Bologna, maggio 2021 – Prosegue con il terzo e ultimo appuntamento dedicato a Giorgio Morandi RE-COLLECTING, ciclo ideato da Lorenzo Balbi che approfondisce temi legati alle collezioni permanenti dell’Area Arte Moderna e Contemporanea dell’Istituzione Bologna Musei, indagandone aspetti particolari e valorizzandone opere solitamente non visibili o non più esposte da tempo, per offrire prospettive inusuali e proporre nuovi percorsi di senso.

Al Museo Morandi, dopo le rassegne dedicate ai Fiori e alle Nature morte, apre il 27 maggio  e sarà visibile fino al 29 agosto 2021 Morandi racconta. Il segno inciso: tratteggi e chiaroscuri a cura di Lorenza Selleri, dedicata al tema dell’Incisione. Partendo dalla domanda ricorrente “Che cos’è un’acquaforte?”, il museo cerca di rispondere attraverso il terzo un focus incentrato su questa tecnica, di cui Morandi è stato maestro. Maestro in senso stretto, dal momento che dal 1930 diventa docente di Tecnica dell’Incisione all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ma anche in senso

Museo Morandi

lato, dati il suo rigore e la sua straordinaria capacità tecnica.

Giorgio Morandi si dedicò alla grafica, e in particolare all’acquaforte, con impegno pari a quello dedicato alla pittura (“dipingo e incido paesaggi e nature morte”, dichiarò egli stesso nel 1937), tanto che ne divenne un interprete straordinario, tra i più significativi di tutto il panorama europeo del suo tempo.

La sua maestria è paragonabile a quella dei grandi incisori del passato, Rembrandt in primis, che studiava con assiduità e fermezza. Le riproduzioni su volumi in folio, così come le stampe originali che teneva esposte nella casa-studio di via Fondazza, e nella sua aula in Accademia, erano funzionali alla sua necessità di poterne carpire la tecnica perfetta. Così avvenne la sua formazione (non esistendo all’epoca in Accademia un corso di studi per questa disciplina specifica) e quella dei numerosi allievi che frequentarono la sua aula durante i ventisei anni del suo insegnamento. In quel periodo Morandi descrive così il tipo di addestramento impartito ai suoi studenti: “faccio eseguire qualche copia da incisori antichi e limito l’insegnamento all’acquaforte eseguita a puro segno”.
Durante il suo magistero si alternarono nella sua aula studenti tra cui oggi ravvisiamo nomi noti come Luciano Minguzzi, Pompilio Mandelli, Quinto Ghermandi, Luciano Bertacchini, Leone Pancaldi, e poi ancora: Vasco Bendini, Pirro Cuniberti, Dino Boschi, Luciano De Vita e Paolo Manaresi. Artisti, questi, che appresero la sua lezione e nel contempo se ne distanziarono, acquisendo una propria personalità o, come suggeriva Morandi stesso, un “proprio timbro”.

 Nello sviluppo della sua tecnica Morandi puntò sul segno per andare oltre il bianco e il nero; attraverso il tratteggio, infatti, tradusse i rapporti tonali, o meglio chiaroscurali, giungendo a valersi di quelli che  Cesare Brandi argutamente definì “colori sottintesi”. Del resto la sua attività pittorica procedeva di pari passo. L’acquaforte, come pure la pittura, comportò per lui una fruizione lenta del mondo di cose che aveva sotto gli occhi, quasi una meticolosa distillazione. Ma è appunto in questa meditata operazione che riuscì a percepire la qualità di ciò che aveva di fronte, e quindi ad impadronirsene attraverso un’abilità tecnica straordinaria, che non divenne mai virtuosismo fine a se stesso.

Il percorso espositivo della mostra si apre con una natura morta cubofuturista, tratta dalla  prima e unica lastra incisa all’acquaforte nel 1915 (V.inc.3), e si conclude con un esemplare dell’ultima e unica natura morta che Morandi realizzò nel 1961 (V.inc.131).

Sette delle quattordici acqueforti esposte entrarono a far parte del patrimonio del Comune di Bologna nel 1961, quando Morandi le donò, conservando l’anonimato, in occasione del riordino delle raccolte della Galleria d’Arte Moderna allora ubicata presso Villa delle Rose.

Alcuni fogli appartenenti a collezioni private completano l’esposizione. Si tratta di opere concesse in comodato gratuito al museo in tempi più o meno recenti, come ad esempio I Pioppi e la Grande natura morta con la lampada a petrolio del 1930 (V.inc.76 e 75) e la già citata natura morta del 1961, appartenuta a Luciano Pavarotti. A queste si aggiunge la stampa della sola lastra, ad oggi nota, che Morandi incise con la tecnica della ceramolle.

Alcune vetrine permettono al pubblico di avere accesso a documenti che gettano luce sulla dedizione di Morandi verso la tecnica oggetto del focus espositivo e sui suoi lunghi anni di insegnamento. Tra questi spiccano le lettere dell’artista all’amico Mino Maccari e quelle di Carlo Alberto Petrucci, Direttore della Calcografia Nazionale di Roma a Morandi, oppure i registri, le note di qualifica e le relazioni provenienti dall’Archivio Storico Accademia di Belle Arti di Bologna.

Carlo Franza

 

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