Diciamo subito col dire che Brescia  ci offre sempre delle mostre di altissimo livello.  Ora è la volta di una mostra che già nel  titolo  è preziosa e illuminante.  Ateneo di Brescia, Accademia di Scienze Lettere e Arti,  con Fondazione Brescia Musei,  celebrano due miti a 700 anni dalla morte di Dante e, al contempo, a 200 anni da quella di Napoleone. Un progetto che indaga valori, ideali e sentimenti che si addensarono intorno ai due personaggi, descrive un’epoca, i suoi protagonisti, il collezionismo, le tendenze, all’insegna di un comune denominatore: l’Europa. Oltre 80 sono le opere in mostra, intitolata “Dante e Napoleone”, visitabile fino al 15 dicembre 2021,  a cura di Roberta D’Adda e Sergio Onger; dipinti, sculture, disegni, stampe e medaglie provenienti da collezioni pubbliche e private, in dialogo con il percorso permanente della casa-museo di Paolo Tosio.
Il culto per queste due  altissime figure che appartengono all’Occidente e per gli ideali che esse incarnano trova diverse testimonianze nelle collezioni italiane ed europee che si vennero costituendo in particolare nell’Ottocento; in questo caso a Brescia, grazie a Paolo Tosio (1775 – 1842), nobiluomo raccolse nel suo palazzo, progettato da Rodolfo Vantini (prima sede della Pinacoteca cittadina a lui co-titolata, trasferita dal 1904 a Palazzo Martinengo e ora sede dell’Ateneo) un’importante collezione d’arte con capolavori di Raffaello, Lotto e Moretto, pittura fiamminga e nord europea, oltre a commissionare opere neoclassiche e romantiche, così come alcune decorazioni parietali, intorno al mito di Dante e Napoleone.
La mostra spiega  e sottolinea la funzione  culturale già immaginata da Tosio per la sua abitazione, funzione certamente condivisa con i componenti del suo illustre cenacolo, e  cioè  quella di assegnare alla propria dimora una funzionecivile, costruendo un proprio personale pantheon, selezionando e coltivando l’immaginario simbolico di cui dovevano nutrirsi i contemporanei.
Le opere selezionate per l’esposizione, lasciano sufficientemente scoprire  l’interesse largamente diffuso per queste due figure; Alighieri,  in quanto riferimento delle aspirazioni civili e identitarie della nazione, della quale il poeta era considerato l’unificatore dal punto di vista linguistico; Bonaparte,  in quanto percepito come colui che, grazie alla costituzione della Repubblica prima e del Regno italico poi, aveva avviato un processo di formazione della coscienza nazionale che diede vita al Risorgimento e all’unificazione della Penisola. Nella vita culturale e politica dell’Italia dell’Ottocento, ampiamente squadernata  dall’esposizione, Dante e Napoleone svelano il rolo centrale che hanno avuto in Italia. Ruolo che per Bonaparte, soprattutto dopo la sua morte, come per Alighieri, si è ammantato di valori ideali, assurgendo alla dimensione del mito. Come spesso  avviene, il fenomeno culturale  dice molto più sull’epoca che sugli stessi personaggi. Intellettuali e patrioti assegnavano alla lingua una funzione decisiva nell’edificazione della nazione e il Sommo Poeta ne era stato il maggior plasmatore. Allo stesso tempo il generale corso – nato in un contesto culturale fortemente legato all’Italia, grazie ai genitori di origine toscana – aveva generato in molti italiani la consapevolezza dell’identità nazionale e temprato migliaia di giovani all’esercizio delle armi.
Va sottolineato che nell’Ottocento, il collezionismo privato contribuì in modo originale al grande processo di diffusione del mito di Dante e Napoleone, meritandosi di comparire a pieno titolo tra i custodi della loro memoria. Ripercorrere quella esperienza, grazie a Paolo Tosio, con una esposizione allestita in un luogo simbolo, è un importante modo per celebrare i loro anniversari di morte.
Ecco allora muoversi nella mostra e  stupirsi non poco che  nelle raffinate sale neoclassiche della casa museo di palazzo Tosio,  sale ancora l’atmosfera del vivace salotto culturale che lì si riuniva. Più precisamente, nell’appartamento recentemente riallestito che già ospita il Busto di Napoleone di Democrito Gandolfi (copia da Canova) e il Conte Ugolino con i figli nella torre della fame di Giuseppe Diotti, opera del 1832 che all’epoca della sua esposizione a Brera destò non poco scandalo, perché giudicata troppo cruda. Tra le opere in mostra: Ritratto a tre quarti di Napoleone in “petit habillement” di re d’Italia del 1805, di Andrea Appiani (1754-1817), – già noto come copia  e riscoperto come prezioso originale anche grazie al restauro realizzato in coincidenza con la mostra – uno dei tanti ritratti presenti nelle collezioni cittadine, segno della fedeltà filonapoleonica della nobiltà; le miniature, dipinte su avorio, commissionate dalla famiglia imperiale a Giambattista Gigola (1767-1841) per farne oggetto di doni ora di affetto, ora di rappresentanza; i Fasti di Napoleone ideati da Andrea Appiani per il palazzo Reale di Milano, illustrati in una prestigiosa serie di 35 acqueforti.

Una non piccola sorpresa  quel piccolo capolavoro romantico  costituito dal disegno di Luigi Basiletti (1780-1859), databile al 1821 e molto probabilmente eseguito dopo il fatidico 5 maggio, che rappresenta un Napoleone piccolissimo e in solitudine, sulla roccia di Sant’Elena, sopraffatto dagli elementi e dalla forza del destino, con lo sguardo rivolto all’oceano. Il pittore dovette essere stato colpito dal melanconico epilogo “dell’uom fatale”, tanto da dedicargli questo disegno, nonostante sei anni prima, nel 1815, comunicando al conte Tosio che il Ganimede con l’aquila di Giove di Bertel Thorvaldsen (in mostra) gli sarebbe presto stato recapitato, avesse commentato: “Avrete già inteso come Napoleone sia fuggito dal Isola del Elba. Ci sar[anno] altre gravi sciagure alla nostra generazione!!!”.
Il progetto  complessivo e la mostra bresciana  è stata avviata e inaugurata  nel fatidico il 5 maggio (pure  cantato dal Manzoni)  e si chiude il 15 dicembre 2021, ricorrenza dei solenni funerali di Napoleone, tenutisi a Parigi nel 1840.

Carlo Franza

 

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