Mario Nigro protagonista assoluto dell’arte italiana astratta del XX secolo in una mostra antologica in Germania al Kunstmuseum Bochum.
Il Kunstmuseum Bochum presenta la mostra antologica dell’artista italiano Mario Nigro (Pistoia 1917 – Livorno 1992) protagonista dell’arte italiana del XX secolo. La retrospettiva, a cura di Hans Günter Golinski, Paolo Bolpagni e Francesca Pola, è realizzata in collaborazione con l’Archivio Mario Nigro di Milano e ripercorre la ricerca dell’artista dal 1948 al 1992. Mario Nigro è uno dei grandi protagonisti dell’arte italiana ed europea dalla fine degli anni Quaranta: pur nella complessità di riferimenti e legami con il contesto internazionale, ha perseguito da subito una ricerca creativa fortemente individuale, che si è continuamente rinnovata senza mai esaurire la propria profondità poetica. Coniugando la propria vocazione pittorica con interessi musicali e scientifici, che connotano la sua visione sin dagli anni della formazione, Nigro ha dato vita a una particolare declinazione di astrattismo, fondata sulle dinamiche delle relazioni umane e sulla visione dell’arte come forma di conoscenza, traducendola in una grande ricchezza di soluzioni compositive, cromatiche e spaziali.
La mostra presenta trentaquattro opere di fondamentale importanza nel suo percorso creativo: in particolare, lavori di grande dimensione e di natura installativa e ambientale, esposti dall’artista in importanti rassegne internazionali, come ad esempio varie edizioni della Biennale di Venezia, che sono stati specificamente selezionati in relazione agli spazi del Kunstmuseum Bochum per definire una serie di momenti chiave nell’evolvere della sua multiforme creazione artistica. L’opera di Nigro coniuga rigore compositivo geometrico ed espressività cromatica: in questi aspetti, appare in perfetta sintonia con alcune matrici della cultura visiva internazionale che hanno fortemente caratterizzato la cultura tedesca, quali l’espressionismo o il concretismo della prima metà del novecento, come dimostra anche la fortuna espositiva e critica della sua opera in Germania. Il nitore espressivo delle sue opere interpreta queste componenti con una sensibilità tutta italiana, dando vita a un singolare connubio che la mostra intende evidenziare nella sua unicità. L’esposizione prende le mosse dai primi cicli pittorici ispirati ai canoni del suprematismo e del neoplasticismo, come Ritmo verticale (1948), prosegue con le ‘scacchiere visuali’ del ciclo dei “Pannelli a scacchi” (1950), per giungere al moltiplicarsi dei reticoli e delle griglie che si articolano in piani di colore di diversa intensità cromatica dello “Spazio totale” – ciclo a cui l’artista lavora a partire dal 1952-1953 e sino alla seconda metà degli anni Sessanta.
La scelta di esporre alcuni lavori di natura installativa e ambientale, quali Dal tempo totale: passeggiata ritmica progressiva con variazione cromatica (il corso della vita: le stagioni) (1967-1968) e Lettera di un raro amore (1972), testimonia l’evoluzione della ricerca dell’artista verso i successivi cicli del “Tempo totale” sino a giungere, nel corso degli anni Settanta, all’approfondimento delle tematiche dell’“Analisi della linea” e della “Metafisica del colore”.
Dopo l’approfondimento e l’utilizzo di formule matematico-geometriche, tra il 1980 e il 1981, Nigro realizza il ciclo “Terremoto”, che nasce anche dal coinvolgimento emotivo con gli avvenimenti coevi e dalla riflessione sullo scorrere inesorabile della storia e sulla possibilità sempre imminente della catastrofe. Dalla metà degli anni Ottanta la spinta verso l’azzeramento, inteso come espressione dell’assoluto, si acuisce e si traduce nella parcellizzazione della linea stessa. Nelle opere del ciclo “Orizzonti” la superficie viene attraversata da una singola sequenza di puntini che la attraversano in orizzontale senza raggiungerne il margine estremo. Nell’arco di un solo anno l’artista giunge a creare, dapprima, il ciclo delle “Orme” in cui il colore steso in pennellate riconoscibili e distinte va a formare delle macchie eterogenee, ed in seguito raggiunge il massimo della dilatazione e dell’ingrandimento della singola componente creando un unico amalgama di colore che occupa tutta l’altezza della tela. Il ciclo conclusivo di quest’analisi che sonda i fondamenti della pittura è quello dei “Dipinti satanici”, per approdare a lavori che appartengono agli ultimi due cicli realizzati dall’artista all’inizio degli anni Novanta, “Meditazioni” e “Strutture”. Queste due serie segnano il ritorno alla riflessione sulla relazione tra spazio e forma e si avvicinano nuovamente a una costruzione più strutturata: nelle prime l’elemento geometrico è infatti suggerito più che costruito dai tratti del pennello e nelle altre il concetto di griglia torna evocato dall’accostarsi e dal sovrapporsi di segni suddivisi per gruppi, ancora una volta disposti secondo lo schema compositivo ortogonale.
Carlo Franza