Un saggio di politica internazionale dal titolo “L’onda turca”( Historica-Giubilei Regnani) ci viene dal giornalista de “Il Giornale” Lorenzo Vita. Un saggio di storia lenticolare, di geopolitica e di analisi politica comparata.

Qualche tempo fa il governo della Turchia convocò l’ambasciatore italiano, Massimo Gaiani, per protestare contro un’affermazione del presidente del Consiglio Mario Draghi, che qualche ora prima aveva definito il presidente turco Recepp Tayyip Erdoğan un “dittatore”. Draghi stava commentando il cattivo trattamento riservato alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen durante il suo viaggio in Turchia questa settimana; prima ha detto: “Non condivido assolutamente Erdoğan”, e poi ha aggiunto che “con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono” bisogna trovare un equilibrio tra la franchezza del dissenso e la necessità di cooperazione. Parole inusuali quelle di Draghi anche se in Occidente, ed è certo che in Europa, Erdoğan è spesso definito come un dittatore sui media,  e i capi di stato e di governo raramente definiscono i dittatori come tali, e spesso sfumano sugli appellativi.  Mevlüt Çavuşoğlu, il ministro degli Esteri turco, ha scritto su Twitter che le parole di Draghi sono “un discorso inaccettabile e populista” e ha messo in contrapposizione il presidente del Consiglio “nominato” al “nostro presidente eletto”. Sul fatto che Erdoğan sia o meno un dittatore c’è un certo dibattito tra gli esperti, taluni sostengono che la Turchia sia ormai una dittatura completa, altri fanno notare che, pur in un contesto di crescente autoritarismo, il paese mantiene ancora diverse caratteristiche tipiche di una democrazia, anche se soltanto formali.

Secondo dati di  Freedom House, una nota organizzazione che ogni anno pubblica un rapporto in cui attribuisce a ogni paese del mondo un punteggio da zero a cento legato al rispetto delle libertà politiche e civili, la Turchia è un paese “non libero”, con un punteggio di 32 punti, appena sotto la soglia dei paesi “parzialmente liberi”, che hanno punteggi sopra i 35. La Turchia si trova, per così dire, in una situazione al limite: al di sotto dei paesi “parzialmente liberi”, ma comunque in una condizione migliore delle dittature più repressive, come la Cina, che hanno generalmente meno di 10 punti. Il problema per la Turchia è che sotto Erdoğan le cose stanno peggiorando: nel 2017 Freedom House le attribuiva 38 punti.

Sulla Turchia ora fa il punto – e  che punto-  il giornalista Lorenzo Vita, collega de Il Giornale,  analista politico di prim’ordine, brillante,  acuto nel cogliere  l’attualità politica e la geopolitica mondiale,  nel suo bel libro “L’onda turca” pubblicato da Historica-Giubilei Regnani: “L’esigenza di ergersi a potenza leader del Medio Oriente o comunque di ritornare a pensare in grande la propria esistenza rimane un punto fondamentale dell’agenda di chiunque incarni la leadership del Paese. E questo prescinde da qualsiasi dottrina strategica o geopolitica che in un determinato momento prende il sopravvento nelle stanze dei palazzi di Ankara”.

“L’onda turca” è uno dei testi finissimi  di alta politica internazionale, mirato,  prezioso,  scritto con un linguaggio chiaro, denso, affascinante, esplicativo,  correlante, intriso di umori intelligenti, un saggio di altissima materia,  di storia contemporanea che lega passato e presente, in quanto  la Turchia  rimane  per il prossimo futuro uno dei  punti interrogativi più inquietanti della politica mondiale; basti  guardare al Mediterraneo,  a quel territorio esplosivo che va dalla Libia al Golfo Persico, dal Mar Rosso al Levante fino al Mar Nero e al Caucaso, e oggi anche l’Afghanistan; non c’è  non c’è luogo dove Ankara non abbia le mani in  pasta.  Tutto ruota attorno a Recep Tayyip Erdogan e al suo sogno di ridare spazio a un nuovo Impero Ottomano. Tutta la politica turca dell’oggi si svolge con queste idealità e con questa funzione.  E non è tutto, perché c ‘è anche, nascosta, una strategia complessa, che ha propaggini nella storia passata pur movimentandone il presente e soprattutto il futuro.  E con una situazione economica disastrosa, un isolamento politico a motivo delle scelte islamiche per il paese  -non ultima la moschea di Santa Sofia- ,   Ankara sa che, per avere un ruolo nel mondo, la sua politica deve ripartire proprio dal mare. E il mare è quello Mediterraneo, con l’Occidente che non sta a guardare inutilmente e un’Italia che deve essere vigile.  E a volerne sapere di più Lorenzo Vita legge nella storia passata e soprattutto nella politica che la Turchia ha avuto nel secolo scorso. “Non perdete mai di vista Cipro, perché per noi quell’isola è importante”. Con queste parole negli anni Trenta del ‘900 il generale Mustafa Kemal Ataturk indicava ai suoi soldati l’avvio  di quella che sarebbe stata la  nuova Turchia laica e repubblicana. Per il Gazì il destino della Nazione era nel mare, anzi nei mari che oggi la circondano –il Mediterraneo e Mar Nero-  e in quelli che lambivano, dal Caspio al Mar Rosso, dal Golfo Persico all’ Oceano Indiano,  volgendo così le spalle all’ impero ottomano; in  tal senso Ataturk aveva spostato la capitale dal Bosforo all’arido centro dell’Anatolia preferendo alla cosmopolita Istanbul sede del Sultano alla provinciale Ankara.  La politica di Kemal Ataturk ben letta da Lorenzo Vita aveva individuato ieri come oggi in quel passaggio dei Dardanelli il motore  di sviluppo del nascente stato laico,  guardando all’Egeo, alle acque di Cipro,  alle spiagge di Tripoli, dal fino al lungomare di Baku,  al porto di Mogadiscio  e  ai grattacieli qatarioti.  Ma quelle mire marittime di Kemal, per 80 e più anni rimasero  un’aspirazione repressa in un arco di tempo che andava dal trattato di Losanna alla fine della guerra fredda; si è invece infuocato e ha iniziato a ravvivarsi con l’ascesa al potere di Recep Tayyip Erdogan, il quale ha messo in piedi una politica anti kemalista alla luce dell’ Islam e dare un volto sempre più islamico alla Turchia di oggi. Chiare le parole di Lorenzo Vita: “  La svolta ha un nome e si chiama “Mavi Vatan”, la dottrina della “Patria Blu”. A idearla è stato un ammiraglio nazionalista di nome Cem Gurdeniz, e nel corso di questi ultimi anni il suo nome ha iniziato a riecheggiare nei media turchi ed europei come una costante della politica di Erdogan. L’obiettivo è uno solo: controllare il mare per controllare le risorse energetiche e imporre la propria influenza. Scopo politico che ha un significato anche economico: sarà il mare, la “patria blu”, a sostenere i piani egemonici e di leadership di una Turchia che vuole riemergere dopo un secolo dal trattato di Losanna”. Questa nuova politica erdoganiana rompe il silenzio della disfatta dell’Impero Ottomano  facendo resuscitare una scalata militare e marittima senza precedenti, divenendo  un “vero e proprio pilastro dell’agenda di Erdogan”. Ha scritto su “Limes” Lucio Caracciolo: “Per lui non importa l’orientamento, la Turchia deve stare al centro del gioco, servendosi delle risorse altrui senza preconcetti: americani, cinesi, russi, arabi, ebrei, persiani o europei poco importa. Conta l’utilità alla patria e a se stesso, stante la dimensione imprenditoriale della larga famiglia sultan-presidenziale”. Un obiettivo importante pare essere il 2023, anno di elezioni residenziali ma anche anniversario centenario del trattato di Losanna,  cui si vuol  chiudere definitivamente con il passato, mettere una toppa e far dimenticare  la disfatta  inflitta dall’Intesa un secolo fa alla nazione turca; ecco perché   Erdogan  mira a farsi rieleggere, contare sullo  scacchiere internazionale, e come scrive  “acutamente” il nostro Lorenzo  Vita,  far rivivere una forza navale credibile, con investimenti in programmi cantieristici, tecnologie, ricerca, armamenti e, dulcis in fundo, il varo di una/ due portaerei. Il vero salto di qualità per la “Türk Deniz Kuvvetleri”. Peccato che, come avverte l’autore, gli aerei necessari (gli F-35) sono americani e Washington, indispettita dall’attivismo erdoganiano, ha bloccato ad oggi le forniture.

Certo un segnale, difficile e  pesante, senza tralasciare  il rafforzamento del dispositivo USA in Grecia e le manovre di Wall Street sulla fragile lira turca.  “L’onda turca” ci fa memoria che  nulla è definitivo e definito: “La punizione nei confronti della Turchia svela, infatti, anche il reale timore che questo avvicinamento con Mosca (e Pechino) possa essere il preludio alla perdita di una provincia fondamentale del grande impero americano. E Washington, in questo momento, non può permetterselo”.

E in tutto questo scenario di geopolitica anche l’Italia entra in gioco, d’altronde la nostra penisola vanta una storia secolare di rapporti con la Turchia, specie tra Venezia e Costantinopoli;  tra Famagosta e Lepanto, le guerre di Candia e Morea, il dogato e La Porta rimasero sempre economicamente legati sino a diventare, riprendendo lo storico Braudel, due «nemici complementari», una coppia infelice ma indissolubile. Un rapporto sfuggente certo,  ereditato dall’Italia unitaria, transitato nei postumi della Prima Guerra Mondiale con la disfatta dell’impero Ottomano e poi  dissolto  negli ultimi decenni. La politica estera italiana oggi è assente in tutto questo scenario, basti pensare all’estromissione nostra dallo scenario libico cui guarda Erdogan, e Lorenzo Vita ci ricorda anche l’ignavia dei nostri governi nel caso della Saipem 12000, bloccata dalle navi di Erdogan nelle acque di Cipro o la timidezza riguardo alla strategica partita — altro tassello della “Mavi Vatan — delle “autostrade del mare” e dei porti.

Nel libro “l’onda turca” vi sono brillanti intuizioni, geniali inquadrature,  geopolitica avveniristica, che segnano come il nostro giornalista sia un analista di prim’ordine. Pagine che Lorenzo Vita analizza con attenzione delineando scenari preoccupanti: “Basta osservare la carta geografica per comprendere che tutta l’Africa settentrionale, il Medio Oriente e il Mediterraneo sono un grande palcoscenico in cui si intrecciano una storia comune di dominazione e di interscambi e anche di guerre tra i due Paesi, e una presenza più o meno radicata di interessi di natura politica, economica, militare e legati alla stessa sicurezza nazionale”. Parole queste di Lorenzo Vita che sono una lezione di alta levatura, che puntano a far vivere una visione del Mediterraneo lungimirante,  e dunque un invito ai politici a muoversi e ad aprire occhi e menti, prima che il nostro paese, l’Italia,  abbia  a soffrire, a essere subalterno e a contare sempre meno.

Carlo Franza

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