Dante, l’Altissimo Poeta. La Divina Commedia! Ho tra le mani  la raffinata  e preziosa cartella “Sassu- La Divina Commedia”  con il libro delle Cantiche prefazionato dall’amico Ferruccio Ulivi, scrittore e letterato come pochi, cartella  messa in atto dalla Stamperia di Giuliano Grittini, artista anche lui  e stampatore (Incisione Arte)  di chiara fama. All’interno  brillano  di maestria  le grafiche di Aligi Sassu ideate per la Commedia di Dante; ecco Firenze e il suo Palio,  l’Inferno con l’ottava bolgia dove bruciano i consiglieri di frode; eppoi il Purgatorio rappresentato con Traiano e la vedovella avvolta in un mantello nero,  e ancora il Paradiso  con gli Argonauti,   e infine del Paradiso  la famosissima preghiera alla Vergine  di San Bernardo “  Vergine Madre, figlia del tuo figlio…”. Grafiche  cariche di colori, stemperate in una espressività  tipica di Sassu e dei suoi toni rossi. Con i rossi Sassu ha sempre avuto una costante che lo ha accompagnato nel suo percorso d’artista.  Qui nella Divina Commedia ha il suo completamento.   Dice Sassu: “E’ stata per me una fiamma bruciante, una lettura, una partecipazione vissuta che ho coltivato per tante stagioni, qualcosa che è divenuto specchio della mia anima del mio lavoro per anni. Non è stato come quando ho illustrato il Lazarillo de Tormes o Le stanze del Poliziano, il Vangelo di San Marco o l’ Apocalisse .  Qualcosa di totalmente differente. Un testo che mi ha offerto una lettura, una conquista, una continua lotta per la luce della pittura, della forma, della scoperta del mistero delle parole di Dante legata agli esempi universali della condizione umana. La fantasia, la fede concreta nella pittura, non un’ occasione illustrativa di eventi. Un artista non può limitarsi ad una riproduzione grafica di espressioni, di atteggiamenti, di composizione simbolica di figure e di cose; pura raffigurazione che non può rispecchiare la suggestione del sangue, dello spirito, dell’interpretazione della poesia. Scoprire, vedere da un punto di vista non transeunte un mondo imperituro creato con immagini concrete come rocce. In cui i sentimenti, le passioni sono scolpite in forma assoluta, ma che noi leggiamo e interpretiamo con gli occhi di oggi. La fede, l’amore, l’odio, le passioni che come un magma ribollente commuovono e scuotono nel profondo i sentimenti dell’uomo, come nella Commedia, non può essere una mera illustrazione grafica. Un’altra ragione per me è stata fondamentale. La lettura della Commedia non è solo un’immersione nella poesia, nella vita, nella storia di un poeta, che compendiava in se, i come tutti gli eroi del pensiero, tutte le passioni dell’umanità e della sua epoca. La storia della rappresentazione delle forme non è passata invano. Il testo della Commedia non è stato per me una prova illustrativa di pura rappresentazione, ma una drammatica determinata azione. Affondare il bisturi nella carne viva della mia pittura. Le illustrazioni della Commedia di Doré sono un caso particolare. L ‘afflato romantico neogotico dell’epoca ha trovato in Doré una concordanza formale di un romanticismo sentimentale adeguato ad una chiave di lettura: una serie di illustrazioni nelle quali il gusto del pubblico, del lettore, si identificava e si identifica tuttora. Non è stato così per me. Ho affrontato la Divina Commedia per dare forma e figura alla voce più segreta di Dante, in simbiosi con la mia pittura, con la realtà ed il sogno; per dare una conferma alla mia lettura di Dante. Una forma certo tutta particolare. Rendere tangibile, concreta, conforme a tutta la mia esperienza tenendo conto dell’immagine della fantasia, non della rappresentazione della storia.  In un percorso, una traiettoria di anni in cui hanno coinciso momenti di vita, di una realtà viva della poesia, delle scelte non sempre didascaliche. L’ Inferno, il Purgatorio, il Paradiso sono stati gli elementi di una bilancia in cui si compensano, si dipanano, volta a volta, i modi, le invenzioni, dipinto per dipinto, la matassa, il filo della poesia.  Così i corpi si compenetrano, si fondono come larve infernali o paradisiache o purganti in un amalgama creato dall’intrecciarsi e fondersi delle anime che nascono e muoiono nel corpo del colore. La violenza bestiale che appare, nella purezza di una lieve deformazione dei corpi, il colore soave del peccato, l’abisso del cielo e la luce bianca dell’ Inferno. Il soprannaturale ingigantisce e sfilaccia le forme; il fuoco è fiamma concreta che si fa corpo. La poesia è leggenda, ma anche rapporto diretto con la pietra e il caos immondo. Caino nel secondo canto del Paradiso? Ho cercato, scavato nel profondo della realtà, del mito vivo nella poesia. Ho trovato in ogni dipinto le molteplici ragioni dell ‘atteggiamento dell ‘anima, delle deformazioni di ogni figura, di ogni viso, dello sguardo. Lo stimolo del colore, dettato dalla molteplicità dei significati, dalla suggestione emotiva, dagli scontri di idee riferita ad epoche differenti, anche della mia vita. E stata una partecipazione attiva e vissuta giorno per giorno per sei anni.  Il magma informe del colore, delle linee, assume così a poco a poco una configurazione globale. Si inventa e cresce nel continuo rimescolio delle immagini già realizzate, e quelle in divenire, in un ‘unità che è vitale e differente, proprio come la vita, la poesia di Dante.Ho dipinto così in piena autonomia rispetto ad una lettura illustrativa. La poesia della Commedia non si configura in una stretta casella temporale. E sempre viva nel trascorrere del tempo, in uno spazio dello spirito, che si fa carne e virtù secondo le vicissitudini degli uomini e degli eventi. Ho pensato che la mia visione di pittore delle parole di Dante, “le parole sono pietre” , doveva essere una guida alla fantasia e all’invenzione, un modo di integrare le forme e il colore evocate con il tessuto della nostra vita quotidiana. Non una traduzione, ma la continua invenzione dell’immagine, una riflessione sulla continuità della vita e della morte. Uno specchio mostruoso e divino che riflette il nostro essere quotidiano.L ‘immane carnaio della sofferenza dei lager, in una compenetrazione di mostri orrendi. La luce quanto difficile di un Paradiso illusorio e drammaticamente fantastico, di concetti non raffigurabili. Le penitenze del Purgatorio non meno orrende di quelle dell’Inferno, una gradualità di sofferenze illuminata solo da speranza, senza limiti nel tempo, ma una luce almeno. La figura sì, può essere deforme e mostruosa in una metamorfosi continua delle pene e delle sofferenze; oppure del gaudio e della felicità della fede raggiunta.  Ma il pittore col colore può dare e fare un discorso chiaro solo immedesimandosi nelle parole del poeta. Vivere la passione, che ha creato l’amore e l’odio, la vendetta e il sottie mormorio della contemplazione dell’ineffabile. Allora si ricorre ad altro. Si entra in un medio, in una comunicazione che travalica la realtà, il significato dei versi, delle parole. Ci si immedesima nel fulgore di quello che Dante ha creato e si è fatto poesia. Ogni volta che iniziavo un dipinto, era come immergermi in un vortice, in un torrente, di cui occorreva risalire il corso. Ma con pazienza d’invenzione, in un sogno lucido, la mano e il pennello, quasi automaticamente, riflettevano come in uno specchio ustorio, il sole di Dante, il colore vero, l’immagine costantemente perseguita e forse mai raggiunta. Far lievitare il colore, con la luce che rompe e sfrangia le forme, il rosso si compenetra con il verde, il blu col giallo e il carminio: è fuoco, si crea un tessuto, un intrecciarsi dei vari colori in un magma sulfureo che si intensifica l’uno con l’ altro.Si crea un ribollire dei colori simili e di quelli contra- stanti, dando così il senso di un fermento vitale. |L’ esigenza di una moralità pittorica è stata per me continua. Le motivazioni formali non sono mai state costrittive. La continuità è data anche dalla rottura e dai salti compositi- vi, dalla aggregazione di certi motivi continui, dal costante legame poesia-creazione dell’anima. Stimolato dal rapporto quotidiano della vita e del sogno, in un ‘unità trascendente sia la morte che la vita. Ho cercato di dare corpo ai miei ideali di lotta, contro la matta bestialità latente da sempre nell’uomo. Quella espressione di poesia che la pittura può dare o ha dato alla mia lettura di Dante. Sono stati momenti, mesi, anni di elaborazione febbrile, spazi di tempo fatti di riflessioni di letture, di pensieri fissi in cui elaboravo il dipinto come una materia viva in continua crescita. Era un Inferno squisito, fatto a volte di rosa e celesti, a volte di un Paradiso in cui l’inutilità di tutto quello che l’uomo ha creato, con le parole specchio di luce, è puro riflesso, negazione della vita.  In realtà in Dante può anche esserci l’ espressione della nullità dello sforzo dell’uomo per essere. Ma la fede, l’illuminazione divina diventa colore e forma, l’ ammasso di carne palpitante, viya, non può essere oggetto fatto di niente. E vita che soffre, che palpita, che  distrutta dal peccato. Ma esiste il peccato? E peccato non vivere l’amore.  In Dante la grandezza dei concetti, immensa, ripropone continuamente la forma perfetta, il senso e il timore dell’infinito.  Questo non vuol dire che il pittore debba negare la forma, il colore, il disegno, la bellezza. Perciò non deve porre limiti ai modi di rappresentazione. La pittura non è simbolo; è estremamente concreta. Si risolve in sè stessa in una lotta continua con l’essere. Una dialettica della figura dell’ uomo che dà spazi enormi alla Pittura”.

Carlo Franza

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