Sembrerebbero tutti felici con questa globalizzazione, ad iniziare dalla Chiesa e dal Papa Bergoglio.  L’accoglienza  ad uso e costume della Chiesa -compreso anche il PD-  ha già stancato l’Europa e maggiormente l’Italia.  Ma ascoltate  cosa succede. Una confettura di pere, coltivate in Argentina, confezionate in Tailandia, vendute negli Stati Uniti.  Occorre rendersi  conto  che  la vera rivolta ecologica è una lotta seria e profonda alla follia della globalizzazione delle merci,  altrochè  le auto elettriche e i piatti in cellulosa. Non è più possibile prendere in giro la gente. Occorre essere oggi veramente rivoluzionari. Mi direte, ma come?  Comprate soltanto prodotti di prossimità e leggete bene le etichette di provenienza delle materie prime e di confezionamento delle merci. Favorire i prodotti locali non equivale né a nazionalismo né a fascismo né a protezionismo ma è soltanto sintomo di intelligenza e rispetto dell’ambiente.

Piccolo è bello, si diceva un tempo, per sottolineare come la struttura produttiva italiana, basata su una miriade di piccole imprese, sia stato per decenni l’elemento di forza che ha consentito all’ economia  italiana di crescere e affermarsi nel modo grazie ai propri brand, all’inventiva e alla capacità di stare sul mercato con prodotti di qualità. Poi è arrivata la globalizzazione e il gioco si è fatto più duro. La competizione globale ha spazzato via quelle imprese che non sono riuscite a innovare per tempo prodotti e modelli di business. Ma è proprio così? La lettura del saggio pubblicato da Fausto Lupetti editore dal titolo “Piccole per modo di dire”, offre interessanti spunti al riguardo.

Paolo Agnelli, presidente del gruppo industriale Alluminio Agnelli e di Confimi Industria (la Confederazione delle industrie manifatturiere italiane) scopre subito le carte, e sciorina un elenco di imprese italiane che italiane non sono più: Buitoni, Parmalat, Valentino, Peroni, Fiorucci, Fendi, Buolgari, Cova, Poltrone Frau. Una settantina di marchi storici del Made in Italy, della moda e dell’agroalimentare che in poco tempo sono passati in mani francesi, arabe, cinesi. È il mercato, bellezza!

Sveglia italiani, riprendiamoci il nostro e bando a ogni ciarlatano che ci innaffia di parole sul futuro e sulla ragnatela della globalizzazione che ci uccide.

Carlo Franza

 

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