I virus,  il Coronavirus, la Pandemia da Covid-19,  la malattia, la paura, l’isolamento,  sono temi  da sempre molto affascinanti per la fantasia di uno scrittore, di un’artista e degli  intellettuali.  A guardarsi attorno lo si capisce  dalla  gente  che circola per strada con le mascherine,  ed anche dalle piazze vuote. Davanti alla malattia grave e diffusa, il tempo da una parte rallenta, nel chiuso delle case serrate, dall’altra accelera, con ogni gesto che ci pare e potrebbe essere l’ultimo prima di essere colpiti e magari uccisi dal virus. Assieme con l’emergenza si acuiscono scelte e diversità, da quelle morali imposte dalla situazione, a quelle sociali, con la disparità che aumenta tra chi ha quel che serve a superare la crisi e chi rischia di perdere tutto. Quindi di punti di vista da cui raccontare il fenomeno ce ne saranno sicuramente molti. A questo proposito  forse conviene ricordare a tutti anche del povero Edipo divenuto Re di Tebe che indagava  sulla mortale epidemia che colpì  la sua città per arrivare a scoprire di esserne lui l’inconsapevole causa. L’invito a pensare a un mondo diverso, a un nuovo modello di sviluppo per cercare di salvarci è forse la cosa più chiara uscita da questi giorni, se non vogliamo finire come il padre e il figlio di Cormac McCarthy su  “La strada” che si aggirano in un mondo desertificato post apocalittico con la sopravvivenza ridotta all’estrema essenza, nella ferocia come nella tenerezza. Cronache dell’anno 2020: il mondo piomba inaspettatamente in un’esperienza che molti definiscono ai confini della realtà. Un viaggio nella storia dell’arte ci riporta alla realtà dei fatti: pandemie, epidemie, pestilenze hanno sempre fatto parte della vita dell’uomo e a raccontarcelo sono i pittori del passato. Le rappresentazioni della pandemia seguono due grandi filoni tematici: le immagini devozionali e scaramantiche e le immagini documentali. A quest’ultimo filone tematico appartiene il grande telero “La Pandemia” ( tecnica mista su tela, cm.400 x 160, 2021) ideato e portato a termine dall’illustre artista Gabriella Ventavoli. 

L’opera, palesando una personalissima declinazione al dramma epidemico coniugata a una grande sete di orizzonte e di speranza,  nasce in parte a seguito dell’esperienza del presente e marca una soglia  dove la sequenza, oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione dell’artista e ha come pretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primo buio.  L’opera  grande telero  si compone essenzialmente di tre nuclei dipinti, chiaramente distinguibili  nell’insieme,  con la pandemia che infuoca il mondo in primis, successivamente  la città di Milano  resa qui visibile dal simbolo del duomo con le sue guglie svettanti, infine il rasserenamento  biancastro che sa di pulizia e di fine. E ancora,  la materia e il colore che si impigliano nell’aria, in una luce  tra la forza della materia-fiamma del virus e  l’eterno sogno della malinconia si abbandonano alla caducità,  il cui il colore si fonde e si dissolve con la consueta intonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non ha corpo.  Telero  in cui l’immagine succede in un tempo più rapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poi ricadere su se stessi seminando segni di  dramma e di attesa.  L’artista Ventavoli e il suo  telero ce lo ricorda bene che “Sulla natura delle cose”, del poeta  latino Lucrezio nel I secolo a.C.  riprende il ricordo della peste nera che si abbatté su Atene nel 430 a.C, testo  dedicato ai fenomeni naturali  che  si conclude con la trattazione dell’origine e della diffusione delle malattie;  è qui che il poeta prende spunto dal modello greco, l’episodio descritto da Tucidide; la prima parte della descrizione, tratta dell’origine del male e ne elenca i sintomi, descritti in maniera molto particolareggiata. In tutta l’opera Lucrezio vuole dimostrare che l’essere umano è impotente davanti alla forza distruttrice della natura, di cui la peste è un esempio. L’uomo non può fare altro che usare la sua unica arma, la ragione, non per distruggere ma per capire e riuscire a combattere il male; la tragicità prende il sopravvento in scene macabre,  attraverso una descrizione particolareggiata dei sintomi fisici della peste e dei suoi effetti nefasti a livello morale, vede nell’epidemia un totale crollo dell’umanità.

E ancora una volta l’arte  -cui si innerva anche l’altissimo lavoro di Gabriella Ventavoli- risponde a questo richiamo, non più col suo valore documentale, ma con altri significati: l’ironia, come nel murales L’amore ai tempi del Covid-19, in cui il bacio di Hayez viene traformato in un bacio con mascherina e amuchina dal sarcastico TvBoy; un omaggio, come quello di Milo Manara, con l’immagine di un’infermiera che è pronta alla lotta di fronte al gigantesco virus, lei non arretra, non lascia spazio al contagio. Un immenso tributo a chi lotta per tutti contro il virus, ma anche alla forza delle donne, soggetto preferito del grande fumettista. L’arte oggi si mette anche al servizio della campagna “Io resto a casa”, come testimonia il collage Sweet Home di Nello Petrucci, che invita a restare a casa usando l’iconica famiglia Simpson, o anche  il messaggio socio-politico di Vanni Cuoghi, che pubblica sui social i suoi acquerelli in formato cartolina, documentando l’attualità e lanciando un monito chiaro: il virus si sconfigge solo se tutti i Paesi prenderanno su di sé una parte di responsabilità. Lo fa, ad esempio, con “Dilagante”, l’immagine in cui utilizza il simbolo della superstizione, il gatto nero. Il suo messaggio è forte e chiaro: questa epidemia è pericolosa, dilagante appunto, nata dalla Cina, ma arrivata ovunque, come la pittura rossa fuoriuscita dal barattolo. Ma questo non significa che essa è cinese, né italiana, ma appartiene a tutti e solo insieme potrà essere sconfitta. Da aggiungere, infine, che da anni Gabriella Ventavoli  si occupa   di declinare all’interno del suo percorso artistico il nobile capitolo di problematiche sociali e ambientali; opere che puntano il dito sul non rispetto dell’ambiente, sulla natura violentata dall’uomo, sul  verde e sulle foreste distrutte, sul  mondo calpestato e inquinato; sui cieli,  sulle acque,  sull’aria, e sui ghiacciai, ormai allo stremo.  

Confessa la Ventavoli: “ Con l’ultima opera desidero sottolineare come anche disastrosi cambiamenti climatici abbiano contribuito all’insorgere della pandemia. I ghiacciai stanno collassando per il riscaldamento globale, il polmone verde della terra è dato sistematicamente alle fiamme, dunque l’aria che respiriamo è sempre più inquinata. Sull’umanità incombe la cupa minaccia della pandemia, di cui siamo anche responsabili, e che potrebbe ripetersi se non saremo in grado di modificare profondamente il nostro modo di convivere con Madre Natura”.

E accanto all’opera dei contemporanei che si sono misurati  sulla Pandemia, l’opera-telero  della Ventavoli  è una grande scenografia, descrittiva della tragedia piombata sull’umanità, avvolgendola come una ragnatela, e dalla quale l’uomo con la ragione e la scienza riesce ad allontanarsene solo dopo una seria riflessione.

Carlo Franza  

 

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