, elementi differenti quali caso e progetto (grafico e di design), cultura alta e entertainment, ironia straniante e analisi concettuale, oggetti funzionali di uso comune e ricerca estetica.
Autore di numerosi progetti collettivi fra gli anni Sessanta e Settanta, nell’ambito delle ricerche Fluxus, Armleder fonda nel 1969 a Ginevra, con Patrick Lucchini e Claude Rychner, il Groupe Ecart, che avrebbe introdotto in Svizzera e in Europa numerosi artisti, in particolare tedeschi e nordamericani, della scena underground e sperimentale internazionale. Associato dall’inizio degli anni Ottanta alle ricerche Neo-Geo (“Neo-Geometric Conceptualism”) –alla loro adozione di uno stile impersonale ed incorporazione di oggetti quotidiani per opporsi al soggettivismo e all’emotività neo-espressionista – Armleder adotta spesso la pratica della collaborazione come strategia di raffreddamento della personalità dell’artista o univocità dell’opera, per esempio con l’artista e musicista Steven Parrino (omaggiato nel libro collettivo Black Noise), o Christian Marclay (co-autore nel 1985 di una performance a The Kitchen, New York, poi ripresa nel 2017, Simultaneous Duo Versions, in cui i due artisti presentano simultaneamente versioni di azioni performative loro e di altri artisti quali George Brecht, John Cage, Kurt Schwitters e LaMonte Young), o Sylvie Fleury e Mai-Thu Perret.
Ripercorrendo l’intera ricerca dell’artista, la mostra approfondisce per la prima volta tutte le articolazioni della pratica artistica di Armleder, comprendendo più di novanta opere. Nelle prime sale è riunita una selezione di disegni degli anni Sessanta, a cui segue una selezione delle Furniture Sculptures prodotte a partire dagli anni Ottanta e consistenti in sculture composte da elementi di arredo riassemblati, fino a divenire in alcuni casi veri e propri ambienti, come nel caso di Untitled (Bar FS), 2003. La presentazione della produzione pittorica di Armleder include le serie dei Dot Paintings (dipinti formati da pattern di vario tipo ma il cui soggetto è sempre il punto, elemento base di ogni produzione grafica), dei Pour Paintings (dipinti formati da colature di materia pittorica pura) e dei Puddle Paintings (dipinti in cui la materia pittorica è distribuita sulla tela posta in orizzontale sul pavimento, incorporando anche oggetti tridimensionali). La mostra riunisce per la prima volta anche tutte le principali opere realizzate dall’artista in Italia – quali, all’inizio del percorso, le due tele gemelle (Untitled, 1988) presentate per la prima volta alla mostra Europa Oggi. Arte contemporanea nell’Europa occidentale al Museo Pecci di Prato, o l’installazione con strobosfere da discoteca (Untitled (FS), 1995) presentata per la prima volta alla 3° edizione della mostra periodica Fuori uso a Pescara – e comprende anche una nuova serie di omaggi alla città di Napoli, quasi un’ipotetica versione contemporanea del Grand Tour.
Ad incipit e a conclusione della mostra sono infatti presentati un cervello in vetro e un teschio-specchio, che ricostruiscono quella dinamica fra vita e morte che permea la cultura partenopea. I Wall Paintings (“dipinti murari”) realizzati appositamente per alcune sale della mostra fanno da sfondo alla presentazione di altre opere. Fra esse anche alcuni frammenti di affreschi provenienti dalla Villa di Poppea a Oplontis, che Armleder incorpora come se si trattasse di oggetti quotidiani simili a quelli utilizzati nelle sue Furniture Sculptures. Questo incontro fra manufatti antichi e un’opera contemporanea è la prima delle Pompeii Commissions connesse alla mostra Pompei@Madre. Materia Archeologica: le Commissions prevedono la possibilità di utilizzare la “materia archeologica” pompeiana frammentaria o danneggiata nel corso dei secoli, per realizzare nuove opere d’arte che mettano in connessione le varie epoche in cui si struttura il patrimonio culturale italiano e consentano al pubblico di accedere a quanto di questo patrimonio giace nei depositi del Parco Archeologico di Pompei, permettendone così una nuova circolazione e diffusione.
Inoltre due nuove tele di Armleder, realizzate per la mostra, fanno a destra e sinistra da ali per un’inedita presentazione contemporanea della Danae di Tiziano Vecellio, capolavoro in cui l’immagine della divinità, Giove, trasformata in pioggia dorata per insediare la giovane donna mortale, echeggia nelle colature e nel sottile gioco fra bi- e tri-dimensione dei Puddle Paintings. Questo omaggio, critico quanto ludico, a uno fra i massimi capolavori delle collezioni rinascimentali e barocche del Museo e Real Bosco di Capodimonte riprende e completa l’intervento realizzato nello stesso museo da Armleder nell’autunno del 2017 con SPLIT!, dipinto murale site specific posto in dialogo con l’opera fondativa delle collezioni d’arte contemporanea del Museo di Capodimonte, il Grande Cretto Nero di Alberto Burri (1978). Armleder ne rispecchia la struttura a comparti di colore puro, sovvertendone però gli assunti estetici, intellettuali e storici: a differenza della consistenza materica dell’opera di Burri, Armleder adotta in SPLIT! una composizione che si sottrae allo spessore della terza dimensione, per articolarsi direttamente sui muri della sala, e ribalta il monocromo del Cretto – e per suo tramite la suggestione del contrasto cromatico luce-buio proprio di Caravaggio e dell’intera scuola caravaggesca – prediligendo una palette multi-cromatica ispirata alle porcellane e ai biscuit della Real Fabbrica di Capodimonte, ulteriore elemento decorativo e di arredo che l’artista incorpora per eliminare ogni supposta differenza fra arti maggiori e minori. Armleder ripresenta al Madre sia l’opera a cui SPLIT! è ispirata – la lacca su tela Sans titre del 1984, presentata per la prima volta nel 1986 al Padiglione Svizzero alla Biennale di Venezia – sia un’altra versione successiva, creando un vero e proprio loop fra Madre e Capodimonte e fra versioni diverse delle stesse opere-matrici, delineando una storia dell’arte che non si pone né confini metodologici né cronologici. E anche in questo senso andrebbe letto il titolo che Armleder ha individuato per questa sua retrospettiva al Madre: 360°.
Potremmo definire quella di Armleder un’arte che si distingue per la consapevole assenza di un medium specifico e di uno stile coerente, inclassificabile come ci si dovrebbe del resto aspettare da un’artista che è appartenuto al movimento Fluxus: Armleder definisce un’estetica non gerarchica ma liberatoria e democratica, basata sull’infinita variazione, e addirittura contraddizione, del processo creativo. “Non ho genere”, ha dichiarato, preferendo pensare a se stesso come a “un [Francis] Picabia”, artista che ha operato all’interno di una sistematica auto-contraddizione, e che non ha mai smesso di fare “cose diverse”. Armleder risponde allo spazio-tempo, al colore, alle forme, alle strutture e ai materiali in un modo simile, indefinibile e personale, auto-ironico e auto-riflessivo.
Nei suoi dipinti, carte da parati, pile di mattoni, ammassi di palline di Natale, grovigli di neon fluorescenti, sculture/assemblaggi di objets trouvés – come le moquette arrotolate provenienti dalle mostre di altri artisti (quella rossa su cui Maurizio Cattelan esponeva l’effigie di Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite o quella blu esposta al Madre da Wade Guyton nel 2017 per la sua mostra personale SIAMO ARRIVATI) – Armleder riconosce e accoglie il quotidiano in cui l’artista è immerso, tratta l’arte come la vita, rivelandone tutte le potenzialità. Ciascun visitatore esperirà dunque questa mostra a proprio modo, in base alle proprie esperienze. E forse proprio per questo l’artista ha concepito la mostra al Madre come una dedica alla città di Napoli: un’unica grande installazione che racconta di un incontro, e ne condivide l’esperienza, il suo procedere fra sacro e profano, alto e basso, colto e popolare o, semplicemente, appunto, fra arte e vita.
John Armleder–Biografia. Dopo le prime mostre personali in varie istituzioni europee – Kunstmuseum Basel (1980); Musée d’art et d’histoire, Friburgo (1982); Kunstmuseum Solothurn (1983); Künstlerhaus Stuttgart (1984); École Nationale Supérieure d’Art Décoratif, Limoges e Musée d’art et d’histoire, Ginevra (1986) – nel 1986 John Armleder partecipa alla Biennale di Venezia (Padiglione Svizzero). Tra le mostre personali successive quelle al Musée de Peinture et de Sculpture de Grenoble, Nationalgalerie Berlin, Kunstmuseum Winterthur, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris e Kunstverein Düsseldorf (1987); Le Consortium, Digione (1989; 1996; 2014); Centraal Museum, Utrecht (1992); Villa Arson, Nizza (1993; 2007), Wiener Secession, Vienna (1993); Fondazione Ratti, Como (1996, dove è anche visiting professor, lo stesso anno, del Corso Superiore di Arti Visive); Staatliche Kunsthalle, Baden-Baden e Casino Luxembourg-Forum d’Art Contemporain, Lussemburgo (1998); MoMA, New York (2000); Kunstraum Innsbruck e Magasin, Grenoble (2001); Kunstraum HBK, Braunschweig, Kunstverein Ruhr, Essen e GAMeC, Bergamo (2004). Nel 2004 Kunsthalle Zürich e ICA di Philadelphia ospitano una retrospettiva delle sue opere su carta, e nel 2005 il MAMCO di Ginevra gli dedica un’ampia retrospettiva, a cui seguono le mostre personali presso Tate Liverpool (2007); Contemporary Art Museum, St. Louis (con Oliver Mosset), Institute of Modern Art/Queensland Art Gallery, Brisbane e Musée d’Art Contemporain, Saint Etienne (2008); Kunstmuseum, Sankt-Gallen (2010); la Carte Blanche al Palais de Tokyo di Parigi e Away alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia (2011); Warwick Arts Centre, Coventry e Swiss Institute, New York (2012); Musèe National Fernand Léger, Biot (2014). Nel 2015 le vetrine di La Rinascente, Milano, ospitano il progetto speciale Let it Shine, Let it Shine, Let it Shine. It’s Xmas again! (composta da un’installazione di dipinti a parete e palline di natale colorate, una cui sezione è ricostruita nella mostra al Madre), a cui seguono nel 2016 il progetto per la facciata multimediale di Museion, Bolzano, e la più recente mostra personale in un’istituzione pubblica, all’Istituto Svizzero di Roma (2017).
Carlo Franza