L’artista Joshua Cesa,un esempio di land art nel cuore del Carso goriziano.
Due monumentali segni rossi, dalle forme spigolose, nei quali si condensa la vocazione di un territorio.
È così che l’artista Joshua Cesa rende visibile un frammento di quel confine con l’Est che lungo i secoli ha diviso le popolazioni della frontiera orientale, anche costringendole all’assunzione di identità imposte (nella storia recente, con le guerre mondiali). L’installazione sorge nel cuore del Carso goriziano, nella riserva naturale dei laghi di Doberdò: realizzata in tessuto – e perciò destinata a consumarsi gradualmente -, riprende l’aspetto cromatico del paesaggio circostante, caratterizzato dal cespuglio detto “foiarola”, cui è legata una significativa memoria storica: si dice che le sue rosse foglie autunnali siano il sangue dei caduti che riaffiora dall’altopiano.
Il visitatore potrà fruire liberamente l’installazione da diverse angolazioni e punti di vista, più o meno ravvicinati, percependo, attraverso l’opera, il moto continuo del confine.
Ora, fino al 18 novembre, il visitatore non solo può fruire l’opera liberamente, ma anche da differenti prospettive: quella da vicino, che permetterà di percepire la natura cinetica dell’opera, quella dall’interno, e quella aerea, visibile dal promontorio della riserva naturale, punto dal quale si potrà cogliere il dinamismo delle forme che punta verso il mare. In particolare, osservando l’opera dal lato destro, si avrà una percezione di sfondamento e tensione verso la meta, mentre, dal lato sinistro, la sensazione opposta di doverne parare il movimento. Questa tensione rimanda all’immaginario collettivo del Carso come confine ultimo con l’est del mondo, dai tempi delle invasioni Barbariche, passando per quelle Ottomane, e in quanto teatro della Grande Guerra e della guerra fredda nel periodo del muro di Berlino, durante la quale costituiva l’ultimo “baluardo” del mondo occidentale.
Carlo Franza